Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

La valigia, compagna di viaggio o vacanza?

In valigia...

Rosario PipoloPer me la valigia è un oggetto sacro. Crescendo ho imparato ad associarla al viaggio più che alla vacanza. Ognuno ci mette quello che vuole. Da bambino, in procinto di partire per la villeggiatura, li vedevo tutti ossessionati dalla valigia: i miei erano timorosi di dimenticare qualcosa,nonna Lucia era alle prese con i suoi 12 paia di scarpe da portarsi dietro, nonno Pasquale la trasformava in una farmacia da viaggio con i medicinali per la pressione e mia sorella Rossella si sarebbe fatta afferrare per pazza se le avessero negata uno scomparto per le sue Barbie! Per me il significato di valigia è cambiato nel 1988 in Inghilterra, quando sono partito da solo per la prima volta. I miei me ne hanno imposto una extra-large, grande come una casa. Mi prendevano in giro e dentro c’era veramente di tutto: c’entravo persino io, giuro! Le dimensioni dei miei bagagli sono cambiate nel tempo, anche se per la mia traversata negli USA di qualche anno fa, ho usato una Sansonite. Provate ad immaginarmi in Texas a fare l’autostoppista con una valigia di quel tipo! Al di là delle dimensioni o che la faccia alla svelta, la valigia per me è una grande compagna di viaggio perchè ogni volta che la preparo mi dico: e se fosse l’ultima? Magari nella prossima meta ci resterò per sempre e non mi muoverò più! E pensare che mio padre ha detestato sempre i bagagli perché gli ricordavano le partenze dei fratelli e sorelle, emigrati in Francia. Per me sono tutt’altro, un ponte tra il posto in cui sono e quello in cui andrò, in viaggio o in vacanza, lasciando parecchio spazio libero per riempirlo con i ricordi delle nuove persone conosciute.

Il kebab arriva tra le montagne e sconfigge pizza e porchetta!

Kebab

Rosario PipoloDopo una lunga traversata in treno dalla Svizzera tedesca, un pausa non guasta. Capitare a Domodossola in una sera d’agosto non è il massimo, ma almeno si trova qualcosa da mettere sotto i denti. Siamo ad una manciata di chilometri dal confine tra le valli suggestive del Piemonte. Di prodotti locali da sgranocchiare neanche l’ombra e un panino al formaggio sembra roba di altri tempi.  Quei pochi ristoranti aperti sono semivuoti e sfornano qualche pizza. In corso Moneta c’è un kebabaro aperto e così mi fermo volentieri lì. Giusto in tempo perché Alì mi confessa che ad agosto vende più kebab del solito. La cliente in fila prima di me se ne porta a casa sette! Scusate, ma sono a Domodossola o in un paesotto della Turchia?  La cosa curiosa è un’altra: molti clienti sono del Sud Italia. Lui mi riconosce dall’accento e ribatte: “Non è caro pagare una pizza 4 o 5 euro? Se pensi che è acqua, farina e pomodoro…” E’ l’unico motivo che ha fatto prendere agli italiani una cotta culinaria per questa pietanza turca? Ormai il kebab ha fatto il botto ed ha sostituito il panino con la porchetta, dal Piemonte fino al Trentino. Persino alcuni locali italiani hanno bandito lo spiedo per i polli e si sono organizzati con il girarrosto verticale per fare kebab. Insomma neanche l’afa estiva ferma l’ascesa al trono del panino etnico (il migliore l’ho mangiato nel quartiere turco a Berlino). Aspettando di assaggiare il prossimo ad Instambul, spero che in Turchia non ci sia una controtendenza tra pizze e polli allo spiedo. Sarebbe un altro scherzetto del villaggio globale!

Stalking, se lo conosci lo eviti!

