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Archives Aprile 2019

Canada on the road: Cartolina dalla capitale Ottawa

Percorro 500 km on the road per raggiungere Ottawa, la capitale del Canada, prima che spunti l’alba. Il paesaggio nottambulo dell’Ontario striscia nel buio per poi alzarsi con la luce del sole.
Non sono ancora le sei e mezzo del mattino, mi fiondo in una caffetteria, ordino una bagel con uova e bacon e l’immancabile mezzo litro di caffè americano. In Canada te lo servono di un bollente insopportabile e, se non fosse per qualche dito di latte freddo, daresti la lingua in pasto agli ustionati. In Italia le lancette dell’orologio sono molto più avanti.

Faccio una videochiamata a mia madre, dopo averla alfabetizzata con whatsapp, è il primo viaggio in cui la tengo al corrente in diretta con le nuove tecnologie.
E pensare che alla fine di giugno del 1988, da una cabina telefonica di’ Westminster a Londra, feci la prima chiamata, “a carico del destinatario”, per trasmetterle l’emozione di aver messo piede nella capitale della mia vita, neanche fossi stato il primo uomo sulla luna.

Dallo schermo dello smartphone sbuca la faccia della mia nipotina Eleonora, pare che ogni volta avvisti un aereo, pronunci il mio nome: si è convinta che lo zio abiti tra le nuvole, spostandosi da un volo ad un altro.

Ottawa è quasi vuota a prima mattina, è il lunedì di Pasquetta. C’è un bel sole, raro di questi tempi in un Canada che miete le atmosfere del nostro novembre. Fuori al Senato siamo quattro gatti. Del resto vale la pena fare una puntatina qui: in quale capitale del mondo riuscireste ad organizzare un batter baleno una doppia visita a Camera e Senato? Un viaggio storico e politico, avvincente e persino divertente, grazie alla guida di Isabelle.

Ottawa tutto sommato sa sorprenderti attraverso l’architettura della Nation Gallery of Canada, di quei giochi ultramoderni che fondono gli ambienti e fanno dello spazio il luogo meticcio in cui l’arte di un Gauguin incontra il nostro stile di immaginazione.

Gli hamburger di King Eddy sono saporiti e restano una buona scusa per conoscere persone, scambiare punti di vista sulle rispettive storie dei Paesi di provenienza, interloquire  sul futuro che desideriamo. Il sole picchia forte, mi stendo sull’erba, questi 18 gradi sono una manna dal cielo dopo il tempo uggioso di Toronto e Niagara.

Quest’altra zolla di terra dell’Ontario, attraversata dal canale di Ridaeu, racconta sottovoce il Canada, la sua gente, i sogni e le delusioni, di chi sa che ci sono sempe più strade per ritornare a casa.
Cammino a piedi a lungo, spingendomi fino alla periferia dove c’è lo stazionamento degli autobus. Sorseggio un caffè, sbircio un giornale locale, mi accorgo che l’autobus arriverà a destinazione con un’ora di ritardo. Ottawa diventa un puntino, dal finestrino vedo una donna anziana che tiene per mano un bambino disabile, fatico a tenere gli occhi aperti per la stanchezza, mi addormento.

Canada on the road: Cartolina da Niagara

Le cascate del Niagara mi fanno risalire su un autobus della Greyhound americana. L’ultima volta c’ero stato quattro anni fa nel Tennessee, sulla tratta Nashville-Memphis. Quando Sean, il simpatico autista della Greyhound, viene a sapere delle mie scorribande negli USA con i loro bus – nel 2005 avevo percorso oltre 6.000 chilometri da San Francisco a New Orleans – mi concede questo selfie souvenir che fa da cover a questo articolo.

Dopo aver visto le insuperabili Cascate di Iguazù in Sudamerica, avevo scritto che mai avrei intaccato quella visione strabiliante. Mai dire mai, la tentazione canadese è stata forte e poi avrei fatto un torto a mia madre: da bambino avevamo visto insieme il film in bianco e nero “Niagara”  di Henry Hathaway, indimenticabile Marylin alle prese con le atmosfere criminali della sceneggiatura.

Le cascate del Niagara sono rimaste raggomitolate tra i ricordi dell’infanzia, ma il patto di arrivarci sarebbe stato evitare le stupide escursioni turistiche. Il confine con gli USA è ad una manciata di chilometri e carovane di turisti arrivano dalla vicina Buffalo per godersi lo show. Sono tanti gli europei che pagano 200$ l’escursione in giornata da New York e arrivano qui magari per provare l’eccitante esperienza dell’impatto con una cascata.

