“Mangia soldato, ingoia questi bocconi amari”, perché il rancio che ti passavano non aveva niente a che vedere con i cibi cotti a legna da tua madre.
“Scrivi soldato ma non raccontare a casa l’inferno che stai vivendo”, ti ordinavano dal fronte. Tanto tuo padre non sapeva leggere e ogni santo giorno, al calar del sole, dopo aver zappato la terra che ti aveva partorito, guardava all’orizzonte con la speranza di vedere la tua sagoma.
Il mio viaggio della memoria, dopo la mia visita ad Auschwitz di tanti anni fa, riparte da qui, dal sacrario militare di Redipuglia. Qui, dove la terra del Friuli-VeneziaGiulia custosice da cent’anni la memoria della Grande Guerra, mi fermo in silenzio per guardare in viso gli eroi, figli caduti sul Carso, mandati a perire nella “grande disfatta” che ha recintato la mietitura dell’imperdonabile flagello d’Europa.
Soldato Augusto. Presente. Soldato Pietro. Presente. Soldato Giovanni. Presente. Soldato Paolo. Presente. Soldato Vittorio. Presente. Soldato “ignoto”. Presente. Quanti siete, non si finisce mai di contare. Su ogni gradino trovo ritagli di vite mancate; il rumore di ogni mio passo viene spezzato da questo interminabile silenzio. E solo le ultime gocce d’acqua mi fanno capire che qui piovono le lacrime del Padreterno, perché ai tempi della globalizzazione non abbiamo ammesso ancora che ogni guerra, come recitava il titolo di un film di Renoir, resta una “grande illusione”.
Ogni italiano dovrebbe venire qui riempire un viaggio con le dovute riflessioni. Ed io, che oggi ho rinunciato ad un banale giorno vacanziero al mare, ho restituito al mio viaggio il volto della verità. Se oggi esisto, è grazie al sacrificio di tutti voi.
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