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Buon Natale, papà. L’ultima lettera di un figlio imperfetto

Buon Natale, papà. L’ultima lettera di un figlio imperfetto è fatta dalla carta ingiallita di una vita insieme e dell’inchiostro dei sogni e delle delusioni di una generazione, la tua, che mi contagiano in questi giorni gelidi: le pedalate sotto gli acquazzoni verso scuola, sulla “via vecchia” con i tuoi compagni di classe, alla periferia di Napoli; la gioventù con “gli amici per sempre” tra Antonio, i Tonino, Pasquale, Nino;  gli anni di lavoro in tuta a spargere elettricità, illuminando paesi e città all’ombra del Vesuvio insieme a colleghi che ti hanno voluto bene come Tommaso e Carlo e di capi come Pietro, pronti a ribadire che l’onestà era la tua medaglia al valore; le battaglie sindacali a fianco di Salvatore prima che il socialismo laico fosse imbrattato dai politici corrotti perché, come mi ha ricordato il prete operaio don Peppino Gambardella, “tuo padre è stato un onesto lavoratore e merita stima e affetto, egli riceverà il premio della sua rettitudine e della sua laboriosità dal Signore giudice buono”.

Buon Natale, papà. L’ulltima lettera di un figlio imperfetto è fatta dei 46 anni di matrimonio con Margherita, lei che ti è rimasta accanto fino alla fine nella buona e cattiva sorte e allora, da ventenne emancipata di città, fece tremare la lunga figliata di provincia e battagliò contro le arroganze e arretratezze della famiglia patriarcale di stampo contadino.
Io e Rossella siamo il frutto di questo amore e la tua paternità, fatta di generosità e cura per la nostra crescita, è stata tra i doni più intensi ricevuti sotto l’albero della vita. Il coraggio te l’ho letto negli occhi per l’ennesima volta qualche mese fa, quando ti sei ostinato a voler salutare per l’ultima volta il territorio a cui sei rimasto legato per sempre, mortificando la malattia, raccogliendo con le ultime forze i frutti dagli alberi piantati da tuo padre quando eri piccino piccino.

Buon Natale, papà. Per tutte le volte che ti ho disobeddito e contrastato in questa mia smania di esplorare la vita, dai tempi in cui dissi no all’ammuffito liceo nel feudo di Maddaloni o alla divisa militare fino alla scelta professionale di fare di biro e inchiostro un mestiere, delegando al Teatro, al Cinema, alla Musica e alla Letteratura i punti cardinali della mia ricerca della libertà.  Ha ragione la mia amica d’infanzia Giuliana scrivendomi: “Tuo padre ti ha fatto un uomo libero”. Sì, mi hai lasciato libero di scegliere anche quando i nostri punti di vista erano completamente all’opposto.
Mi hai lasciato libero di fare della valigia l’imbarcazione per girare il mondo, per andare a vivere altrove, assecondando la mia spudorata convinzione che “le radici hanno le gambe lunghe”.

Buon Natale, papà. Ho recitato fino all’ultimo istante il ruolo del figlio distaccato, perché mai avrei voluto trattarti con la compassione per un ammalato. Sono riuscito fino ad oggi a conservare le lacrime. Le userò in futuro per annaffiare la terra sotto i piedi in qualsiasi parte del mondo mi troverò, facendo germogliare i fiori dei tuoi insegnamenti e, al tempo stesso, facendoti irritare come allora tutte le volte che continuerò a denigrare la maggior parte dei parenti come inutili suppellettili; a beffeggiare la provincia con i suoi riti sociali, le mediocrità e l’ostentazione del vivere per apparire; a difendere quel malsano egoismo individualista per smontare i patriarchi e le matriarche che vorrebbero la famiglia una fradicia prigionia per ridurre noi anime libere a propria immagine e somiglianza.

