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Archives Settembre 2021

I 35 anni di Dylan Dog, la dedica di Angelo Stano e “l’incubo” della vecchiaia

Mi sono sentito come la protagonista di Misery non deve morire di Stephen King quando “sequestrai” scherzosamente Angelo Stano, disegnatore del primo numero di Dylan Dog. Dopo l’intervista a Milano nel 2003 gli chiesi un ritratto dell’Indagatore dell’Incubo più famoso della storia del fumetto. Oggi 26 settembre quel disegno con dedica, che giace come una reliquia su una parete di casa, è per me una sveglia del tempo: Dylan Dog compie 35 anni.

L’INCUBO DELLA VECCHIAIA

Scatta “l’incubo della vecchiaia” per la mia generazione? Il personaggio da letteratura a fumetti di Tiziano Sclavi, snobbato fin da “L’alba dei morti viventi” dagli intellettuali del tempo, ha seminato tra le strisce bonelliane una costellazione di profezie.
E se per noi adolescenti di allora, assidui frequentatori di edicole e fumetterie, bussa alla porta con trepidazione il timore del tempo fuggiasco, anche per chi non avesse mai preso in mano un albo di Dylan Dog, non c’è via di scampo.

INCUBI E PAURE NELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO

La penna abile di Sclavi ci ha anticipato nelle storie, sul filo del rasoio tra fantasia e realtà, gli incubi e le paure dissipate nell’immaginario collettivo in un lungo lasso di tempo. Dylan Dog e l’inseparabile assistente Groucho sono stati uno specchio infrangibile per 35 anni, una sorta di sfera di cristallo in cui scorrere le nostre fragilità di cui prima o poi avremmo pagato il conto.
Dalle pagine benedette da un grande editore, il compianto Sergio Bonelli, è rimasto intanto il senso di sospensione – tra l’altro un punto di forza di ogni singola storia – che poi si riversa immancabilmente nelle vite di ciascuno.

Niente è definito, proprio come gli incubi di Dylan e di tutti noi.

Il Dylan Dog disegnato da Angelo Stano a Milano nel 2003 dopo la mia intervista.

Back to School: Lorenzo Rocci meritava di più!

Lorenzo Rocci, grecista e lessicografo, noto a tutti come il papà del più completo e famoso dizionario Greco-Italiano, era nato nello stesso fazzoletto di terra di Lucio Battisti. Tra la Fara in Sabina dell’erudito e la Poggio Bustone del cantautore ci sono una cinquantina di chilometri in auto.
Entrambi i paesi della provincia di Rieti si sono sforzati di omaggiare i loro concittadini illustri e, in fin dei conti, a Battisti è andata meglio di Rocci perché a pochi anni dalla scomparsa ha ricevuto il monumento in paese.
Il povero Rocci ha dovuto penare un po’, a settant’anni dalla scomparsa con l’aggiunta di uno slittamento per la pandemia, ha finalmente avuto una scultura in bronzo che guarda al suo liceo a Fara in Sabina.

IL ROCCI TRA I RICORDI DI NOI LICEALI

L’Italia è un Paese di smemorati e così uno dei più grandi grecisti d’Europa deve mendicare memoria collettiva? Per i liceali della mia generazione, il Rocci era il dizionario voluminoso che i nostri genitori ci avevano comprato con sacrificio. Ricordo la sera d’autunno del 1987 in cui papà, ancora con la tuta da lavoro, tornò da una libreria con il tomo gigante. Un salasso, aveva tirato fuori più di 100.000 delle vecchie lire.
Si sa che le mie frequentazioni ai tempi erano già anglofone e restavo attaccato alla gonnella di Shakespeare, ma ogni volta che predevo 5 ad una versione di greco mi sentivo in colpa. Eppure il dizionario Rocci è rimasto un monumento immacolato nel mio archivio e, anche quado è sbucata la moda di vendere i vecchi vocabolari di greco e latino, io ho detto no. Non è stato un atto di sentimentalismo verso i giorni spensierati del liceo, quanto la lucida consapevolezza del valore dell’opera omnia del gesuita di Fara in Sabina.

ALTOLÀ, QUALE STRUMENTO DI TRADUZIONE?

