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Archives Giugno 2019

Lettera dall’Alaska a Mary Shields, prima donna americana a partecipare ad una gara con i cani da slitta

Cara Mary Shields, in un ritaglio di un giornale americano lessi la tua incredibile  storia. Non avevo terminato ancora il liceo. Dissi a me stesso: “Un giorno voglio andare in Alaska ed intervistarla.” Per me non eri soltanto la prima donna americana ad aver partecipato e concluso una gara con i cani da slitta. Eri il simbolo femminile di chi aveva schiaffeggiato il becero maschilismo d’oltreoceano nelle mille miglia del percorso da Anchorage a Nome.

Quando sono passato a casa tua a Fairbanks, mi è sembrato di entrare in un luogo fatato e non perché la tua tana scodinzoli gnomi e fatine. E’ magica perché c’è l’anima appassionata e determinata di chi, a mio modesto parere, è diventata senza saperlo uno dei simboli dell’emancipazione femminile americana. Nella tua valigia di cartone di ragazza di provincia venuta in Alaska nel 1965 c’erano i sogni di una donna qualsiasi, pronta a difenderli a denti stretti.

Mentre sorseggiavo il caffè americano guardandoti diritta negli occhi, pensavo che quando sei arrivata in mezzo ai cani da slitta, l’American Dream era già evaporato con i proiettili conficcati a John F. Kennedy e che di lì a poco, dentro il pantano della sanguinosa guerra del Vietnam, sarebbero state confiscate persino le utopie agli americani che avevano riposto fede nelle urla antirazziali di Martin Luther King.

Cara Mary, non è che i tuoi bellissimi cani hanno segreti poteri da “stregoni”? Sono riusciti a farmi vedere davanti agli occhi i momenti cruciali di quella gara, la tua conquista di aver liberato i cani da slitta dal pregiudizio della schiavitù, rendendoli copratogonisti della tua vittoria per la libertà.
La nostra chiacchierata mi ha fatto ritrovare la bellezza di tutte le donne libere come te, libere di pensare e sognare, libere di essere sé stesse, anche quando temi di essere finita tra una banda di bifolchi.

Cara Mary, mi hai fatto felice e quando me ne sono andato, senza fartene accorgere, ho inghiottito il magone della prima e ultima volta insieme alla signora che dall’Alaska schiaffeggiò il becero maschilsmo americano.

Ti voglio bene.

Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita. (William Shakespeare)

Cartolina dall’Alaska: Paws for Adventure con Leslie, Chase e i cani da slitta

Leslie era arrivata in Alaska per fare l’insegnante, ma poi col tempo si era resa conto che la sua vera passione i famosi cani da slitta che hanno imposto l’ultima frontiera nell’immaginario collettivo. Oggi la Paws School For Adventure è uno dei centri più noti di Fairbanks e dintorni per chi vuole avvicinarsi a questo mondo affascinante.

I cambiamenti climatici non sono di certo dalla mia parte e non c’è abbastanza neve. Leslie e Chase mi mettono nelle condizioni di vivere al meglio l’esperienza, rendendo questa tappa uno dei momenti più emozionanti del viaggio in Alaska.
Il workshop di Chase mi porta alla scoperta di un emisfero per me nuovo, catapultandomi tra le pagine di il Richiamo della Foresta di Jack London: la preparazione della slitta, il nutrimento dei cani, la fase delicata dell’addestramento, le gare e tutto ciò che c’è dietro la vita di un musher, ovvero chi conduce la muta dei cani da slitta.

 Chase me li presenta uno ad uno, raccontandomi le storie che danno al cane la peculiarità di essere l’amico più fedele dell’uomo. Poi si parte, i cani da slitta della Paws for Adventure School sono furie, inizia un mini viaggio in un paesaggio fatto di misteri e segreti, sembra una contorsione temporale nell’antropologia dell’Alaska quando i cani da slitta facilitavano gli spostamenti, permettendo ai agli alaskini di sopravvivere ovunque.

Leslie e Chase, in questa mattinata speciale alla Paws School for Adventure, mi hanno ricordato che i pregiudizi offendono le opportunità di esplorare mondi lontanissimi che non ci appartengono, ma abbiamo sognato leggendo un libro o guardando un bel film. Da quella slitta ho vissuto in prima persona una nuova prospettiva, quella che fa di un cane e di un uomo la contaminazione del creato perché dopotutto se non ci fossero i nostri amici a quattro zampe saremmo così infelici da rimproverare il Padreterno per averci negato un amico fedele.

In Paradiso si entra per favoritismo. Se si entrasse per merito, tu resteresti fuori ed il tuo cane entrerebbe al posto tuo.
(Mark Twain)

Alaska on the road: Cartolina da Talkeetna

Talkeetna era finita sulla bocca del mondo per aver avuto un gatto buffo come sindaco (la protesta degli alaskini può smuovere le corde della surrealtà). I primi due giorni in Alaska si concentrano in questo villaggio da pagina del romanzo Little House on the Prairie di Laura Ingalls.