Buon Natale, papà. L’ultima lettera di un figlio imperfetto non giace sotto il piatto di un tavolo natalizio, ma nel taschino della tua tuta da lavoro, che non smetterò mai di sentirmi addosso sotto la giacca e cravatta. Oggi che vedo l’albero di Natale spento, senza la tua santa pazienza a rimettere apposto quelle lucine, e non ti trovo in stazione, in aeroporto, ovunque ad aspettarmi, mi consola la speranza che un giorno accadrà: ti ritroverò all’ultima fermata della mia vita e non avremo più il peso del bagaglio degli affanni umani.

Buon Natale, papà e perdonami per essere stato un figlio imperfetto. E’ stata la mia strada per volerti bene, a modo mio, salvaguardando la saggia affermazione di un miscredente portoghese che, dopo un prodigio nel piccolo villaggio di Fatima, dichiarò ai miei colleghi cronisti di un secolo fa: “Solo gli sciocchi pensano che Dio non esiste”.

Quelli che cercano già il Natale nelle vetrine senza godersi “il tragitto della vita”

Da viaggiatore in giro per il mondo ho imparato che il tragitto è il punto focale di ogni spostamento, più della destinazione o delle tappe intermedie. Lo stesso vale anche nel viaggio della vita, dove ormai è sempre più frenetica la rincorsa con affanno verso la meta, la tappa intermedia, perdendo di  vista il dono prezioso dell’esistenza: la quotidianità.

Non sanno quanto si perdono coloro che ficcano già il naso nella vetrina alla ricerca del Natale, hanno l’aria di chi al rientro dalle ferie estive declama con aria afflitta: “Non ci resta che aspettare le festività natalizie”.

I calendari hanno denigrato la nostra vita. Ognuno ha il suo. Il mio barbiere storico, alla periferia di Napoli, vive tenendo a portata di mano quello delle partite del Napoli e credo che il figlio conosca le date a memoria. Una volta gli ho chiesto: “Quando è stata l’ultima volta che ti sei steso su un prato insieme a tuo figlio per osservare il passeggio delle nuvole?”. Pensavo mi ridesse in faccia, invece ha risposto sottovoce: “Non l’ho mai fatto”.

Nel “banale” passeggio delle nuvole c’è molto di ciò che ci è sfuggito di mano: il tempo di vivere non è agganciato ai nostri calcoli mediocri. Quando perdiamo una persona cara, ad esempio, ce ne rendiamo conto ma poi torniamo ad affannarci per rincorrere la meta.

La vita è fatta di quotidianità, la quotidianità è fatta di attimi, gli attimi sono fatti di minuscoli istanti. Gli istanti erano fatti dal primo bacio o dal fidanzamento perduto per correre a passo spedito verso il matrimonio; gli istanti erano fatti dal pianto di nostro figlio nella culla o dalle notti insonni e non dalla smania di vederlo crescere in fretta per farlo diventare un campione; gli istanti erano fatti dalla premura di nostra madre nel mettere un piatto caldo a tavola e non dal conto alla rovescia sul calendario della maggior età per andare a vivere da soli.

Tornando a coloro che hanno ficcato già la testa come gli struzzi sotto le luci artificiali del Natale che verrà, mi sembra di ritrovare gli abitudinari che fanno delle chiacchiere alla macchinetta del caffè la scorciatoia per vivere la nullità, saltellando da una tappa intermedia ad un’altra.

L’orizzonte perduto l’ho sempre ritrovato nel tragitto e non nella meta. Speriamo che il prossimo Natale non arrivi mai, ho ancora milioni e milioni di istanti da vivere ed accorciare così le distanze dall’esistenza.

 

Se si potesse dare in elemosina tutto il tempo sciupato, moltissimi mendicanti sarebbero ricchi.
(Carmen Sylva)

Cartolina da Ground Zero: Io cristiano e lei musulmana nella preghiera del silenzio

Rosario PipoloChi non c’è stato prima dell’11 settembre non può capire l’effetto dirompente del pugno allo stomaco.  A fine luglio del 1992 arrivai dalla Long Island University sotto le Torri Gemelle: alzai lo sguardo verso il cielo, tirai fuori la macchina fotografica con un rullino da 36 e cominciai a scattare.