Dopotutto neanche la generazione dei miei professori è stata all’altezza di onorare la memoria di Lorenzo Rocci, magari dedicandogli una giornata di lezione monotematica per trasmettere a noi studenti di allora il valore della sua opera. Indaffarati a riempire registri, portare avanti programmi ministeriali, inciampare nello sterile nozionismo, ci hanno fato credere che IL Rocci fosse esclusivamente uno strumento di traduzione.
Perché Lorenzo Rocci avrebbe meritato di più in questi settant’anni dalla sua scomparsa? Perché quel dizionario è un compendio di storia, patrimonio dell’umanità compilato da un gesuita con certosina maestria.
Il dizionario Greco-Italiano, edito dalla Società Dante Alighieri, non è stato l’effimera compilazione di schedine, ma un’opera all’avanguardia che ha registrato con puntuale meticolosità l’evoluzione del greco antico, sgattaiolando tra le evoluzioni linguistiche sotto le varie dominazioni, inclusa quella bizantina.

LE NOSTRE SCUSE A PADRE ROCCI

Altro che eBook, ogni pagina del buon vecchio Rocci profuma di storia e ci mette, ahimé, di fronte a una dolorosa presa di coscienza: l’involuzione e l’imbarbarimento linguistico che serpeggia nel ping pong quotidiano di Whatsapp. Chiedere scusa a Padre Rocci per non averlo riconosciuto abbastanza? Perché no, canterebbe il suo conterraneo Battisti.
Al di là degli allori istituzionali – quelli lasciano il tempo che trovano – basterebbe che ogni studente di oggi, di ieri o dell’altroieri mettesse aperto sul davanzale della finestra il suo dizionario e lasciasse che il fruscio del vento sfogliasse le pagine come fossero un memento.

Sarebbe un modo “romantico” per ribadire: “Scusaci, Lorenzo Rocci. Meritavi di più!

Lo Sport ci salverà

Mentre la politica italiana gioca a dadi in vista delle prossime amministrative e i No Vax fanno rumore per nulla, c’è un’immagine che ci rassicura in quello che si prospetta un’autunno caldo tra le insidie del filo spinato post-pandemia: i pallavolisti italiani che balzano da campioni sul tetto d’Europa. Lo Sport ci salverà dalle acque torbide dell’incertezza?

LO SPORT CI SALVERÀ

Per una volta non è la malattia del calcio – chapeau alla Nazionale di Mancini che ci ha regalato un’estate azzurra – o il campanilismo all’italiana del campionato ad oscurare il resto. Si tratta dello Sport con la “Esse” maiuscola, che spesso e volentieri nella vecchia tv generalista dovevamo andare a cercare da nottambuli: è scoprire l’acqua calda se ribadiamo che il pallone è re dei botteghini e degli ascolti televisivi.

FRAGRANZA

Di questi sportivi campioni, mi ha colpito la fragranza, negli occhi accesi dei pallavolisti, nel campione azzurro in lacrime che si scusa con la fidanzata per averla trascurata o la dedica alla sua piccina, nell’abbraccio lungo di Valentina (Rodini) e Federica (Cesarini), canoiste Oro alle Olimpiadi di Tokyo. Un profumo autentico che va controcorrente rispetto alla contraffazioni di oggigiorno.

RADICI

Mi hanno emozionato Myriam (Sylla) e Paola (Egonu), le due azzurre che hanno riportato il Volley femminile nell’olimpo degli dei e la cui italianità ha radici lontane: la prima figlia della Costa D’Avorio, la seconda della Nigeria.
La mia generazione è figlia di emigranti dal Sud Italia, chi più chi meno, e tanti campioni sportivi di oggi sono l’espressività della nuova Italia meticcia che raccoglie nella multietnicità extra-europea i germogli del futuro.

DISABILITÀ

La montagna di medaglie azzurre collezionate alle Paralimpiadi di Tokyo ha dimostrato che lo sport è un grande motore per combattere la sedentarietà della disabilità e agevolare l’integrazione sociale.
L’Oro di Ambra (Sabatini) nell’atletica, l’Argento di Stefano (Raimondi) nel nuoto, il Bronzo di Federico (Mancarella) nella canoa, l’Argento di Vincenza (Petrilli) nel tiro con l’arco o l’oro record mondiale di Antonio (Fantin) nel nuoto hanno tratteggiato con l’evidenziatore un bel pensiero dell’ex giocatore di baseball Jim Abott: Non è la disabilità che ti definisce, ma il modo in cui affronti le sfide che la disabilità ti presenta.

