Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Cartolina dalle cascate dell’Iguazù con un piede in Argentina e uno in Brasile

Quale migliore scusa per rimettere piede nell’adorata Argentina se non godendo di una delle sette bellezze naturali del mondo?
Entrando nel Parco delle Cascate dell’Iguazù a Misiones ho la sensazione che da lì a poco avrei vissuto un’esperienza naturalistica al di sopra di ogni previsione. Nonostante il tempo non fosse  dalla mia parte, accetto la sfida di salire su una barca e farmi inebriare sotto litri e litri d’acqua, sotto il tetto  delle cascate più famose del pianeta, spartite da Brasile e Argentina.

Sono letteralmente inzuppato, mi sembra di essere tornato all’estate in cui pensai di affogare a mare ed essere risucchiato dalle onde. Il peso dell’acqua delle cascate più belle  – secondo un americano al mio fianco sono mezzo punto anche sopra le Victoria Falls in Africa – nasconde un messaggio sopra ad ogni altro: la Natura si esprime attraverso un coro di voci e noi uomini, accecati dall’avidità del progresso, ci ostiniamo a non riconoscerne il valore e salvaguardarlo.

Dopo qualche ora di cammino arrivo alla Gola del Diavolo che, con il suo gettito d’acqua giù per 150 metri, è la regina della cascate dell’Iguazù. E’ qui che si manifesta la forza della Natura, il rigurgito del nostro pianeta Terra nella fluidità dell’esistenza umana e nel racconto naturalistico che fa della vita stessa la più grande avventura di cui dovremmo essere orgogliosi protagonisti.

Dopo un’intera giornata in Argentina, eccomi di nuovo in Brasile per ammirare questo spettacolo dall’altra prospettiva, senza sconfinare  nell’odiosa smania sondaggista di chi ti mette spalle al muro con il quesito: “Preferisci il lato argentino o quello brasiliano?”.

Lo show naturalistico è sicuramente in Argentina, ma un’altra giornata nel parco brasiliano è indispensabile per avere una visione super partes. Poi arriva la pioggia – qui bisogna metterlo sempre in conto – ed ecco che mi rintano nel lussuoso Hotel Belmond das Cataratas, scoperta incantevole accanto alle cascate brasiliane dell’Iguazù. E’ possibile visitarlo a qualsiasi ora del giorno, aggirarsi tra gli ambienti pubblici e godersi le atmosfere raffinate e altempo stesso familiari.

All’uscita finisco per sbaglio alle porte dell’antico accesso del Parco. Quattro chiacchiere con uno dei custodi, un caffè e la condivisione di quest’altra grande avventura fatta da una miscela di suggestioni tra la natura e la bellezza del creato, spartite tra Brasile e Argentina.  A malincuore mi tocca dire “Ciao, Iguazù”.

Cartolina da Alta Gracia: l’umanità dell’icona Che Guevara

museo-cheguevara-alta-gracia

 

rosario_pipolo_blog_2C’era un sole diverso ad Alta Gracia, nella provincia di Cordoba, in quella zolla di Argentina che ha fatto del mio on the road in Sudamerica un’altra tappa di un viaggio indimenticabile. Il sole è diverso, perché con la sua luce accecante riapre la porta socchiusa della storia e restituisce umanità all’icona di Ernesto Che Guevara. 

Al numero 501 di Nicolas Avellaneda c’è la casa in cui il guerrigliero rivoluzionario venne a vivere da bimbo per problemi di asma. Le case museo tendono a mummificare la memoria storica, a farne polvere folcloristica per i turisti avidi di selfie e scatti fotografici. Qui è diverso, il tempo catalizza l’infanzia e la proietta nel futuro dell’uomo, del medico, dello scrittore, prima che del guerrigliero e rivoluzionario.

Per tanti il Che è rimasto l’icona delle piccole utopie adolescenziali nel volto stampato di una tshirt; per altri il personaggio che fu strumentalizzato dell’Occidente e tradito dagli stessi compagni di un tragitto utopico.