Stalking telefonico

Rosario PipoloDa ragazzino sono rimasto colpito da una notizia di cronaca locale: un uomo ha iniziato a martellare di telefonate e a pedinare l’ex compagna perché voleva ritornare con lei. Quella volta di mezzo c’era una figlia. Nei primi anni ’80 il termine stalking assomigliava più a un residuo di un film di fantascienza che al reale significato: perseguitare in inglese. In questi giorni se ne torna a parlare perché il Ministero delle Pari Opportunità ha lanciato la campagna di comunicazione per promuovere il numero gratuito antiviolenza e antistalking 1522 (attivo 24 ore su 24) con lo slogan “quando le attenzioni diventano persecuzioni”. Una volta c’erano le lettere anonime, le telefonate sul fisso o i pedinamenti sotto casa. Adesso lo stalking si adegua ai tempi del villaggio golbale tra squilli dal cellulare, fastidiosi sms e email, nonché raggiri sui social network. Lo stalker, che oggi rischia da sei  mesi a quattro anni di reclusione, monitora la tua pagina di Facebook o chiede agli amici virtuali in comune di diventare suoi complici.  Credo che l’allarme non debba scattare quando si arrivi ai casi estremi (l’uomo che ha accoltellato l’ex moglie davanti a un asilo nido di Milano), ma è necessario un intervento preventivo. Ci sono diversi livelli di stalking, di cui alcuni anche inconsapevoli, ma insopportabili per la vittima. La campagna di comunicazione voluta dalla Carfagna mi lascia perplesso su un punto: perché porre l’accento sulla donna preda proprio adesso che crescono le segnalazioni di uomini tra le vittime dello stalking? E’ difficile ammetterlo, ma anche il gentil sesso può essere rapace! 

Pene d’amore, cercasi “strizzacervelli” disperatamente!

Lo strizzarcervelli

Rosario PipoloAlcuni anni fa una collega di mia sorella finì dallo psicologo perché il ragazzo la aveva lasciata per un’altra, che per giunta era la sua migliore amica. Che stronzo! E lo strizzacervelli le disse: “Signorina, se la goda, sia dia alla pazza gioia”. Sono sempre alla ricerca di aneddoti curiosi da condividere con voi e il prossimo arriva dal nostro Sud. Parliamo delle solite famigliole che si illudono di tenere sotto controllo le pene d’amore dei figli. Una volta la figlia che voleva scappare col ragazzo che amava, veniva mandata in collegio, dal prete del paese o addirittura dall’esorcista: “Quella svergognata è posseduta dal demonio. Vuole andarsene senza arte né parte”.  Oggi, dopo averle tentate tutte (chiusa in casa, diseredata, colpevolizzata, telefono sotto controllo, lavoro a pochi passi dall’ufficio di mammà), è arrivata l’ora dell’ultima spiaggia: lo strizzacervelli. Basteranno una decina di sedute per ripulire mente e cuore dai ricordi e far tornare “la figlia svergognata” sulla retta via, sotto la campana di vetro dei borghesotti di provincia? Sarà sufficiente un cachet di 1000 euro per liberarla una volta per tutte dal “plagio” del suo Romeo? E se il plagio significava non rispettare le regole della “sacra e mamma santissima famiglia”, ci vorranno un paio di medici  per mettere fine a tutto, magari torturandola con Valerio Scanu che canta Beyoncè!  Più che di queste pene d’amore, mi preoccuperei di organizzare una seduta collettiva. Fabrizio De Andrè diceva che sotto il letame può nascere un fiore. Aggiungerei: a meno che la cacca non sia nascosta sotto i tappeti del salotto di casa. Tra regali, borsette di Vuitton e vestitini griffati l’allegra famiglia tornerà nella squallida quotidianità. Sotto quel letame lo strizzarvelli troverà quel mucchio di pene d’amore tra i petali di un fiore. E a questo punto dovrà consultare a sua volta un bravo giardiniere!