ANTIDIVISMO

Matteo (Berrettini) con la sua racchetta in finale sul prestigioso campo di Wimbledon ha restituito dignità all’individualismo sportivo del tennis, chiarendo che si può restare sé stessi anche nelle imprese più ardue dando un calcio in culo al divismo. Cosa dire del Matteo sobrio davanti al Presidente del Consiglio, al ritorno da Londra insieme alla Nazionale di Mancini?
Lui, senza allori sulla testa, è stato un bell’esempio per tutta la classe dei suoi coetanei ventenni, annegati spesso nel divismo di cartone a tutto social.

TRASFORMISMO

Lo Sport ci salverà? Sì, questo Sport e i suoi campioni autentici ci salveranno dal trasformismo canonico che invade ogni angolo delle nostre vite terrene, spingendoci su una zattera lontano dai Tale e Quale Show e Grandi Fratelli Vip televisivi, dall’insulso camaleontismo politico che si aggrappa all’ultimo Green Pass, dalle scorregge social che puzzano a seconda del giro di boa.
Il trasformismo cronico non ci mancherà finché sbatteremo contro un muro di parole come queste di Alex Zanardi:

Quando mi sono risvegliato senza gambe

ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa.

Gabriele, il primo anno di vita non si scorda mai…

Il primo anno di vita non si scorda mai, anche se crescendo sembra che la memoria abbia seppelito questi preziodi dodici mesi in chissà quale abisso dell’anima. Che fai ti giri nella culla, Gabriele?
Hai ragione, è presto, sono venuto a svegliarti mentre tutti dormono. No, non siamo sulla spiaggia di quest’estate, ma nel tuo luogo natale, in quelle valli del vicentino che fanno del paesaggio veneto l’albero genealogico della tua famiglia.

Il primo anno di vita non si scorda mai, Gabriele. Tieniti alla larga da chi vuole darti ali di cartone, come quei poveracci che si spostano da una zolla d’Italia all’altra e sognano figli eroi e supersonici, poliglotti, sottomettendosi ai riti dei nuovi luoghi, che mai apparterranno loro.


Impara il dialetto della tua terra perché è l’idioma della tua gente, delle tue radici che hanno gambe e vogliono correre. Impara a far danzare le consonanti e le vocali del nostro italiano per comporre i nomi di mamma e papà, che con lo zampino di Dio ti hanno messo al mondo e ti aiuteranno a crescere in questa vita.

Accarezza il viso dei nonni perché le loro meravigliose rughe indicano le vie, i percorsi dei sacrifici per allevare chi c’era prima di te. Sali sulle spalle di tua nonna per guardare il viso stanco degli operai all’uscita delle concerie, prima del tramonto, e il loro sollievo nell’attesa di abbracciare i propri figli.

Chiedi a tuo nonno una vecchia carta geografica e guarda all’essenza del mondo non come fanno i turisti di oggi, ma con gli occhi di uno dei più grandi viaggiatori di tutti i tempi, il tuo compaesano Marco Polo.
Chiedi ai tuoi zii di cucinare, sulle orme di un’antica ricetta tramandata, uno dei piatti che, attraverso sapori e retrogusti, ti faccia tenere nel palato il tuo Veneto.

Allenati ad emozionarti, a vedere danzare i sogni, e quando un giorno finirai tra le braccia di quella donna che sarà tua per sempre, allora tornerà a galla, come in una leggenda d’amore, questo tuo primo anno di vita. Non è un incantesimo, si chiama amore ed è la bussola della nostra esistenza.

Gabriele, che viaggio ricco di sorprese sarà questa vita, presagio dell’immensità.

Interno giorno. Buon compleanno, Massimo

Mentre aspetto Massimo mi perdo nel labirinto di un archivio tra libri, film, ritagli di giornale. Ecco le foto, quelle che cercavo: all’Arci, a lezione, nelle battaglie civili, in bianco e nero negli anni delle contestazioni studentesche, delle lotte sindacali, in viaggio verso il Sudamerica, con un occhio di riguardo, fisso, verso i più deboli, mano nella mano con la sua donna, papà premuroso con i figli.

