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Archives Luglio 2019

Come in un fumetto nel giorno del nostro matrimonio

Il 17 luglio 1973 sbucai in questa vita dal pancione di mia madre.  Ho espresso un desiderio esplicito per il compleanno, essere trasformato in un fumetto e per questo ringrazio l’amico Luca Golinelli. Dal mio alter ego a fumetti, Corto Maltese di Hugo Pratt, presi in prestito una consapevolezza riadattata alla mia vita: “Quando ero bambino mi accorsi che non avevo la linea della fortuna sulla mano. Così presi il rasoio di mio padre e zac! Me ne feci una come volevo.”

Oggi, nel giorno del mio matrimonio con Luisa, mi rendo conto che questa perla di saggezza è vera fino solo in parte. C’è un Wedding Planner lassù che con gli impasti d’amore ci sa fare e agevola l’incontro degli innamorati destinati ad impararea guardare nella stessa direzione”. 
Ritrovando quella provvidenza, per errore allontanata dalla mia vita, ho avuto la conferma che su ciascuno di noi c’è un progetto d’amore che va al di là di tutte le preoccupazioni del quotidiano.

In questi anni Luisa mi ha insegnato che i pregiudizi sono il nemico numero uno di una storia d’amore autentica e che le distanze anagrafiche, sociali e quelle relative alla visione della vita si possono accorciare notevolmente senza soffocare l’individualismo che legittimamente appartiene a ciascuno di noi.

In questa versione a fumetti del giorno del matrimonio non indossiamo gli abiti da cerimonia, ma quelli che hanno fatto di noi le persone che siamo oggi e, dopo “il fatidico sì”, sono pronti ad intraprendere un percorso nuovo per la costruzione di un progetto d’amore.
La camicia apparteneva a mio padre, l’aveva indossata in tante occasioni importanti; la maglietta a cuoricini di Luisa è tra gli ultimi indumenti sistemati nel cassetto dalla mamma, segno che nessuno se ne va via per sempre, nonostante le separazioni producano un dolore stratosferico.

Accogliendo Luisa nella mia vita, mi sono accorto che questo ritorno a Napoli custodisce il significato di riprendersi le proprie radici e farle camminare in giro per il mondo con le scarpe dell’amore. Nonostante lacci di vita diverse, queste scarpe hanno voglia di camminare insieme. Questa storia ebbe inizio il 9 novembre, nel giorno del 25° compleanno di Luisa, ed è arrivata all’altare davanti agli occhi di Dio il 17 luglio, dì del mio 46° compleanno.

Stamattina, dopo lo scambio delle fedi nuziali,  mi è tornata in mente l’ultima strofa di una canzone di Lucio Dalla che sembra scritta apposta per noi:

“Anna avrebbe voluto morire
Marco voleva andarsene lontano.
Qualcuno li ha visti tornare
Tenendosi per mano.”
Original Artwork: Luca Golix Golinelli, Dillo con un Fumetto, (C) 2019 

Alaska on the road: Cartolina da Anchorage

Lorena arrivò in Alaska nel 1965 ancora in fasce.  Anchorage, l’ultima città del mio incredibile viaggio nell’ultima frontiera, ha fatto da ponte di collegamento con tutto il Centro e Sudamerica, accogliendo tante famiglie immigrate. Lorena è di origine messicana, è cresciuta qui e oggi fa l’artigiana: veste con pelliccia bambole eschimesi che sono per me un souvenir fatto a mano da portar via da un luogo sempre snobbato, perché considerato poco alaskino.

Io marcio controcorrente e nel piccolo Alaska Heritage Museum, a pochi chilometri fuori dal downtown, trovo tracce di storia locale con cui chiudo il cerchio di un viaggio circolare in cui ciascun luogo ne richiama altri.  Ringrazio Walter per avermi aiutato a raccogliere il meglio di un luogo di memoria non frequentato dai turisti, ma dai tanti studiosi che passano ad Anchorage sulle orme degli indigeni ed eschimesi che hanno dato vita a questa terra.

Anchorage è una città senza troppe pretese, perfetta per il cazzeggio tra gli sguardi dei binari della ferrovia sulla baia di Cook e gli inconciliabili tramonti che si posano sull’acqua oceanica del Pacifico senza troppi clamori.
Ti siedi su una panchina e fai nuove amicizie come è capitato a me. Kate e la sua famiglia sono originari del Sudafrica: tra una chiacchiera e l’altra solleticano la mia memoria con le sensazioni provate laggiù tra i paesaggi meravigliosi di Cape Town e dintorni in contrasto con le ferite mai socchiuse dell’Apartheid a Johannesburg.

Una birra all’Hard Rock Cafè, il primo aperto in Alaska, che spalma sulla pelle da viaggiatore quella crema vintage, che va oltre i memorabilia appartenuti ai giganti della musica.

Il Martin Luther King Memorial nel parco di Anchorage, costruito negli anni ’90 con una raccolta di fondi, testimonia il forte legame con i neri d’America e la voglia di mantenere viva la memoria della lotta per la conquista dei diritti civili.