Dopo ventitré anni, ritorno nello stesso punto in un lunedì mattina di fine novembre e vi trovo un fossato gigante nel perimetro di un marmo con una sfilza di nomi scolpiti.
Ground Zero non è soltanto la ferita dell’America dissanguata dal Terrorismo, ma è soprattutto la zolla di terra bruciata da cui ha ripreso a muovere i passi New York.

Manhattan non è più la stessa, lontana anni luce da quella della celebre canzone cantata da Sinatra; dalle sequenze dei film di Woody Allen; dalle pagine culturali del New York Times che la ritraevano scintillante nella sua nudità riflessa nello skyline.
Il rumore del cantiere e delle ruspe è in netto contrasto con il silenzio e la compostezza di chi passa qui per riflettere senza cadere nella tentazione turistica della toccata e fuga come per dire “ci siamo stati anche noi”.

Ground Zero mi regala un incontro: Ghadeer, splendida ragazza di origine irachena, proveniente dalla Danimarca. A poco più di una settimana dagli attacchi di Parigi, condividiamo piccoli ritagli della nostre vite e il supporto comune all’hashtag “I Musulmani non sono terroristi”, circolato su twitter nelle ore postume al bagno di sangue al Bataclan.
Le racconto dei tempi in Francia in cui zia Lilina mi mandava a prendere il pane cotto a legna in una panetteria gestita da una famiglia musulmana di origine algerina. Avevano capito che ero un mangione di farinacei e me ne facevano assaggiare zolle appena sfornate.

Io e Ghadeer ci guardiamo negli occhi: io cristiano, lei musulmana, vogliamo dare un significato speciale a questo incontro. L’uno accanto all’altra con il vento tra i capelli e raggi di sole abbagliante, attraverso la preghiera del silenzio comune, raccogliamo le nostre anime a Ground Zero.

Quest’anno il mio albero di Natale è fatto con le foglie degli alberi piantati lì, non ha luci artificiali, non ha palle variopinte ma ha i colori autunnali newyorkesi. Il mio Giubileo laico si apre qui e la “porta santa” spalancata dinanzi ai miei occhi è la voragine di Ground Zero.

I Dieci Comandamenti di Benigni e il catechismo del giullare di Dio

Rosario PipoloQuarant’anni fa con la tv di Stato sul groppone della Balena Bianca, sarebbe stato impensabile vedere “il piccolo diavolo” – lo stesso che prese in braccio Berlinguer – sul primo canale nazionale.
Nel tempo in cui il Servizio Pubblico si è omologato agli standard della volgarità televisiva, I Dieci Comandamenti di Roberto Benigni sono un bel dono di riflessione per correre ai ripari tra le braccia di Dio, nei giorni che vanno spediti verso il Natale: “In Italia la politica non c’è, buttiamoci su qualcosa di più concreto, Dio”.

Certo, questo “dono natalizio” ci è costato 4 milioni di euro – sono in tanti a lementarsi tra le corsie del supermercato dei social network – cifra comunque comprensibile se pensiamo agli sprechi passati e inutili del palinsesto televisivo nazionale o di quel canone versato per vedere stellette riciclate al Festival di Sanremo. Roberto Benigni che parla della Bibbia? “La Bibbia è un bestseller perché l’autore è anche l’Autore dei suoi lettori”.

Prima di buttare lo sguarso sul libro sacro, l’incipt di attualità è immancabile: “Stasera abbiamo avuto il permesso di tutti, della Rai, della questura e della banda della Magliana”. Che smacco per i cattolici “integralisti” trovarsi in prima serata “un giullare comunista” che tiene lezioni di catechismo, aggiudicandosi il titolo di “giullare di Dio”, perché la grandezza del Padreterno non si abbassa ai luoghi comuni o alle meschinità ideologiche.
La grande bellezza di Dio, al di là delle religioni, si propaga attraverso la voce del toscanaccio dal cuore aperto: “Per parlare di Dio bisogna tornare bambini. Come diceva la mi’ mamma più si cresce, più non si capisce niente”.