Alloggio in una dimora storica, Talkeetna Roadhouse, e me lo conferma il libro ad essa dedicata pubblicato da un editore locale. Si tratta di una costruzione dei primi del ‘900, che mantiene le atmosfere dei tempi. Melissa, uno dei gestori, mi fa sentire a mio agio, qui si respira familiarità, sul pianoforte in un angolo del soggiorno ci sono ammassati degli spartiti che stuzzicano la voglia di suonare.

A Talkeetna si conoscono tutti o quasi e chi si sosta qui è in viaggio verso il Parco del Denali, la vetta più alta del Nordamerica. Fa freddo ma non troppo, il cielo è limpidissimo e il sole colora tutte le foglie degli alberi. Mi dicono che sono un vagabondo fortunato, perché solo pochi eletti riescono ad avvistare da qui il mitico Denali. L’acqua dei ruscelli, il ghiaccio che si scioglie, la neve superstite mi ricordano che il mio viaggio nell’ultima frontiera è la grande opportunità per esplorare “il mondo fuori dal mondo.”

Cammino a lungo, attraverso un ponte, avvisto i binari della ferrovia: ripenso alle mattine in cui nonno Pasquale mi accompagnava da bimbo ad aspettare i treni, li adoravo nel loro andamento di beffeggiare l’infinito. Mi affaccio nel Nagley’s store, il classico negozio americo dell’alba del secolo scorso in cui trovi tutto, anche le cianfrusaglie più improbabili.

A Talkeetna non ci sono muri separatori, avverto un senso di libertà che un territorio come questo sa darti senza pregiudizio. Mangio un piatto di carne con delle patate bollite, bevo una pinta i birra locale, il sole è calato. Mi tuffo a letto, mi addormento, smaltisco la stanchezza., fuori c’è un cielo stellato che non ha precedenti. Ripenso a mio padre, che mi guarda da lassù e mi ricorda le notti stellate condivise insieme.

L’indomani mi sveglio all’alba, fuori fa un freddo cade, mi infilo un cappello e la sciarpa. Dormono tutti, il villaggio è semideserto, mi godo le prime luci del sole mentre raccolgo ogni dettaglio in direzione della cima del Denali. Il vocio del fiume e il silenzio orchestrano un concertino di strumenti naturali che fanno bene all’anima e allo spirito.

Resterei ancora a Talkeetna, ma il viaggio mi chiama. Mentre mi allontano, mi ronza in mente un passaggio di On the Road di Kerouac:

“Cos’è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? – è il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto ci si proietta in avanti verso una nuova folle avventura sotto il cielo.”

Alaska on the road: L’ultima frontiera

L’Alaska è stato uno dei sogni da viaggiatori fin dai tempi dell’infanzia. Negli Stati Uniti sono di casa ormai – dopo l’estate del 1992, l’on the road di un mese del 2005 dalla California alla Louisiana, il Ringraziamento del 2015 tra New York e Tennessee – e “l’ultima frontiera” resta la tappa speciale insieme al Tibet del mio giro del mondo. Otto ore di volo da Toronto e poi il batticuore dopo l’arrivo all’aeroporto di Anchorage.

Aspetto l’alba, fuori ci sono una manciata di gradi. Avvisto finalmente il van con cui percorrerò 1.200 chilometri andata e ritorno nel giro di una settimana tra Anchorage e Fairbanks. I miei compagni di viaggio sono alcuni ragazzi provenienti dalla Louisiana, Missouri e North Carolina che trascorreranno i prossimi mesi a lavorare come stagionali nel Parco del Denali.
La simpatica Shandricka di New Orleans mi riporta laggiù sul Mississippi dove coronai il sogno di incontrare B. B. King e Allen Toussaint.

Paul, il driver, è sbarcato in Alaska quando era piccolo per seguire insieme alla famiglia suo padre militare dell’aviazione americana: ha visto nascere il primo McDonald’s, il primo Hard Rock Cafe. Gli Alaskiani possono risultare scontrosi e scorbutici al primo impatto, ma quando si aprono diventano delle persone delizione.
Man mano che i chilometri aumentano, mi sembra di conoscere Paul da sempre, lui che per una vita ha lavorato anche come pescatore nel Golfo di Alaska. Ha una voce radiofonica e mi racconta di quando aveva lavorato in una piccola radio locale.

A guidarmi per 300 chilometri c’è Valery, arzilla driver di 70 anni che nel 1989 aveva creato insieme al defunto marito  questa piccola società, grazie alla quale tutti i giorni auto e mini van si spostano lungo una parte dell’Alaska per trasportare persone. Mi sembra di essere finito su un altro pianeta, il paesaggio cambia sfumature e contorni e tutte queste storie raccolte mi preparano ad affrontare una delle tappe più avvincenti del mio giro del mondo.

I racconti di Valery al volante mi fanno compagnia in questa lungo giro e, quando attraversiamo il piccolo villaggio di Nenana, mi sembra di essere finito in una zolla del vecchio West. L’immaginazione non avrebbe potuto raccontare ciò che ho vissuto e visto con i miei occhi. Il mio viaggio è appena cominciato, qui dove c’è l’ultima frontiera del Nordamerica.

Per l’amante della natura selvaggia, l’Alaska è uno dei più bei paesi al mondo. (John Muir)