Quando una storia finisce su Facebook…

facce da facebook

Rosario PipoloNon vale sempre la legge dell’happy end. Mi ricordo la fine di una storia un ventina di anni fa. Paola, una cara amica d’infanzia, e Gennaro chiusero il loro fidanzamento  scaraventando dal balcone tutti  i regali. I passanti erano lì sbalorditi, ma almeno questo “sfogo plateale” fece capire a tutti e due che il destino li invitava a prendere strade diverse. E così fu. Nell’estate dei social network e della sindrome collettiva “da reality”, finiscono su Facebook matrimoni, fidanzamenti, flirt o storie transitorie. Persino una suora ha visto la vendetta del suo ex , che ha pubblicato su Facebook alcune foto in topless e non si è rassegnato a “quel maledetto voto di castità”. Come finisce una storia su un social network?  Lei mette in scena, secondo un copione da sceneggiata napoletana, il suo “status” di disperazione, e lui è lì a non fare niente. Arrivano gli amici che tra commenti e foto urlano: “Perché farci i cazzi nostri? Vieni qui che ti difendiamo noi da quello stronzo”. Nel passaggio dall’agorà reale a quella virtuale, la coppia ha perso il sacrosanto diritto di confrontarsi perchè al bivio è più opportuno scegliere la strada più comoda e patire il vittimismo della fragilità da YouTube generation. Paola e Gennaro hanno detto basta ai loro sentimenti adolescenziali con un raptus “folcloristico”, ma pienamente aderente alla realtà.  Nel cono d’ombra virtuale sulla via di Facebook o Twitter si consuma tutto in silenzio, ma trasuda come un sepolcro imbiancato l’invadenza degli ultimi baluardi delle famiglie patriarcali e matriarcali. Per fortuna, un razza in estinzione: genitori che “colpevolizzano” i figli perché l’involucro della piccola borghesia di provincia sia l’unico stile di vita: “Fa’ la cosa giusta. Lascialo e salvati finché sei in tempo”. E cosa farne di questi padri, servi per una vita intera e detentori di un labile autoritarismo, o madri che hanno scambiato la meschinità per saggezza? Lasciarli annegare nell’agorà virtuale del web come “due miserie in un corpo solo” (disse l’apostolo Gaber!), mentre “il gabbiano con l’intenzione del volo” se la dà a gambe.

Battibecco all’italiana, si salvi chi può!

blog150Si salvi chi può da questo vortice mediatico che trasforma politici in orchi da minorenni. Chi se ne frega di votazioni, di cosa ne sarà dell’Italia alle prossime Europee o degli sbalzi d’umore della Corea del Nord. L’importante è ficcare il naso nel cortile e vedere che aria tira: due direttori di giornale che si azzuffano in tv sul gossip politico-pubblico-familiare del momento, dimenticando che qui nessuno è santo e che l’Italia dell’editoria è fatta di “padrini” e “padroni” senza eccezioni.  Si salvi chi può dai leader imprudenti che non pensano prima di parlare, offendendo e tirnado in ballo persino la figliolata dell’avversario politico.  E mentre una coppia di giornalisti italiani prosegue sulle vecchie orme di Woodward e Bernestein del Washington Post per innescare il “Watergate italiano”, il rebus del gossip si fa più complicato. Dopo il fidanzato, spunta “la zia” della dolce pupilla e l’intrigo diventa al gusto di soap opera. Ci sarà ancora qualcuno di buonsenso con il coraggio di distaccarsi da questa sceneggiata? Il gossip dilagante non serve a farci star meglio. Le nostre tasche sono sempre più vuote e all’estero continuano a ridere di noi.

Il prosciutto di Montagnana, dal sapore alla geografia dei luoghi

prosciutto150A casa mia il prosciutto crudo non è mai mancato. Da ragazzino ero sfaticato nelle faccende domestiche, ma a fare la spesa ero il numero uno! Se il salumiere non me lo dava a taglio perfetto,  lo eliminavo dalla lista della spesa.  La salumeria è un’arte e lo conferma la mia recente sosta a Montagnana, graziosa località veneta e patria di un prosciutto dolce dop. Volete provare a far sussultare il vostro palato? Assaggiando il crudo dell’antico prosciuttificio Attilio Fontana , mi sono convinto della via che unisce gusto e geografia dei luoghi. Lo so di essere troppo “proustiano”, ma il sapore del crudo di Montagnana non ha spalmato solo qualche ricordo nel mio fine settimana veneto. Ha risvegliato in me una più acuta tutela e promozione del patrimonio gastronomico locale, a cui le istituzioni locali devono dedicare tutti gli sforzi possibili. Potrebbe essere la volta buona per farci disinnamorare dei salumi industriali e delle tristi corsie degli ipermercati.

E poi dice che non si può mangiare fuori spendendo poco!