Il cielo si annuvola. Mi avvio in aeroporto, è ora di ripartire. C’è qualcosa di inspiegabile che mi trattiene qui ancora mentre una pioggia sottilissima pizzica la mia pelle senza far venire fuori la stanchezza di questo lungo on the road.
L’Alaska mi è rimasta nel cuore, non c’è il tempo di urlarlo, sono in volo, il tramonto sputa raggi di luce sulle nubi, è tempo di andare.

In Alaska sulle spalle di Dio al Circolo Polare Artico in memoria di mio padre

Quando mamma mi regalò nel 1981 il mappamondo sul quale avrei annotato tutte le tappe del mio giro del mondo, aggiunsi il Circolo Polare Artico in Alaska: ero convinto che “l’ultima frontiera” era fatta dalle spalle di Dio e, salendoci sopra, avrei visto tutto ciò invisibile agli occhi.

Da Fairbanks ci vogliono 16 ore andata e ritorno per percorrere la mitica Dalton Highway, ovvero l’Alaska Route 11, che porta tutta diritto al Circolo Polare Artico. Il mio driver mi anticipa che il viaggio è lungo, ma ne vale la pena. A bordo siamo equipaggiati con le radio trasmittenti perché lungo il percorso non c’è corrente elettrica e segnale telefonico.
Basta uscire da Fairbanks per rendersi conto che stiamo per vivere l’impagabile sensazione di essere finiti su  un altro pianeta.

Di tanto in tanto facciamo delle soste per respirare l’atmosfera e trattenere sulla pelle quelle punte di gelo che preannunciano la meta, la più lontana verso il Nord del mondo. Un camionista ci avverte attraverso la radio di aver avvistato un paio di lupi poco lontano dalla Dalton, li rincorriamo, ma ormai sono due minuscule sagome per fare una bella foto.

A far da colonna sonora non ci sono canzoni ma il silenzio spirituale del paesaggio.  Quando ci fermiamo sul fiume Yukon, ormai una lastra di ghiaccio, il sussurro dell’acqua tocca l’anima e ti prepara al momento più emozionante. Prima però una rifocillata allo Yukon River Camp prima di proseguire. Questo è l’unico luogo in questo recinto di deserto del Nord del mondo in cui c’è vita umana.

Non mi ero sbagliato, non era stata una svista infantile quella di credere che il Circolo Polare Articolo si trovasse sulle spalle di Dio. Alle 17.50 ci sono, il sole è ancora alto, mi sembra di vedere la fessura della porta che collega il mondo dei vivi a quello dei morti. Il soffio del silenzio della spiritualità mi fa guardare il mondo dall’alto ed è come se le spalle di Dio fossero improvvisamente diventate quelle di mio padre. Non sento più quel freddo fatto di disperazione dell’istante in cui vidi con i miei occhi che non respirava più.

Una parte di me è rimasta lassù insieme al ricordo di mio padre. Da qualche parte sulla neve ho scritto:Tra la neve del Circolo Polare Artico, il punto più alto della mia vita da vaggiatore, ti ho lasciato la sua foto perché questa meta è a lui dedicata. Custodisci qui, nella preghiera del silenzio e per sempre, il ricordo di mio padre. Ciao Alaska e grazie di tutto. Non ti dimenticherò.”

Mio padre mi ha fatto il più bel regalo che qualcuno poteva fare a un’altra persona: ha creduto in me. (Jim Valvano)

Alaska on the road: Cartolina da Fairbanks

La mia mattinata a Fairbanks comincia con una colazione insieme a Jerry che, oltre ad essere il Public Relation Manager di Explore Fairbanks, è anche un appassionato di teatro.  Davanti a caffè americano, uova e bacon, mi racconta del suo documentario in fase di ultimazione sugli attori e la nuova drammaturgia in Alaska. Jerry mi fa da cicerone, è di buona compaagnia, mi porta a zonzo alla scoperta di quelle città che per tanti è  soltanto di passaggio.

Fairbanks è una tappa obbligatoria per chi vuole entrare nel vivo della vita della comunità alaskina. Non è una città che abbonda di attrazioni, ma è il modo per osservarla nella sua quotidianità con quelle abitudini che, nel raggio di pochi chilometri, ci rendono diversi gli uni dagli altri.
La buona birra artigianale, servita alla birreria HooDoo, è un buon pretesto per conrinuare a parlare con Jerry della vita di tutti i giorni, della famiglia, dei progetti futuri, del figlio che gli sta dando tante soddisfazioni.

Fairbanks ti sorprende proprio per la sua sobrietà, in questo centro che nel tardo pomeriggio assomiglia ad un set da film del vecchio Western, anche se poi assaggiando la cucina locale ammetti che sono tutte impressioni gettonate.

Il salmone ben cucinato da Lavelle’s bistrot resta uno dei piatti rappresentativi di questa zolla staccata d’America, l’ultima frontiera di nome e di fatto. Fairbanks sa esaudire i tuoi desideri in un periodo  dell’anno in cui intravedere l’aurora boreale è quasi impossibile, perché le ore di luce sono di più rispetto a quelle notturne.

Intorno alle 2 del mattino eccola spuntare nella sua raggiante bellezza: io vi attacco sulla coda un bottone, che assomiglia al legittimo desiderio di rivedere un dì mio padre.