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Un siciliano DOC ha la faccia di Peppino Impastato

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Rosario PipoloC’è chi va volentieri in Sicilia per la bellezza del mare e dell’isola, c’è chi come me ci ritorna volentieri per onorare la memoria di Peppino Impastato, senza i fronzoli e le prosopopee degli anniversari. Sono diventato più grande il 31 agosto 2000 al Festival del Cinema di Venezia. C’era anche il mio battimani in Sala Grande per i dodici minuti di applausi tributati alla prima del film i Cento Passi di Marco Tullio Giordana.

Prima di allora ero il ventenne che aveva raccolto la storia di Peppino come tra le tante dell’ennessima vittima della Mafia. Dopo quella proiezione, i miei vent’anni furono squarciati dal ritratto di questo coetaneo – aveva pressappoco la mia età di allora quando fu ammazzato – che, dalle frequenze di una stazione radiofonica locale, aveva provato a spegnere l’omertà con la latta di benzina dell’impegno civile.

In un mio tragitto, in un’estate di dieci anni fa, dal palermitano verso il trapanese, chiesi di fermare l’auto sulla statale all’altezza di Cinisi, il paese natale di Peppino Impastato. Osservando in lontananza i bagnanti che affollavano le spiagge del litorale, mi chiedevo quanti di loro sapessero che il siciliano DOC non era il venditore panzuto di granite alle mandorle in riva al mare o l’aberrante caricatura del Padrino di Coppola in versione beach, alle prese con la tintarella sulla sdraio.

Il siciliano con la denominazione d’origine controllata deve avere il talento di farsi portatore del principio per cui non si può essere liberi senza libertà di pensiero, conduttura della coscienza civile della propria terra natia. Peppino Impastato ha questo requisito e, a 38 anni esatti dalla sua scomparsa, l’anniversario delegittima l’assenza, fatta anche di depistaggi.
Pertanto, vogliamo legittimare questa presenza, facendo dei versi di La cura di Franco Battiato, il siculo che ha reso in partiture le meraviglie della Sicilia, la colonna sonora di questo 9 maggio: “Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo”.

Cosa c’entra una canzone d’amore? C’entra eccome. Peppino Impastato è stato veramente innamorato della sua Sicilia come noi lo siamo perdutamente della nostra donna, della quale vogliamo prenderci cura a qualsiasi costo, attraverso l’essenza del nostro essere e nonostante le avversità della vita. Peppino ci ha rimesso la vita stessa.

90 anni di Radio con storie e voci, vicine e lontane

Rosario Pipolo90 anni di Radio in Italia non sono noccioline. Nonostante l’imperialismo di Internet e social media, la radio è viva, anzi sembra ringiovanita. Ognuno di noi ha una storia da raccontare per condividere questo compleanno.

La radio ha scandito il tempo della mia infanzia: il buongiorno di nonna Lucia nel lettone ad ascoltare i radiodrammi trasmessi dalla RAI, nella seconda metà degli anni ’70, o le domeniche di nonno Pasquale a rincorrere le radiocronache calcistiche del suo Napoli.  Ai tempi Twitter era fantascienza e l’unico uccellino di mia conoscenza era quello con il cinguettio che indicava il passaggio da una stazione all’altra.

La prima radio toccata con le mie mani? Quella che nel ’71 papà aveva regalato a mamma per il fidanzamento, con il sospetto che quella “scatola parlante” fosse oggetto di stregoneria. Le trasmissioni delle prime radio libere napoletane, inclusa SpaccaNapoli, diluivano il tempo dei pomeriggi  tra mamma che completava le faccende domestiche e le dediche romantiche fatte a telefono dagli ascoltatori.

Il primo autoradio invece non si scorda mai. Lo infilai nella mia Panda nel 1995 e feci credere alla mia ragazza di allora che stavano dando in diretta una trasmissione tutta per lei. In realtà, feci partire un’audiocassetta su cui avevo registrato con un mixer una vero e proprio programma. Non impiegò tanto a capire che lo speaker fossi io.

La mia prima volta in uno studio radiofonico fu nei primi anni ’90: ero a Radio Kiss Kiss per un’intervista. Fu lì la resa dei conti. Si dissolse la magia “solo voci” e fui costretto ad associarle ad un volto. Perciò non amo i ricatti del digitale terrestre, che ha costretto la radio a rifarsi un alterego dinanzi alle telecamere.

Solo voci, punto e basta. Voci che, dopo 90 anni, continuano ad aprirci un mondo ovunque ci troviamo. Voci che fanno vibrare minuscole storie infilate tra una canzone e l’altra. Voci che, dentro o fuori dal coro, confermano i versi cantati dal saggio Eugenio Finardi: “Amo la radio perché arriva dalla gente, entra nelle case e ci parla direttamente. Se una radio è libera ma libera veramente, piace anche di più perché libera la mente”.

Happy Birthday, Radio DeeJay: Che “cacarella” sotto quella notte…

Mia madre era seriamente preoccupata nel 1983. Andò dalla maestra Iole e le confessò le mie stranezze, perlomeno per un bambino di dieci anni. Appena tornato da scuola, mi fiondavo davanti al televisore a guardare i video musicali, proposti da DeeJay Television su Italia 1. Niente cartoni animati insomma, se non quelli infiltrati in sequenze epocali come The Wall dei Pink Floyd. Al mondo di Radio DeeJay ci sono arrivato per vie traverse, infilandomi nel tubo catodico.

Radio DeeJay festeggia oggi 30 anni: e chi lo immaginava che mi sarei ritrovato al brindisi per la mega festa al Forum di Assago con Linus, Albertino, Jovanotti, Fiorello, Gerry Scotti, Claudio Cecchetto e tanti altri. C’è un episodio bizzarro che mi riporta dalle parti di Linus & compagnia bella e ancora mi fa venire la “cacarella” sotto.
Nella prima metà degli anni Novanta finii, alla guida della mia Panda, in una via desolata alla periferia di Napoli. Mi ero perso e non sapevo più come venirne fuori. Niente navigatore, niente cellulare.

Ero sintonizzato su Radio DeeJay. Poco distante mi accorsi che si era appostata un’altra auto. Ebbi paura. Alzai il volume dell’autoradio al massimo, sperando che qualcuno mi notasse. Il tizio uscì dalla macchina e si accostò: “Ehi, anche tu di notte su Radio DeeJay? Hai alzato il volume e pensavo ti servisse aiuto”. Scoppiai a ridere e gli confessai che me la stavo facendo addosso dalla paura, perché temevo volesse rapinarmi. Insomma, in mezzo ad una campagna sperduta, alzo il volume dell’autoradio per difendermi e guarda chi spunta: un fan scatenato di Radio DeeJay. Mi mostrò l’adesivo appiccicato sul cruscotto che gli era arrivato da Milano poco tempo prima.

Ai tempi leggevo sporadicamente Dylan Dog e forse le troppe storie dell’indagatore dell’incubo mi avevano dato alla testa. Tuttavia, penso pure che Radio DeeJay mi abbia sottratto agli incubi nostalgici, senza farmi perdere la rotta del mio presente, quello che va oltre una semplice canzone e si svela dietro l’energia di un disc jokey. Per questo le devo qualcosa!

 Buon compleanno, Radio Deejay!