La giornata è grigia e uggiosa, nonostante tutto le cascate del Niagara sanno com farsi valere per fascino e potenza delle acque. I turisti collezionano selfie dalla migliore posizione, io e una famiglia della Repubblica Ceca ci ritroviamo fuori dalla calca, ascoltiamo il vocio delle acque e ci incamminiamo lontano dalla “piccola Las Vegas canadese”, perché a questo si è ridotta ad essere la località di Niagara.

A 3 chilometri di cammino, mentre le cascate dell’Ontario si dissolvono alle nostre spalle, scovo il vecchio nucleo di Niagara,  dove il turismo di massa invadente non arriva. Mi sembra di essere finito in un villaggio del Far West americano, entro in un locale deserto con l’insegna luminosa “Open”. Chiedo un caffè americano caldo, ma mi rendo conto che non accettano carte di credito. Faccio cenno di non avere contanti e mi allontano. Il tizio al bancone mi chiama e, indicandomi il tazzone, mi dice in uno slang nordamercano: “Un caffè qui non lo neghiamo a nessuno, soprattutto a chi arriva da lontano come te.”
Lo ringrazio, bevo frettolosamente, guardo l’orologio e mi rendo conto che Sean sta per tornare.  Salgo sul bus della Greyhound, accanto a me una ciurma di scolaretti si ingozza con hamburger e patatine fritte. L’odore è nauseabondo.

Toronto non è poi così lontana, a poco meno di due ore di strada.

Canada on the road: Cartolina da Toronto

Con l’arrivo in Canada mi affaccio sul 49° Paese del mio giro del mondo. Avevo sognato Toronto attraverso i reportage dei giornalisti d’oltreoceano, che avevano influenzato le mie letture adolescenziali. “La capitale del Nord America” è semivuota, la maggior parte degli universitari torna a casa per il weekend lungo di Pasqua.

Nella cattedrale di St. Micheal, alla prima messa mattutina di Pasqua, il reverendo Alexander ci ricorda che l’attentato terroristico in Sri Lanka è un atto vile e spietato contro la cristianità di tutto il mondo.

 

Ci vogliono litri di caffè americano per smaltire l’amarezza. La mia vita qui parte da Church Street, in pieno downtown, e il capoluogo della provincia dell’Ontario non è una tappa qualsiasi, ma la casa provvisoria dei miei viaggi nel viaggio, attraverso il Nord America, di questo mio andare e venire, tornare per scoprire e ritrovare.

A Toronto mi sento a casa, è cosmopolita, multietnica, sa essere accogliente e sorridente, frulla le culture e te le serve come una pietanza ricca di sorprese. Questa mi sembra una tappa antologica che mi riporta altrove: certi edifici evocano la vecchia Boston, Kensington Market con il suo atteggiamento bohèmien mi riporta alla Candem Town londinese di trent’anni fa, la vecchia Distilleria che pullula di localini evoca certe aree periferiche dell’Inghilterra settentrionale, percorrere King Street mi sussurra all’orecchio Manhattan.

Lo stile neogotico di Casa Loma, l’edificio storico simbolo di Toronto, preme il pulsante della memoria tra echi anglossassoni e i vezzi del defunto proprietario Sir Henry Pellatt. Qui la mattina di Pasqua si svolge un rituale brunch che attira decine e decine di famiglie canadesi, sedotte dalle atmosfere aristocratiche che solo Casa Loma sa consegnare.

Il Royal Ontario Museum, oltre ad essere il museo più grande del Canada, racconta chicchi di storia del Paese tra arte, design e origini, tenendo conto dell’emozionante Jurassic Park che funge da macchina del tempo indietro di milioni e milioni di anni.
Per conoscere gente, anche nel pomeriggio di una domenica uggiosa, mi basta prendere con una paio di dollari canadesi un battello e arrivare sulla sponda dell’Island Park: sorseggio una birra, mi godo il panorama, il brusio di chi è rimasto in città senza rinunciare alla scampagnata festiva, condivido esperienze di vita e viaggi con due ragazze parigine, di cui una di origine algerina, soffocando i tristi ricordi della Ville lumière, schiaffeggiata recentemente dall’incendio di Notre Dame.

