Fu in quel momento che Beatrice si ricordò delle parole inquietanti farfugliate da Leopold al parco alla fine di luglio. Scoppiò in lacrime tra le braccia del signor Muller. Il trucco si sciolse e le colò sul viso, facendo scivolare via quella maschera che la rendeva donna e moglie felice agli occhi di tutti.
Andò via di scatto e nel foyer si imbattè nel marito, che aveva in braccio la piccola Klaudia. Federick le gridò contro: “Dove vai adesso?”. Beatrice gli rispose: “Federick, faccio quello che avrei dovuto fare tempo fa. Me ne vado. Non mi fai più paura. Non ti amo più”. E lui afferrandola per un braccio urlò: “Cosa farai? Vivrai con il ricordo di un fantasma? Beatrice, lui è morto”. “No, ti sbagli – replicò Beatrice – Il morto vivente se tu, Federick. Il mio amore per Leopold vivrà per sempre in quei quadri”. E poi decisa come non lo era mai stata aggiunse: “Ti dirò di più. La notte di San Lorenzo, in cui mi obbligasti a fare l’amore con te, pur di restare fedele a lui, ho prelevato dalla tua carta di credito. Ho distribuito duemila euro tra le prostitute di Schöneberg e Tiergarten. Ho preferito sentirmi una di loro, piuttosto che donarti me stessa. Federick, quella notte hai comperato il mio corpo, ma non la mia anima”.
Beatrice gli strappò di mano Klaudia e corse via. Il marito rimase imbambolato. Per la prima volta vedeva quella donna, da sempre sottomessa e impaurita, così decisa e ribelle. Beatrice si precipitò in un taxi e si fece portare alla stazione. Prese il primo treno per raggiungere in fretta il litorale orientale di Schleswig-Holstein e rifugiarsi nella casa di vacanza di famiglia sull’isola di Fehmarn. (CONTINUA)
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