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L’Erasmus in Spagna finito nel bus del terrore in Catalogna

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Rosario PipoloL’Erasmus è il sogno e tappa indispensabile per tanti studenti. Vivere un’esperienza di studio all’estero era e resta un momento di confronto culturale per qualsiasi generazione. Quando apprendi che quel sogno viene deturpato da un tragico fatto di cronaca, scatta la rabbia senza dare tregua a nessun tipo di rassegnazione.

La domenica delle Palme in Spagna è stata lo schianto di un pullman con 57 studenti dell’Università di Barcellona al ritorno da Valencia. A bordo c’erano ragazzi e ragazze di 22 nazionalità diverse, tra cui sette italiane. La causa dovrebbe essere l’errore umano, ovvero un colpo di sonno da parte del conducente.

Cosa fa l’Unione Europea in questi casi, fuori dal perimetro dell’austerità distribuita a larghe intese ai Paesi che ne fanno parte? Dove sono le regolamentazioni per chi gestisce il trasporto di studenti e non mette a stecchetto, se non è nelle condizioni psico-fisiche, chi si mette a volante? Non scopriamo l’acqua calda se confessiamo che gli autisti fanno turni di lavoro disumani.

Due giorni di lutto nazionale lasceranno dubbi incolmabili. Forse è il caso che l’Unione Europea investa più soldi non in Borse di Studio quanto nella sicurezza delle attività svolte dagli studenti durante il periodo dell’Erasmus.

Qui non si tratta di avere una copertura assicurativa che risarcisca le famiglie delle vittime: La morte non può essere una beffa dietro l’angolo.

Oggi 21 marzo l’Europa ha perso la Primavera di chi sognava il futuro.

Caro Prof. Paredes, in viaggio nella tua Andalusia per ritrovare le radici del mio Sud

Rosario PipoloCaro Prof. Paredes, la storia di Pietro ci accomuna, ritaglia le nostre vite riflesse tra le pagine del mio romanzo L’ultima neve alla masseria, che con orgoglio ho portato in Spagna. In Andalusia ho ritrovato il mio Sud con i rumori, i suoni, le voci e mi sono ricordato delle parole di nonno Pasquale. Portandomi a spasso nella mia Napoli, mi ripeteva: “I pregi e i difetti di questa città ce li hanno lasciati in eredità gli spagnoli”.

Il confine tra un pregio e un difetto è labile e dipende dalla propria visione della vita. Dopotutto la testardaggine di Pietro nel voler trasformare il Sud come prospettiva del viaggio e dell’esistenza è il pregio più grande, robusto come la corteccia di una quercia. Ed è proprio quella corteccia che ho colto negli spunti di riflessione lasciati dalla tua analisi del mio racconto, in occasione della presentazione all’Instituto Andaluz de la Juventud di Granada e dell’emozionante lettura teatrale dell’attore Marcos Julian.

Professor Paredes, il viaggio nelle proprie radici è il punto per ritrovarsi al di là delle differenze culturali, sociali, linguistiche. Mentre disfo la valigia e mi rimetto a scrivere, tu sei in Perù, dall’altra parte del mondo. Eppure un giorno torneremo a condividere storie, quelle private mescolate a quelle visionarie sotto l’ala dell’amore per il cinema che non ci molla. Attraverseremo lentamente l’Andalusia fino alla tua amata Cordova e poi troveremo una scorciatoia per tornare a Napoli, perderci nei Quartieri Spagnoli e sbucare all’entrata della Federico II, la mia università che ti ha ospitato in diverse occasioni.

Difenderemo a denti stretti le nostre memorie reciproche e ci ricorderemo che il futuro resiste nelle “radici con le gambe lunghe”. Ci terremo alla larga dalla rabbia e dalla pietà che vorrebbero allungare la siesta di ogni Sud di questo mondo e dagli illusi  cialtroni,convinti che gli umanisti possano essere rimpiazzati da venditori di fumo e affaristi girovaghi.

Il viaggio di Pietro ricomincia dall’Andalusia.

L’11 luglio della Spagna campione: “Nonno, adesso non ci prendono più!”

Le date tornano e i calendari fanno i loro giri. L’11 luglio del 1982 l’Italia di Bearzot vinceva il Mondiale in Spagna. L’11 luglio di 28 anni dopo la nostra Nazionale consegna la sua coppa del mondo alla Spagna, per la prima volta campione del mondo. La furia rossa è entrata nella storia del calcio e adesso è giusto che questa fiesta vada avanti senza sosta, da Madrid a Barcellona.

Eppure quell’11 luglio era anche il mio primo Mondiale, stavo per spegnere nove candeline. Quando Alessandro Altobelli tirò dentro la porta della Germania il terzo goal, mi colpì il sussulto del Presidente della Repubblica Sandro Pertini: “Adesso non ci prendono più”. Nonno Pasquale mi abbracciò e mi prese in braccio, dicendomi: “Nel campo come nella vita è tutto un gioco fatto di rigori, punizioni, illusioni, sconfitte, vittorie, calci d’angolo”. Poi aggiunse: “Vedrai che quando tuo zio Massimo arbitrerà a livello internazionale, altro che una confezione di Orangina, ti porterà sul quel campo assieme a lui”. Poi arrivò il fischio finale e fu una grande festa.

Eravamo in vacanza a Fondi, in provincia di Latina. Nonno mi aveva regalato una bandiera a misura di bambino, plastificata, acquistata nell’unico bazar della zona: Peticone. Eravamo in aperta campagna. Mi prese per mano e corremmo giù, attraversammo i campi, ci nascondemmo per fare uno scherzo agli altri. Fu allora che mi ricordai della frase del Presidente e gridai: “Nonno, adesso non ci prenderanno più”. In quell’urlo c’era l’illusione infantile che nessuno ci avrebbe separati mai, che avrei condiviso con lui chissà quante cose ancora.

Da allora mi ostino a seguire ogni Campionato di Calcio, nonostante sia uno sportivo distratto perché dietro quel pallone i ricordi diventano più lucidi, costanti. Chi non ha memoria è solo un “morto vivente”. Ieri, dopo la vittoria della Spagna, a casa mia è tornata ad essere domenica. Il Dolby surround sparava al massimo l’euforia dei tifosi ed io sono corso alla finestra con una consapevolezza. Il Mondiale è un momento di condivisione, fatto di incontri, di persone che ritornano per farci ritrovare l’essenza della condivisione.