La città sbadigliava ancora, ma io non mi smentivo mai. Ero in anticipo come al solito. I miei pregi si contavano sulla punta delle dita e la puntualità era uno di questi. Allungai lo sguardo fino alla fontana Märchenbrunnen e sulla terza panchina la intravidi. Aveva un vestito di raso bianco a pois, un cappello celeste che le copriva il capo e un paio d’occhiali da sole che avrebbero impedito a chiunque di riconoscerla.
Mi avvicinai, ma lei mi colse di sorpresa: “Signor Martino, un bravo giornalista italiano dovrebbe arrivare sempre qualche minuto dopo”, mi ammonì. Ed io, quasi imbarazzato, replicai: “E lei la signora Beatrice von Bernstein? Preferisco anticiparmi quando fisso un’intervista”. Mi sedetti accanto a lei che mi rassicurò: “Punti di vista. Leopold non avrebbe mai fatto così. Li ha visti i dipinti?”. “Sì – risposi – e mi hanno particolarmente colpito. E come se nell’insieme ci fosse la vita di una persona”. Restammo alcuni minuti in silenzio. Non avevo mai incontrato una donna che mi mettesse in soggezione. Tirai fuori il taccuino e la penna. Lei si lanciò in un lungo racconto e io mi smarrii nella mia scrittura. Il tempo si paralizzò. (CONTINUA)
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da vero appassionato di lettura, trovo nella tua scrittura molta leggerezza, da vero giornalista sei riuscito a trasmettere l'inizio di un racconto con astuzia e raffinatezza l'intrigo di continuare a leggere ...