Il by night a Toronto mi fa ciondolare nel downtown, azzannando un buon hamburger dal mitico Shopsi’s Deli, che fin dagli anni ’40 ha sfamato più generazioni con i suoi irresistibili panini, guadagnandosi il meritato appellativo di “The Corned Beef King”.
Toronto inizia ad appartenermi negli angoli più nascosti del downtown, nel suo modo di fare e di essere, persino quando mi metto alla ricerca della musica locale e finisco da Sonic Boom, lo store indipendente sulla Spadina Avenue da cui non vorresti andare più via, così come dai piccoli librai assiepati nei dintorni di Kensington Maket, dove sono alla ricerca disperata di una vecchia edizione del romanzo Anne of Green Gables della Montgomery (Anna dai capelli rossi).

Kensington Market è il luogo ideale per il cazzeggio mattutino senza pensieri, per fare quattro chiacchiere in buona compagnia, per distrarsi tra i murales e la street art con la voglia matta di raccontare le mille facce della “capitale multiculturale del Canada”.

A Yonge Dundas Square, la Times Square canadese, spunta improvvisamente un tempo primaverile e siamo tutti lì a rubare al sole del colore, lo stesso che brilla negli occhi degli asiatici e nord amercani, colonne portanti di questa città. In realtà da Toronto non sono mai andato via, c’è una parte di me lasciata lì, con una risposta scritta nella mia anima da viaggiatore: “I viaggi ci aiutano a non rinnegare mai noi stessi”.

Carmine D’Amora, il capotreno Trenitalia che fa la differenza in Campania

I deficit del trasporto ferroviario regionale passano spesso ai doveri della cronaca, dimenticando il personale che può fare la differenza. Chi percorre come me migliaia e migliaia di chilometri in treno all’anno in Italia sa bene che il viaggiatore dell’Alta Velocità è più tutelato rispetto a quello di “serie B” del trenino regionale. Se poi capita l’inconveniente la forbiciata è ancora più ampia.

La Campania finisce spesso sotto l’occhio del ciclone per i disservizi del trasporto ferroviario locale, ma non si parla mai delle risorse che possono far luccicare Trenitalia in un momento di criticità.
Carmine D’Amora, ingegnere meccanico con lode di 27 anni, è un giovane Capotreno Trenitalia di Pompei, alla periferia di Napoli. Se non ci fosse stato lui sul treno metropolitano 26059 Caserta-Napoli Campi Flegrei, il ritorno nella terra in cui sono cresciuto sarebbe stato associato ad un venerdì nero: quante sono le probabilità di ritrovare un pacco dimenticato con documenti importanti?

La polizia ferroviaria di Napoli Centrale si è messa in contatto con Carmine, spiegando l’accaduto. Nel tratto metropolitano tra piazza Garibaldi e Mergellina, a prima mattina, il treno era zeppo di passeggeri e il giovane capotreno ha attraversato i vagoni, riuscendo a recuperare il pacco e tutto il suo contenuto. Non ho mai conosciuto di persona Carmine, perché in realtà la consegna è avvenuta in altre mani. Attraverso i social network mi sono messo alla ricerca di questo “eroe della ferrovia” per ringraziarlo e lui mi ha risposto con umiltà: “Ho fatto semplicemente il mio dovere, tutto qua”.

Aveva scritto un tempo lo scrittore e rivoluzionario cubano José Julián Martí Pérez “Aiutare chi ha bisogno non è solo parte del dovere, ma anche della felicità.” Carmine D’Amora lo ha messo in pratica con l’umiltà di chi è andato oltre il proprio dovere.
Un paio d’anni fa la mia Freccia da Milano per Napoli ritardò di mezz’ora. Fu avvertito il capotreno del locale corrispondente, per pochi minuti non volle aspettarmi e persi l’ultima coincidenza per Caserta via Cancello. Mi pagarono un taxi per raggiungere la destinazione. Questo per dire che non tutte le risorse di un’azienda sono uguali.

Viaggiando in 48 Paesi del mondo ho imparato che sul tuo cammino incrocerai spesso persone disposte ad aiutarti. Basta saperle intercettare. La routine e la frenesia ce lo fanno spesso omettere.
In Carmine ho ritrovato riflesso ciò che ero alla sua età, un ragazzo del Sud energico e pieno di voglia di realizzare tanti piccoli grandi sogni. Spero che questo gesto aiuti il suo datore di lavoro e tutti coloro accecati dal pregiudizio a confermare che il nostro Meridione può essere orgoglioso della generazione Millennials che il capotreno di Pompei rappresenta egregiamente.