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La Concordia e Facebook: La beffa burlona del capitano gradasso

Il volto barbuto dell’attore John Hewer, protagonista di un famoso spot dei primi anni ’80, ci fece affezionare bonariamente ai capitani delle imbarcazioni. Ci chiedevamo quali pericoli corressero e se prendessero una paccata di soldi, nonostante di mezzo ci fossero dei bastoncini di merluzzo. Dall’altra parte lo staff della Pacific Princess, la nave protagonista della serie tv Love Boat dell’Abc, appiccicò sul nostro immaginario la crociera come il viaggio verso l’isola della felicità. L’America di Love Boat era la stessa che aveva seppellito gli orrori del Titanic.

In queste ore dell’Italia sta parlando il mondo intero e non è follia pensare che tra una decina d’anni ci gireranno un film sull’ Isola del Giglio. E non solo per il disastro ambientale che potrebbe infognare il mar Tirreno, ma per la “nave-albergo” – così chiama le navi da crociera Aurora, una mia lettrice di otto anni – affondata come sulla pedana da tavolo di una battaglia navale. Tralasciando l’uragano mediatico che sta coinvolgendo emotivamente chi più e chi meno, c’è un piccolo dettaglio “social” su cui mi soffermerei: non tanto la riconoscenza verso Twitter come piattaforma per gli aggiornamenti istantanei, quanto il posizionamento di Facebook sul podio dei confessionali del malcostume nazional-popolare. Finita in soffitta la belle epoque del Grande Fratello, un post su una bacheca di Facebook potrebbe confermare l’ipotesi di un giochetto d’azzardo finito male, quello del capitano gradasso che vuole salutare il luogo natale del cuoco di bordo.

Questa volta non è stato necessario reclutare un bravo sceneggiatore hollywoodiano per (ri)scrivere un film da incasso assicurato o una fiction lacrimogena in puro italian style, passando dall’happy end degli episodi di Love Boat al desolato finale di Titanic. “Elementare Watson!”, avrebbe esclamato in un passato remoto Sherlock Holmes, senza né il benestare di Facebook né il consenso della penna del padre putativo Conan Doyle. Ognuno ha la sua opinione ed ha il diritto di esprimerla, ma l’intervento della giustizia, nel caso accertasse certi fatti, dovrà rimettere in circolazione un vocabolo che noi impropriamente associamo soltanto alle malefatte dei capi mafiosi: Ergastolo.

E non se la prenda a male la beata del 13 agosto se non battezzerò mia figlia con il nome di “Concordia”, ma è la rabbia soffocata per rispettare il lutto di chi ha perso la vita. Purtroppo qui non si tratta della faccia bonaria di un capitano da spot pubblicitario, ma del volto mostruoso dell’imperdonabile leggerezza dell’essere.

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Rosario Pipolo

Giornalista e Communication specialist. Una Laurea in Lingue straniere con lode all'Università Federico II di Napoli e una specializzazione in Web Communication allo IED di Milano.

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