Nella calligrafia ventilata del Che ci sono pensieri che disegnano il mare dei naviganti per remare verso una vita più giusta, più equa, per far sentire la voce a chi è stata scippata la ragione. Nel mobilio della casa così come nella motocicletta, simbolo del viaggio supremo dei diari, si sente il profumo di giorni vissuti senza i tarli della routine che ci sottomette come soldatini di piombo agli ordini degli altri.

Dio ha fatto i santi, la vita ha fatto i peccatori deliranti. Ernesto Che Guevara, partorito nell’Argentina radicale, commise “il peccato” di farsi guerrigliero per abbattere la cortina di ferro delle ingiustizie sociali.

Mi stendo sull’erba, mangio un paio di empanados, osservo la rincorsa sfrenata delle nuvole con il vento tra i capelli e il sole che mi fa il solletico sulla pelle. Socchiudo gli occhi. Torno a sentirmi libero.


Il mio Capodanno 2017 nell’alba della Patagonia

alba-patagonia-argentina

rosario_pipolo_blog_2Mi stropiccio gli occhi. Apro le tendine dell’autobus. Fuori c’è una distesa immensa di deserto. La Patagonia fila l’alba ed è subito un sussulto. L’Argentina prende la mia anima e la scaraventa tra le persone, lungo la strada principale che attraversa Neuquén.
I viaggi sono fatti prima di tutto di persone, di incontri, di abbracci inattesi che mettono insieme i pezzi della nostra vita, lontani dai bagordi rituali e banali della Notte di San Silvestro.

Ho un tetto in Patagonia, la casa di Beti. Non è un bed & breakfast o un ostello, è l’abitazione a due piani che mi riporta nel Sud della mia Italia. Negli occhi di Beti c’è la Patagonia con le sue mille sfumature e la voglia di stare ad ascoltare le storie di noi viaggiatori che abbiamo percorso più di 1.500 chilometri da Buenos Aires.
Il sole picchia forte a Neuquén e mi fermo in un piccolo bar di una stazione di rifornimento carburante. Daniel mi offre una bottiglia d’acqua, mi fa festa, è colombiano e conoscitore del mio Sud, sua sorella ha sposato un ragazzo di Bari. Squilla il telefono, è la voce della sorella di Daniel, mi sembra di essere tornato a casa.

Sì, sono tornato a casa a Neuquén con questa gente che non è diversa da me: negli occhi di Veronica c’è il taglio della luna di Buenos Aires che restituisce al viaggiatore le sopracciglia dell’amore custodito in sordina; nel sorriso di Lujan c’è il sole della Patagonia che danza liberamente senza afferrare i ritmi del cielo sopra di noi; nella generosità di Victitor, che mi offre un passaggio in auto, c’è il ritrovamento della strada come luogo privilegiato di incontro e della costruzione di un’amicizia come si deve.

Sbuco nella parte alta di Neuquén, sotto chilometri di steppa, sopra di me c’è un Cristo in croce che volge lo sguardo verso il nord della Patagonia, mi sembra di essere finito in Terra Santa.

C’è una strada sotto il deserto della Patagonia, quella che fila diritto in Argentina, lontano dal rumore dei tappi di spumante; dal frastuono dei botti che vorrebbero dare il benvenuto all’anno nuovo; dal fondotinta e dai cappellini rossi che ingombrano selfie a destra e sinistra; da tavole strapiene di cibi e bevande. E’ la strada dell’essenzialità, mappata dalla barba incolta sulla mia pelle da viaggiatore, illuminata da una delle albe più belle della mia vita.

La mia rinascita. E’ già Capodanno in Patagonia, il mio.

Natale, lettera dal Sudamerica per Mimmo Palanza

lettera-sudamerica

rosario_pipolo_blog_2Le mie feste natalizie le ho lasciate in Sudamerica. Di passaggio a Firenze qualche mese fa  ho avuto la tentazione di portarti un fiore. Ho desistito, perchè la voce dell’anima mi ha assicurato che tu mi avresti aspettato lì. Questo è il viaggio che avremmo dovuto fare insieme, lo abbiamo fatto, in questo vagabondaggio on the road di 7.000 chilometri tra Argentina, Cile e Uruguay.

