The walk on the wild side non è un brano qualunque come quelli che si ascoltano, si consumano e restano lì impolverati sull’iPod. E’ il richiamo per far uscire dai nostri abissi quella parte “selvaggia” che abbiamo sottomesso alla routine tra rinunce e vivere per apparire. Maledizione a noi che ci siamo cascati. Maledizione a noi che abbiamo pensato che un elettroshock ci avrebbe redenti per uscire vivi dalle fiamme dell’inferno. Ci avevano provato prima con Alex in Arancia Meccanica e poi con il leader bisessuale dei Velvet Underground, che cantò il suo dolore in Kill your sons.
Lewis Allan Reed e le sue poesie trasfigurate in rock dalla pelle jazz e blues. Lewis Allan Reed e quelle contorsioni di basso che stendevano la ribellione di una generazione su un tappetto di velluto. Lewis Allan Reed e la banana di Andy Warhol, sulla copertina del mitico LP dei Velvet, che gli intellettuali avrebbero dovuto ficcarsi nel sedere. Lewis Allan Reed e le follie dei poeti maledetti, saccheggiando pagine di letteratura nei riflessi dell’oscurità di Edgar Allan Poe. Lewis Allan Reed e l’amore che si snocciola nella compostezza divina e lo lega per sempre alla musa Laurie.
Doo, doo-doo, doo-doo, doo-doo-doo. Abbiamo camminato con il fiato sospeso on the wild side e ci siamo presi la nostra fottuta rivincita. E’ stata una delle poche volte in cui la poesia ci ha girato le spalle, lasciandoci addosso il tanfo del rock. Doo, doo-doo, doo-doo, doo-doo-doo. Senza rimpianti né pentimenti, ci mancherai Lou!
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