La televisione dei Dieci Comandamenti di Roberto Benigni non è paragonabile alla densità e alle suggestioni dell’anima nel cinema di Il Decalogo di Krzysztof Kieślowski. Resta comunque un momento emozionante di televisione che bacchetta la nostra rincorsa frenetica verso un Natale svuotato del suo significato, dimenticando che “Dio ci ha ha allargato la testa, mettendoci dentro l’infinito”.
E la bestemmia umana è “aver combattuto in tremila e passa anni di storia più guerre in nome di Dio che per qualsiasi altra cosa”, calpestando e oltraggiando un comandamento, chiave di lettura dell’evoluzione dell’umanità: “Io sono il Signore Dio tuo. Il patto d’amore è tutto in quel tuo”.

Roberto Benigni ci ha fatto venire una voglia matta di stare zitti, perché “il senso di Tutto è nel silenzio e non nel frastuono”, e di tornare a leggere quella Bibbia, scrigno della “voglia dell’Onnipotente di trasmettere amore a più generazioni”. Scemate le polemiche, i casi sono due per “il piccolo diavolo”: o lo spediscono al rogo o lo fanno cardinale. Non escluderei la seconda ipotesi, perché al fianco di un Papa Francesco ce lo vedrei bene un giullare alla Benigni.

Diario di viaggio: le mie feste di Natale riflesse in un bicchiere di vin brulé

Rosario PipoloIl viaggio è l’ultima lente per esplorare il Natale in vista della chiusura di un faticoso 2013, in cui il buonismo di cartone serve a poco o niente. Una traversata solitaria, intensa tra le montagne in mezzo ai mercatini di Natale. I visitatori si concentrano sull’acquisto alle bancarelle, io a raccogliere storie sul tappeto di un’atmosfera quasi magica.
A Bolzano il vin brulé e un pezzo di Sacher scendono giù tutto di un fiato; a Trento un boccone di canederli mi riporta ai tempi in cui il cibo fatto in casa riempiva la nostra vita di famiglia; il vocio del fiume a Merano si mescola con lo stupore dei bimbi che attendono con impazienza un pezzo di strudel; il calar della sera nella piazza di Bressanone spegne la tipica meschinità del turista qualunquista e spendaccione per far spazio alle luminosità del silenzio crepuscolare.

Gli avari alla Scrooge si sono rifilati dietro le ali degli angeli Clarence, che non sanno più in quale direzione andare per mettere in salvo gli ultimi disgraziati presi a sassate dalla crisi. Si va e si viene, passando da un treno all’altro, a ritmo lento tra i paesotti che scontornano il Trentino e l’Alto-Adige. Poi all’alba tutta di un fiato verso l’Austria, con le montagne innevate, nel viaggio on the road che mi porta verso Monaco di Baviera.
L’umore dei tedeschi è sottotono e se non fosse per i mercatini di Natale la città sembrerebbe una giostra ferma. Alla larga dai turisti, a bere birra Augustiner e rimpinzarsi di wurstel bianchi senza perdere mai di vista i dettagli della città bavarese a ridosso della Vigilia di Natale. Si riparte, si continua, alla ricerca dell’essenza del Natale come accade nel racconto di Dino Buzzati “L’arcivescovo e il suo segretario”, dono impolverato della mia compianta e adorata professoressa Rosalba.

Dopo tanti giri e rigiri, trovo quel che cercavo nel meraviglioso Duomo di Trento. Il canto del coro Gruppo Amici della Montagna di Carmignano di Brenta mi avvolge, mi fa arrampicare sulle montagne, su quelle cime dove Dio sa trovare il modo per farsi trovare. Non è un concerto qualunque, è un momento per ricordare l’amico Giancarlo Frizerio che a quel coro trentino ha dato anima e passione.
Eccola la mia storia di Natale, il ricordo di un’amicizia così come dovrebbe essere: condivisione di sogni e piccoli gesti che diventano grandi quando marciano sulla strada maestra della quotidianità e si vestono come stelle comete sul dondolio dell’eternità mentre Romeo Bazzega dirige due canti intensi: La Ceseta de Transacqua e Mezzanotte trentina.