Ti ho ritrovato per le vie di Buenos Aires con tuo padre Camillo che leggeva il giornale agli analfabeti del paese nella Manoppello del secondo dopoguerra; ti ho ritrovato nelle albe indefinite della Patagonia ripensando alle nostre lunghe passeggiate al parco delle Cascine con il tuo cagnolone; ti ho ritrovato a Santiago del Cile sulla tomba di Salvador Allende e al museo dei Desaparecidos, perchè il tavolo della tua cucina diventò la scrivania dei miei vent’anni dove cominciai a documentarmi sulle dittature sudamericane.

Ti ho ritrovato tra Mendoza e Cordoba in mezzo al profumo dei vigneti, ripensando a quando davanti ad un buon bicchiere di vino rosso mi  raccontavi del trasferimento in Brasile con tuo fratello Roberto; ti ho ritrovato sulla nave che mi portava verso l’Uruguay negli occhi di Pablo, il fisico universitario di Buenos Aires che, negli anni della dittatura, scappò in esilio in Europa.

Eppure in questo errare indefinito ho ritrovato il nostro legame, ripensando a come tu sia riuscito a non farmi sentire mai ospite né a casa tua né nella tua vita. La prima cartolina te la mandai da Londra nel 1988, l’ultima te la mando dalla rambla di Montevideo: un tramonto condiviso con un pescatore sul Rio de la Plata.

Tra gi ultimi fili di luceti ho ritrovato alla stessa maniera di Manolin con Santiago in Il vecchio e il mare di Hemingway. Un giorno ci ritroveremo non come zio e nipote, ma come due esseri che hanno condiviso sogni e utopie di generazioni diverse. Tutto ciò ti ha reso uno dei punti cardinali della mia crescita, della mia esistenza.

Buon Natale, ovunque tu sia.

Cartolina da Buenos Aires

cartolina-buenos-aires-argentina

rosario_pipolo_blog_2A Buenos Aires tira un forte vento di italianità. L’ho capito subito, appena messo il piede in Argentina. Si va oltre il cantico di Ivano Fossati dedicato agli “italiani in Argentina”. Lo capisci come ti guardano, come hanno voglia di condividere con te perché sanno che negli occhi di noi viaggiatori troveranno il ricordo di un papà, di un nonno, di uno zio, arrivati qui con la valigia da emigrante e rimasti per il resto della vita con la dignità di un argentino.

Buenos Aires si è staccata di dosso l’etichetta che l’avrebbe voluta sposa della Guerra sucia, ovvero quella “guerra sporca” che l’infame dittatura degli anni ’70 adottò come sanguinaria repressione.
Buenos Aires è una principessa scalza, come le donne argentine ancelle di bellezza e anima latina, che con disinvoltura sa come farsi rincorrere, afferrare, stringere in un abbraccio lungo quanto l’affacciata sul Rio della Plata.

Ogni quartiere vive una vita propria senza calcare la mano sulla smania di essere cosmopoliti a qualsiasi costo. Buenos Aires è anche l’eleganza latina di Recoleta, il vezzo naif di Palermo, la popolarità di La Boca, il palleggio della memoria di Placa de Mayo, il brusio del mercato di San Telmo, il pugno nello stomaco dell’Espacio de la Memoria che rende giustizia ai desaparecidos.

Ha un mantello che si chiama tango perché, come scriveva Carlos Gavito, “non è una danza ma una ossessione. Erotica e appassionata, inquietante e malinconica, che coinvolge non solo il corpo ma anche l’anima”.  Buenos Aires non smetterà mai di tirare calci ad un pallone, proprio come i bambini incrociati sotto lo stadio di La Boca. Questo è il riscatto della strada che può trasformare uno scugnizzo come il piccolo Diego in un dio del pallone chiamato Maradona.