INTERNO GIORNO

Ah, eccoti. Sapevo che saresti venuto. Ti stupisce che sia passato a trovarti nel giorno del tuo compleanno? Gli uomini sono stolti quando ribadiscono che i compleanni prima o poi finiscono. No, durano all’infinito perché la nascita di ogni essere umano va ricordata senza remora temporale. E poi le nostre vite, Massimo, sono legate le une alle altre come il filo di un gomitolo di lana. Pensa alla mia se non ti avessi conosciuto? Sarei rimasto intrappolato nei film ingurgitati con la passione da ventenne.
Grazie alla tua amicizia e alle tue lezioni tutte quelle sceneggiature messe in fila sono diventate il grandangolare con cui osservare la vita.

Ti spiace se abbasso la tapparella? Non so perché ma in questo posto mi acceca la luce del sole. Ah, dici che è meglio uscire fuori sul terrazzo?

ESTERNO GIORNO

Avevi ragione, qui si sta bene. Da qui si vede tutta la Laguna, laggiù Malomocco e la casa di Corto Maltese, il Lido di Venezia dove trasformammo il sogno di “Villaggio Globale” in tanti corti. Massimo, da quante persone sei riuscito a farti voler bene. In realtà sembra la cosa più facile del nostro mondo, ma dire “ti voglio bene” è complicato perlopiù. Forse perché temiamo che l’altra persona lo reputi un atto tremendamente infantile o rimandiamo soggiogati dal pudore, puntando a chissà quale momento migliore. Non è una fragilità dirlo, ad alta voce, è una liberazione verso chi ci sta davvero a cuore.

Volevo portarti un regalo di compleanno, ma il portiere al piano terra mi ha detto che non potevo. In realtà mi ha ricordato che il regalo me lo avevi fatto tu indicandomi nel sogno dell’altra notte la strada per venire a trovarti. E’ come se avessi perso il conto del tempo salendo in ascensore. La lunga salita mi ha stordito.

INTERNO NOTTE

Da piccolo avevo paura del buio. Mio padre mi rassicurava e mi indicava il punto luce nel fondo della stanza. Non dovevo arrendermi. Stropicciando gli occhi dal punto luce vedevo la proiezione di un’ombra. Ora capisco, eri tu, sei stato l’ombra di papà. Ecco sono venuto a dirtelo.
Ho avuto la fortuna di avere un papà biologico meraviglioso a cui devo tutto, ma tu sei stato per certi versi la continuazione. Quando quella volta mi mise su un treno regionale Napoli-Roma per venire da te, papà instaurò una congiutura tra lui e te: avevate tante battaglie in comune perché sapevate il prezzo del futuro.

ESTERNO NOTTE

E’ arrivato il momento di spegnare le candeline. Come, qui non ci sono candeline? Ah, capisco qui soffiate sulle stelle. Massimo, ho impiegato 48 anni e ora mi è tutto più chiaro: l’accensione e lo spegnimento delle stelle ad intermittenza non è un effetto ottico, ma l’indicazione che da voi quassù qualcuno stia spegnendo le candeline di compleanno. Non si finisce mai di imparare.
Massimo, Massimo, Massimo. Lo senti il suono del carillon nell’angolo? Quello è un motivetto conosciuto… non mi vengono in mente le parole, qui da te confondo tutto. Ah sì, eccole…

Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole

Mentre il mondo sta girando senza fretta

Lo canticchierò guardado negli occhi la tua nipotina Alice, appena avrò la gioia di conoscerla, e le dirò che sei il nonno più orgoglioso dell’universo. Massimo guarda, nella tasca del jeans c’è finita una candelina…Aspetta l’accendo, perché tu sei stato e sei un punto di riferimento nella vita per tanti di noi.
Ora vado, mi sembra di sentire sulla spalla la tua mano proprio come il giorno in cui sei partito. Aiutami a trovare la strada del ritorno.

Massimo, ho deciso. Verrò a trovarti il 4 settembre di ogni anno e il tuo compleanno sarà un pretesto per dare continuità al nostro dialogo. Ora vado…

Buon compleanno, Massimo.