Quest’anno le mie festività sono qui, senza grandi abbuffate, senza reunion familiari, senza gli auguri di circostanza, in un viaggio che riflette il retrogusto notturno di un bicchiere di vin brulé. E non è finito, perché io a Natale resto qui, raggomitolato nel canto “Mezzanotte trentina”. Così rinasco viaggiatore del tempo e incarto piccole storie come se fossero i doni che aspettavo da quarant’anni.

Caro Babbo Natale, mi regali Dudù?

Rosario Pipolo“Trottolino amoroso dudu dadadà”, cantarono Amedeo Minghi e Mietta nel bel mezzo degli anni ’80. E noi italiani, storditi dal benessere fasullo del decennio del riflusso, non ci accorgemmo che in quella zuccherosa canzoncina in stile sanremese si nascondeva la vera star di questo Natale 2013: Dudù.

Dudù, il cucciolo di casa Berlusconi, ha spento la prima candelina. Rotocalchi e social network non fanno altro che parlar del cane di Arcore, innescando la probabile incazzatura degli animalisti che dicono basta ai “cani da salotto” e vorrebbero le copertine dedicate agli anonimi randagi.

Dudù lo conosco in tanti e persino Emilio Fede ci mette la mano sul fuoco. “Lo conosco ed è molto simpatico”, ha dichiarato l’ex direttore del TG4 al Corriere della Sera. E chi non lo conosce, farebbe a cazzotti per stringergli la zampa, adesso che è una star tra cinema e tv. Maurizio Crozza lo ha inserito nel cortometraggio Berlusconi-Padrino che sta facendo crepare il popolo social nei giorni prenatalizi.

Dudù, chi era costui? Il primo pet a quattro zampe ad avere una frequentatissima pagina Facebook tutta per lui. Ahimé è stata chiusa e non sapremo mai quando arriverà la prossima scorreggia “profumata” del cane che fa più rumor nel Belpaese cialtrone.

Altro che le urla dei Forconi. Altro che legge di stabilità, Trise, rimonta dei renziani e la nuova fogna del calcio scommesse. Dudù sa come far parlare di sé e potrebbe essere la mascotte della partitocrazia che vuole tornare protagonista della Terza Repubblica con la stessa deplorevole logica degli ultimi vent’anni: scambiare la politica per una serata goliardica in compagnia, tra tette, un bicchiere di vino e quattro canzonette.

“Trottolino amoroso dudu dadadà”, cantarono Amedeo Minghi e Mietta nel bel mezzo degli anni ’80. E adesso come replichiamo a chi ha scritto “Caro Babbo Natale, mi regali Dudù”?

Natale e la ricerca dell’angelo di “Meraviglioso”

Clarence, l'angelo del film "La vita è meravigliosa"

Rosario PipoloE’ faticoso riconoscere gli angeli nei giorni che precedono questo Natale. E’ tutto sottotono, la crisi economica divora tutti, ma soprattutto è l’assenteismo a farla da padrone. Quell’assenteismo di essenzialità e sostanza, che in queste ore i social network vorrebbero farci recuperare con lo sharing dell’ennesima citazione pacchiana. Morale della favola: vogliamoci bene tutti e diffondiamo le ultime stelle filanti di buonismo virtuale che ci rimane.

Prima di finire dalla padella alla brace, c’è un angelo che non è rimasto invisibile. E quello cantato dai Negramaro nella cover di Modugno “Meraviglioso”. Quell’angelo ha una carta di identità. Si chiama Clarence. E’ lo stesso che salva la vita a George Bailey, protagonista di un vecchio film americano che la generazione social dovrebbe vedere: La vita è meravigliosa di Frank Capra.