Buenos Aires sa come mettere a tacere il turista invadente lungo i dock di Puerto Madero, sa trasportare il viaggiatore verso nuovi incontri nello scantinato di una milonga, sa come sorprenderti in quel sussurro appassionato che fa di “pace, amore e libertà” la lunga avenida che la attraversa in diagonale i vari strati sociali.
La napoletanità veste bene la capitale argentina, perciò il mio primo viaggio in Sudamerica è partito da qui.

Custodi del creato: Il Sudamerica di Papa Francesco come l’Est Europa di Giovanni Paolo II

Rosario PipoloDopo una settimana dall’Habemus Papam, ci sono gesti a sufficienza per riflettere. Papa Francesco ha conquistato tutti, credenti e non. In volo tra le parole del primo Angelus e quelle dell’insediamento di ieri davanti ai capi di Stato, diciamolo pure: Abbiamo un pontefice spirituale, umile, concreto e persino ambientalista.
Ciò che sta accadendo in Italia in questi giorni, rievoca una polaroid che mi passò dinanzi agli occhi di bambino alla fine degli Anni di Piombo: un Papa polacco a San Pietro e un Presidente partigiano al Quirinale. Forse qualcosa sta cambiando. Nel 2013 il risveglio con Francesco a capo della Chiesa e la coppia Boldrini-Grasso ai timoni di Camera e Senato; nel 1978 Giovanni Paolo II e Sandro Pertini, quest’ultimo tra l’altro con il fardello della Prima Repubblica corrotta e melmosa, lasciato dal predecessore Giovanni Leone.

Tornando a Jorge Mario Bergoglio, pardon Papa Francesco, non avevamo bisogno del bisbiglio della presidente Argentina e della richiesta di mediazione per le Falkland per abbandonarci a vezzi di geopolitica. Alla fine degli anni ’70 i Paesi dell’Est Europa si affacciarono al balcone: l’asse spirituale-politico del sognatore Karol Wojtyla e del visionario Lech Walesa diede i frutti sperati. Oggi a sporgersi allo stesso balcone c’è il Sudamerica. Non le Americhe – la cortina di ferro tra USA e l’altra America è ancora troppo marcata – ma l’America Latina, quella che per decenni agli occhi di europei e italiani è stata beffeggiata dai cliché delle dittature facili, balli tropicali e i faccioni di Che Guevara che sventolavano sulle bandiere. L’Argentina di Papa Francesco non è una pallonata di Maradona, una notte di tango a Buenos Aires, un ululato appassionato di Mercedes Sosa o lo sbuffo a fumetti della Mafalda di Quino che “di questa minestra non ne può proprio più”.

L’Argentina di Bergoglio è quella del Peronismo, della dittatura dal pugno di ferro di Videla e del dramma dei Desaparecidos, delle rivendicazioni colonialiste delle isole Falkland, delle favelas e dell’estrema povertà, tenuta nel pugno da un piccolo branco di ricchi sfondati. Nello sguardo tenero di Papa Francesco si intravede lo sforzo del parroco umile, oggi “parroco del mondo” senza oro né scarpine rosse, che ha saputo affrontare la povertà e camminare a fianco degli emarginati, attraversando sottovoce e con concretezza la storia travagliata del suo Paese.

Il Sudamerica si aspetta che Papa Francesco si faccia umile portavoce della sua identità politica ed economica, soprattutto oggi che gli scenari sono in continua trasformazione: i sogni filo-occidentali delle generazioni cubane che pensano al dopo-Castro; lo stallo del Brasile di Lula; il Venezuela post-Chavéz tra ventate populiste e intrighi di palazzo; gli scheletri nell’armadio lasciati da Pinochet nel Cile contemporaneo (dossier e fiumi di articoli ci dicono che dal Vaticano alla vigilia dell’11 settembre 1973 non mossero un dito per evitare la caduta di Allende); i contributi di Uruguay e Paraguay allo sviluppo dell’economia sudamericana; il filo religioso che lega la comunità messicana alla terra di frontiera tra voltagabbana repubblicani e sognatori democratici.

