Noi, drogati da paillettes da rotocalco, ci stavamo convincendo che tutto si riducesse a letterine, subrettine, culi e tette rifatte. Abbiamo riscoperto la bellezza della donna, con Sakineh, lì nella penombra della sofferenza, sotto il velo del dolore. Come se poi spettasse a noi condannare – la pena di morte è la più grande offesa rivolta all’umanità – qualunque cosa ci sia in ballo, anche l’adulterio, punibile tra l’altro in Italia fino al 1968. Il peccato di aver amato un altro uomo, in una cultura che organizza le unioni matrimoniali come se fossero contratti, si imbriglia in una visione romantica e poetica di questa triste vicenda? Perlomeno mettiamo nero su bianco l’unica parola per cui vale la pena lottare: l’amore.
E allora come accenna quella dolce canzone che ti è stata dedicata, ti dico “Stai con me, Sakineh”. Lo so, è paradossale. Dovrei essere io a fare il contrario, ma non ne sono capace. Stai con me, Sakineh e rivelami il segreto che tutti hanno tentato di nascondermi da quando sono al mondo. Il tuo Dio è uguale al mio perché dove c’è amore non può esserci condanna, ma solo la certezza che la disperazione resiste tra gli scheletri dell’armadio, quelli occultati dalle nostre coscienze.
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L'Iran ha tutto il diritto di ammazzare i suoi reprobi.
Dovrebbe trarre esempio pure l'Europa.
Sì alla pena di morte.