Qualcuno potrebbe dire la solita americanata in bianco e nero, in cui lo spettatore è destinato a subire la banalizzazione del fantastico. Punti di vista. Che gli angeli non abbiano le ali è risaputo, ci sono accanto tutti i giorni e non li vediamo. Spesso, come cantava Lucio Dalla, “sono tra gli uomini”. Tornando a Clarence che salva Bailey dal suicidio alla vigilia di Natale, è necessario richiamare la grande lezione dell’angelo citato nella canzone di Modugno. Nessuno di noi è inutile, perché la nostra esistenza, per un motivo o un altro, è legata, anche a nostra insaputa, a quella di un altro essere umano. Clarence fa vedere a George come sarebbe stata la vita se non fosse mai nato.

Il “meraviglioso”, appunto, è quello che dovremmo riscoprire assieme al protagonista del vecchio film di Capra. Fuori dalla prigione del virtuale c’è un angelo impaziente che ci aspetta. Tocca a noi dargli un nome e ringraziarlo perché siamo venuti al mondo per godere di uno stupore. E ricordarlo a Natale sarebbe un grande passo per uscire fuori dal tunnel.

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Natale low-cost: Chef stellati e concerti svenduti su Groupon e Groupalia

Rosario PipoloA dicembre dell’anno scorso erano in tanti ad urlare che finire in pasto alla ferocia dei deal – Groupon e Groupalia in pole position – significava calarsi le brache. Un anno dopo, a ridosso del Natale più sottotono dell’ultimo decennio, ci sono finiti i concerti e le cene blasonate degli chef stellati. E così in saldi ci sono Nina Zilli, i Tiromancino, Fabio Concato e tanti altri. Mettere sotto l’albero un coupon da 10€ per un concerto potrebbe essere una proposta regalo e rialzare l’intrattenimento dall’orlo del precipizio. Ormai le proposte del giorno contano sempre meno e si finisce come al supermercato: adattiamo il nostro menu del giorno al volantino del sottocosto.

E a proposito di cibo, anche gli chef stellati hanno dovuto ripiegare: Claudio Sadler è in saldo su Groupalia a 199 euro con cena per due. In un momento di crisi come questo, neanche le vecchie glorie del food possono permettersi il lusso di facilonerie snobistiche. E nonostante i maestri stellati dei fornelli  abbiano conquistato le casalinghe di Real Time, i prezzi sono ancora alti.  In Italia abbiamo 3 milioni di disoccupati, la maggior parte dei quali non riesce neanche a sostenere le spese di un’alimentazione dignitosa. E se un invito a cena da uno chef resta cosa d’elite, non è stralunato pensare ad un’alternativa.  Se facciamo noi la spesa al supermercato, riusciremo mai ad abbassare il cachet di Sadler e compagnia bella?

Diciamo fesserie? Mai dire mai.  L’anno scorso tutto questo si chiamava “calarsi le brache”, oggi  “sopravvivere alla crisi”!

25 dicembre 2011: Accadde domani tra Giuseppe il palestinese e Maria l’israeliana

Giuseppe chiuse la falegnameria prima che calasse il sole. Su una motoretta percorse la Palestina fino a tarda notte. Sulla striscia di Gaza c’era Maria ad aspettarlo. La ragazza aveva rischiato il linciaggio. Dalle sue parti erano stati chiari: una donna d’Israele non poteva portare in grembo il figlio di un uomo della Palestina. Si incamminarono. Lungo la via per Betlemme chiesero ospitalità, ma nessuno li prese sul serio: il presidente era indaffarato a travestirsi da Babbo Natale per fare la sorpresa al figlioletto; il sacerdote era alle prese con gli ultimi preparativi per le celebrazioni di mezzanotte; l’operaio era alla ricerca del padrone che non voleva pagargli lo stipendio; il direttore della locanda non voleva che Palestina e Israele dividessero lo stesso letto; il medico si stava giocando tutto per salvare un profugo.