carbonara0704_468x454150Sono in molti a sostenere che i giornalisti siano “scrocconi”. Per quelli che lavorano come me nel settore dell’intrattenimento, le malelingue si moltiplicano: ti invitano qui, ti invitano lì! Anche a noi succede di pagare e, vista la miseria degli stipendi, la scelta di andare a pranzo fuori di questi tempi è davvero un dilemma. Un pranzo low cost? Qualcuno lo snobba perché poi nel menu c’è  lo scarto. Smettiamola di generalizzare. Sabato scorso ero seduto all’Osteria dell’Operetta, in corso di Porta Ticinese a Milano. Un posto delizioso: nonostante la dieta, mi sono gustato la mia carbonara e del pesce spada alla griglia con un contorno di verdue, accompagnato da una mezza bottiglia di acqua San Pellegrino. Mi sono visto arrivare il conto: 12 euro. Non vedevo un prezzo così da chissà quanto tempo. Credevo avessero sbagliato, invece era giusto perché rientravo nella formula del menu fisso. I gestori dell’Osteria dell’Operetta sono giovani ed hanno un grande pregio: tenersi distanti dal solito “disfattismo lagnoso da effetto crisi” e impegnarsi a mantenere – per la gioia del palato e delle tasche – un buon rapporto qualità-prezzo. Mangiar fuori ci svuota i portafogli? Quasi quasi mi abbono e così pranzo fuori ogni sabato, alla faccia della “mia dieta” e della “crisi”!

San Valentino, festa degli innamorati o del business?

san_valentino150C’era una volta un rito pagano a cui partecipavano i romani, rendendo omaggio al dio Lupercus. La ricorrenza prevedeva che uomini e donne fossero messi in un’urna  e  mescolati, vivendo in intimità affinché si realizzasse la fertilità. Nel V sec. d.C. la Chiesa tolse dal calendario questa usanza blasfema e piazzò il 14 febbraio la festività dedicata a San Valentino, il vescovo martire morto nel 273 d.C. Secondo il gossip di allora si era innamorato di una giovane fanciulla in carcere prima di morire. La città di Terni custodisce le spoglie di Valentino ed ogni anni centinaia di coppie si recano lì per una paticolare benedizione. Tante leggende ruotano attorno alla festa degli Innamorati, peccato però che quasi nessuno sappia le origini di questo giorno. Una trentina di anni fa ho visto mio padre tornare a casa con un tubo di baci Perugina e da quel momento ho conosciuto la festa di S. Valentino. Il giorno dopo ho rubato un cioccolatino a mia madre e l’ho portato alla mia amichetta del cuore! Un gesto tenero che oggi si perderebbe tra le onda del business. Il 14 febbraio è diventato negli ultimi dieci anni una spericolata ricorrenza commerciale e tutti vi finiscono per esserne vittima. Io mi accontento di un cioccolatino a forma di bacio accompagnato da un bel libro o un cd musicale, alla faccia di chi pensa che anche un batticuore sia al servizio degli affari.

‘A livella e gli eccessi del 2 novembre

“Ogn’anno, il due novembre, c’é l’usanza per i defunti andare al Cimitero. Ognuno ll’adda fà chesta crianza; ognuno adda tené chistu penziero.” Per chi non li avesse riconosciuti, questi sono i primi versi di ‘A livella, meravigliosa poesia scritta da Antonio De Curtis, in arte Totò. Il Principe del sorriso ci ha donato una suprema riflessione in versi: volendo o non, dinanzi alla morte torniamo ad essere tutti uguali. Per me il 1 e il 2 novembre sono giorni particolari. Nella mia famiglia li dedicavamo ai nostri defunti, non tanto per fare “lo struscio” al cimitero, ma per pensare ai nostri cari che non c’erano più. Nei cimiteri del Sud vivevo quasi un’aria di festa, vedendo fin da piccolo migliaia di persone assiepate ovunque. Peccato però che poi durante l’anno c’era il deserto. Non sono qui per discutere sulla scelta di visitare un defunto al cimitero, piuttosto sulle lotte inutili per acquistare la cappella di famiglia, per avere la lapide più bella o svuotarsi il portafogli a tutti i costi per il sovraccarico di fiori. Questo atteggiamento tra folclore e mania di protagonismo – per non parlare dei titoli ed appellativi che notavo sulle lapidi- mi ha sempre stizzito, anche oggi che vivo lontano da Napoli. De Curtis concludeva così: “Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie… appartenimmo â morte!”. Nel piccolo cimitero della provincia di Napoli, dove sono sepolti i miei nonni paterni, ho osservato anno dopo anno gente che voleva affermare il suo ruolo sociale anche al di là di quel cancello. Alla faccia di quella mentalità feudale e delle famiglie borghesotte e provinciali, io preferisco ancora un petalo di rosa e un crisantemo per ricordare che la morte è una cosa troppo seria. Smettiamola di trasformare il 2 novembre in una farsa carnevalesca!