E’ vero, Papa Francesco lo ha ribadito: “La Chiesa non ha natura politica ma spirituale”. Lo sosteneva anche Giovanni Paolo II, ma poi accadde qualcos’altro. Oggi il Sudamerica aspetta il suo riscatto, come accadde ieri per l’Est Europa. E nella “custodia del creato” rientrano anche i passi silenziosi della storia, che a volte non fanno rumore come quelli del Padreterno.

Habemus Papam vicino a Martini: Il gesuita moderato argentino Jorge Mario Bergoglio

Rosario PipoloL’agognata fumata bianca del primo Conclave invaso dai social network ha fatto sventolare qualche bandiera tricolore di troppo. L’Arcidiocesi di Milano non ha cantato vittoria neanche questa volta. Il cardinale Angelo Scola era troppo schierato con i ciellini per aggiudicarsi l’ambito pontificato dopo le dimissioni del principe Ratzinger. C’è chi ha creduto fino a pochi istanti prima dell’Habemus Papam che dietro la finestra sarebbe apparso un successore in toto di Benedetto XVI. I movimenti conservatori che animano la Chiesa cattolica hanno subìto il contraccolpo perché ad affacciarsi alla finestra c’è stato un gesuita, per giunta per niente Ratzingeriano, per giunta argentino, la cui elezione riscatta la memoria di Carlo Maria Martini. Habemus Papam: è il moderato Jorge Mario Bergoglio, che da arcivescovo di Buenos Aires sale al pontificato con il nome di Francesco I.

Sostenuto dallo stesso Martini al precedente Conclave, la scelta di Bergoglio mantiene da una parte il passo della transizione e dall’altra porge un segnale moderato di cambiamento nella Chiesa dilaniata da scandali, misteri di Vatileaks, abusi sessuali, intrighi di palazzo, complotti della curia, senza menzionare gli scheletri nell’armadio (da Emanuela Orlandi alla Banca Vaticana). Francesco I non sarà il pontefice progressista che qualcuno si aspettava, almeno che non ci siano sorprese lungo il pontificato, ma sarà il Gesuita rigoroso e severo che potrebbe scuotere persino le fogne dei sotterranei vaticani. I bookmaker e i sondaggi hanno fatto l’ennesima figuraccia allontanandosi dai pronostici, ma era qualche decennio che ci aspettavamo un Papa dell’America latina.

Si finisce nell’incappare nel solito luogo comune: Abbiamo un Pontefice di destra o di sinistra? Direi che abbiamo un Papa Argentino che, nella sua terra, si è distinto per aver difeso i poveri e gli emarginati. Sarà dura fargli indossare il mantello e le scarpine da principe. Quando lo hanno annunciato come Francesco I, non ho pensato per riflesso al piccolo grande uomo di Assisi, nonostante il nome scelto indichi chiaramente che Bergoglio farà sentire il profumo di povertà a gran parte della curia asservita dal potere.
Mi è venuto in mente Francisco, il pastorello portoghese che nelle campagne sperdute di Fatima vide un raggio di luce bianca. E forse è la stessa luce che si sforzerà di farci intravedere Jorge Mario Bergoglio, senza le vesti dell’alto porporato, perché dopo duemila anni sopravvive ancora una grande testimonianza. Quella di un “povero tra i poveri”, sfidante agguerrito di principi e regnanti e urlatore, in una zolla del Medio-Oriente, di un principio che non appartiene soltanto ai naufraghi della spiritualità: l’amore è l’unica via che può dare un senso alla nostra affannata esistenza.

Jorge Mario Bergoglio è giunto al Pontificato in punta di piedi proprio come potrebbero essere i cambiamenti che si prospettano. E se così fosse, il Padreterno ci ha messo del suo.

  Il Paradiso può attendere? Il Sudamerica no!

El nuevo Papa es el argentino Jorge Bergoglio

  Addio a Carlo Maria Martini, il Gesuita che avremmo voluto Papa