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Selfie e privacy in spiaggia: il Garante ha visto mai gli italiani sotto l’ombrellone?

Rosario PipoloApprezziamo lo sforzo del Garante della Privacy per la pubblicazione delle “buone regole in spiaggia a difesa della nostra sfera privata“, ma con le pinne, fucile ed occhiali ci viene un dubbio: ci siamo mai guardati noi italiani sotto l’ombrellone? Con questa smania vanitosa dei social network sarà davvero dura metterci a regime in materia di discrezione o riservatezza.
Figuriamoci se rinunceremo mai al selfie di turno per far vedere a tutti la nostra meta vacanziera. Basta buttare gli occhi nei feed di Facebook per catturare il trash di questa  ingordigia nazional popolare, di cui le maggiori vittime sono i bambini. E se nel nostro selfie finirà il vicino d’ombrellone, per giunta “incazzoso”, il povero Garante si troverà sulla scrivania una pila di lettere di protesta.

Correremo volentieri il pericolo di trovarci  i ladri in casa, pur di non rinunciare al check-in che  compone la lista di ristoranti e locali “fighi” che frequentiamo. L’epidemia del food è così contagiosa che prima o poi dovrà toccare pure a noi finire su Real-Time? Questa è la massima aspirazione delle vecchie massaie del Belpaese in bianco e nero, oggi trasformate dalla globalizzazioni in nevrotiche donne bioniche.
Alcuni hanno la sveltezza di geocalizzarsi persino alla toilette o nella location creata ad hoc su facebook “A casa mia”. La sfiga ci mette del suo e, a furia di scroccare Wi-Fi da un lido ad un altro,  beccheremo pure il virus nello smartphone che ci farà sentire sconnessi dal mondo. Se non abbiamo fatto il backup dei dati prima di partire, possiamo dire addio ad una buona parte della nostra vita, destinata ormai a finire spiaccicata sull’isolotto dell’icloud.

Morale della favola sotto l’ombrellone: il Garante ci suggerisce di “gestire le nuove tecnlogie con cautela”, soprattutto di non essere sbadati a lasciare password e accessi a destra e sinistra. Ah, ecco dimenticavo. Mia moglie, incallita spendacciona in questi giorni di saldi, me lo aveva detto che in fondo il pin del mio bancomat è più al sicuro se lo impara a memoria lei. Perché memorizzarlo su uno smartphone?

Tempo scaduto e non perché sia finito il numero di battute a mia disposizione. Devo andare a fare il selfie di questa mia giornata vacanziera, altrimenti poi dicono che sono poco “social”. Lo dite voi al Garante?

 

 

 

I fumetti di Bitstrips e l’odioso buonismo natalizio dei social network

Rosario PipoloAhimè, non ci chiamiamo tutti Mina e abbiamo il privilegio di finire in una striscia a fumetti disegnata da Giorgio Cavazzani. Chi di noi non ha sognato di diventare un tratto a matita a fianco di personaggi come Paperino? Un posto nella storia di Paperopoli è impensabile, ma nello stream social di Bitstrips sì.

Il prossimo Natale lo trascorreremo tutti sulla “comics app”, inventata l’anno scorso da due ragazzi canadesi. Bitstrips sta invadendo le bacheche di Facebook, rendendoci protagonisti di migliaia di simpatiche vignette a fumetti. Ci costruiamo un avatar fumettoso e cominciamo a scrivere storie, coinvolgendo persino i nostri “amici social”, che hanno deciso di far parte di questa simpatica sarabanda.

Si sa che i social network si animano con sbalzi d’umore tra mode e tendenze. Per giunta lo sdolcinato buonismo natalizio ha già preso d’assalto profili e fan page di Facebook. Bitstrips è l’app giusta per “i pigroni”, ovvero coloro che resistono al coinvolgimento di trascorrere un bel pomeriggio assieme, facendo quattro chiacchiere al bar sottocasa.
Bitstrips è l’app perfetta per chi pensa che l’intensità di un legame affettivo si misuri con i “mi piace” e “i commenti”, lasciati alla deriva di una bacheca di Facebook. Bitstrips è l’app per tornare a “fare comunella” in una vignetta senza l’ansia dell’agenda sullo smarphone che ci segnala l’imperdibile appuntamento dell’ultimo minuto. Bitstrips è l’app azzeccata per ritrovare con fantasia le persone che non appartengono più al nostro destino da un bel pezzo.

Vi presento il mio avatar su Bitstrips. Tento invano di scrivere per il quarantesimo anno di fila a Babbo Natale. Persino lui non ci risponde più, se non attraverso le finte letterine svendute sui mega siti dei coupon. Forse anche Santa Claus è finito su Bitstrips. Il suo avatar a fumetti si degnerà mai di rispondermi senza l’odioso buonismo natalizio dei social network?

Fotografo da Instagram, quando chiedi all’app ciò che non puoi essere!

Rosario PipoloSi sa che gli italiani vivono sotto la gonnella delle mode. Accade anche per le app che ci fanno sguazzare sui social con l’illusione digitalizzata di essere ciò che non possiamo essere. Nell’occhio del ciclone c’è Instagram, l’app per scattare e condividere foto con lo smartphone, nata tre anni fa e subito avvinghiata da Facebook. Anzi, se la vogliamo dire tutta, l’app in questione ha perso pure la freschezza iniziale, piegandosi in questi giorni alla dittatura facebookiana del “tag”.

In Italia Instagram ha fatto il botto già nel 2012, soprattutto con gli over 20, ma in questi primi mesi del 2013 contagia pure chi si affaccia al balcone social sporadicamente. Anzi i nostri status stanno dicendo bye bye alle parole per infilarci ad ogni occasione una foto. Instagrammiamo tutto, dal paio di pantofole della nonna in soffitta allo sbadiglio del micione, con la preseunzione che la nostra immagine diventerà una piccola opera d’arte con il raggiro del “filtro”. Io abuso di quello sopranominato Nashville per le sfumature cinematografiche, ma in giro vedo tante foto filtrate con XProII, Valencia e Rise. Così dopo il filtro giusto e la valanga di “mi piace”, segue il compiacimento: “Sono davvero un fotografo mancato”.

I più onesti questo lusso non se lo sono mai concessi. Avremo azzeccato pure qualche scatto, ma ad Instagram in pochi di noi non abbiamo mai chiesto di farci sentire fotografi dalla sera alla mattina. E non perché quelli come me provengono dalla generazione che ha viaggiato su chilometri di rullini fotografici. Instagram arricchisce il racconto social e la nostra smania di trasformare la quotidianità in un grande reality. L’arte della fotografia è altro e un’app non può nascondere “il dilettantismo” che straripa nella rete. Non sarebbe “disonesto” pensare che, con una qualsiasi piccola diavoleria in veste di app, si possa diventare fotografi, montatori, dj, musicisti, pittori o scrittori?