Giuseppe e Maria crollarono dalla stanchezza. All’orizzonte c’era un susseguirsi di tuoni e lampi: erano le bombe sulla Striscia di Gaza che trasformavano i rumori anonimi nel suono della guerra. Li vide una donna, il cui volto era coperto da un burka, e offrì loro una tenda. Era l’unico riparo che aveva. Due uomini l’avevano buttata giù da una roulotte, lasciandola in mezzo al deserto a mendicare.

Nel bel mezzo della notte, nel cuore del deserto si sentì il pianto di un bambino. La donna si accostò e il piccolo con la manina le tirò giù il burka. Il bimbo scrutò la bellezza sul suo viso e la rassicurò, smettendo di piangere. Intanto, Giuseppe e Maria impallidirono, perchè in lontananza vedevano avvicinarsi carri armati ed eserciti, mentre una folla di uomini e donne da Israele e dalla Palestina si incamminavano per capire cosa fosse quell’abbaglio. Non era la luce delle bombe, ma quella di una nuova vita.

Quando i palestinesi e gli israeliani furono rapiti dal viso raggiante della creatura, alzarono lo sguardo verso Giuseppe e Maria, esclamando in coro: “Beati voi, che avete avuto il coraggio di guardarvi negli occhi ed amarvi. Vostro figlio rappresenta la bellezza dei nostri popoli, divisi dall’odio, ma oggi finalmente uniti da questo atto d’amore”. Nel frattempo arrivarono i soldati e carri armati. I fucili e gli elmetti furono spazzati via dagli abbracci e dai baci di tutta la gente accorsa. C’era aria di festa e ognuno battezzò il bimbo con un nome diverso.

Io fui testimone di tutto ciò. Me ne ero andato via da casa alcuni giorni prima, mentre tutti erano affannati per gli ultimi regali, per trovare l’addobbo più bello, per ritoccare il menu della grande abbuffata, per strozzarsi tra le catene del mancato consumismo nei giorni di crisi.

Ero finito in mezzo al deserto. Non avevo con me né una macchina fotografica né un PC per documentare quello che stava accadendo. Era già successo e quella fu la notte di Natale più bella della mia vita. Sulla via del ritorno incrociai una falegnameria con la serranda abbassata. Su un’insegna di legno scolpita a mano lessi: “Shalom Gesù, figlio di Giuseppe il palestinese e Maria l’israeliana”.

Accadde domani.

Il mio Natale, in quella casa del Sud Italia!

Mai come quest’anno mi sono distaccato dal fastidioso tam tam natalizio, dall’affannosa corsa al consumismo che stressa le famiglie italiane. L’unico scambio di doni a cui tenevo, l’ho anticipato la scorsa settimana sotto i primi fiocchi di neve. Ero felice come un bambino perché mi hanno regalato una borsa rossa della collezione Vespa-Piaggio. Per un “vespista” incallito come me, andarse in giro con quella tracolla è uno spasso! E il Natale dov’è finito? Risucchiato dalle vetrine o dagli addobbi natalizi? Mi è tornato in mente un vecchio racconto di Dino Buzzati e mi sono sentito come il protagonista, don Valentino, alla ricerca di una briciola del Natale. Alcune settimane fa sono passato a trovare due amiche di vecchia data, Cinzia e Rosa, nella loro casetta a pochi passi da Napoli. In quel recinto domestico mi sembrava che il tempo si fosse fermato al nostro primo incontro, in quella cucina, in ogni viso di quella famiglia, travolta da un invidiabile spirito di serenità. Il papà e la mamma mi hanno fatto un cenno e siamo andati tutti ad osservare il bel presepe, allestito nel salotto.  C’erano i pastori alti come piacciono a me, una luce fioca, il rumore della cascata. Ci siamo guardati diritti negli occhi e abbiamo condiviso in silenzio quel momento. In quell’attimo di stupore ho ritrovato il Natale, quello fatto di incontri veri, dove il tempo non è tiranno, ma è complice dell’attimo intenso. Siamo capaci ancora di ritrovare a piccole dosi le cose speciali della vita?