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Breakfast al McCafè di Porta Romana: Quando lo staff fa la differenza

Quando si va a bere un caffè in un franchising, non è come andare al bar sotto casa. Pertanto, il gadget può pure starci. In questo periodo ad esempio il McCafè di McDonald’s propone una raccolta punti per un mini set di tazzine da caffè.
L’omaggio può attirare, ma non valorizza una location in particolare, perché in questo caso a far la differenza ci pensa lo staff. Ci affezioniamo al barista simpatico, perché non potremmo farlo anche con quello di un McCafè?

Il mio cornetto & cappuccino mattutino l’ho dirottato al “solito posto”, in un McCafè di Milano. E ad attirami lì non è né la raccolta punti né la posizione comoda – fronteggia la fermata metro di Porta Romana – ma la simpatica combriccola che ci lavora. Ogni mattina gestiscono con garbo e professionalità una coda di clienti, inclusi tanti stranieri, ai quali sanno regalare anche un bel sorriso. Loro non ci fanno caso, ma io in coda, con la scusa di sbirciare il mio Time, li osservo: Fernanda con il suo accento partenopeo mi riporta alle mie colazioni a Napoli; Massimo è lì alla cassa beato tra le donne; Erika, appassionata sfegatata di Biagio Antonacci, sa già che sono allergico al cappuccino troppo schiumoso; Katia lascia la sua firma con uno spruzzo di cacao.

Quando mi siedo a godermi la colazione, mi sembra di essere finito nella vecchia sitcom americana Alice in cui, alla tavola calda di Mel, a dar gusto al cafferino americano erano le storie dello staff che vi lavorava. A furia di fare file e bere cappuccini, con alcuni di loro condivido via social pezzetti della mia quotidianità.
Questo per dire che con me il marketing cervellotico farebbe un buco nell’acqua, se la mattina al McCafè di Porta Romana non trovassi più Fernanda, Massimo, Erika, Katia e gli altri dell’allegra brigata. Grazie a loro mi sembra di rivivere la mia traversata di settemila chilometri in autobus attraverso gli USA: raccoglievo storie con la scusa di mettere qualcosa sotto i denti. Queste storie invece sono tutte italiane e mi danno il buongiorno nel verso giusto.

  Alice (CBS TV, 1976-1985)

On the road: Cartolina dal Neder Cafè di Castel Goffredo

Malati di esterofilia, continuiamo a scimmiottare i locali delle grandi metropoli europee, dimenticando un posto che caratterizza la nostra italianità: il bar, come punto di ritrovo e socialità. Non quello nella piazza al centro del paese, ma quello fuori mano, isolato, che incontri per caso nel bel mezzo delle tue peregrinazioni on the road. Lungo un fiumiciattolo, poco distante dal Mincio, senti il richiamo delle anatre. Quelle simpatiche e giocose canaglie d’acqua dolce che ormai si vedono nei vecchi film western con John Wayne e in qualche fumetto.
A Castel Goffredo, all’inizio del mantovano, le chiamano Neder. Per questo il Neder Cafè, il grazioso bar gestito da Emanuela Redini, le omaggia e fa in modo che in qualsiasi punto ti metta le senti borbottare. Dopo che Orlando, un calabrese travestito da mantovano, ti ha preparato i piatti tipici del posto, ti fermi lì per quattro chiacchiere. C’è il Volpi, che ti racconta della sua infanzia a Sabbioneta e dei piccoli passi che poi sono quelli che rendono grande la quotidianità; c’è la duchessa, di professione insegnante, che ti mette di buon umore con la sua solarità; c’è il gruppo di bevitori habitué che hanno sconsacrato lo Spritz, trasformandolo in Sprotz. Basta invertire il vino bianco con quello rosso e la magia è fatta: il drink si ostina ad essere più rustico e campagnolo. Non ci vuole poi tanto a fermare il tempo: buona compagnia nel posto giusto.
Dopo un paio di Sprotz, è legittimo dimenticare il telefono e vivere un giorno senza l’assillo dei trilli. Tanto a rispondere ci pensano Emanuela e lo staff del Neder Cafè. Questo mi riporta ai tempi in cui mio padre, in un paesotto di provincia del Sud Italia, andava a ricevere le telefonate in un baretto al centro del paese. Tutto torna, prima o poi. Più che lo smartphone, avrei preferito io restare in “ostaggio” in quel posto, ad osservare Emanuela che preparava stucchizzini, Matteo che mi parlava di Fabio Testi e il Volpi avvolto dai racconti di gioventù.  Sarebbe stato l’ennesimo escamotage per mantenere inalterato il gusto della vita.

 Castel Goffredo on line

  Aperol Spritz

 Turismo nel mantovano

Lo gnocco fritto di Ciano a Sabbioneta

Qualche settimana fa mi sono fermato a Sabbioneta per seguire the Lonely Planet Bike Party. Ho riscoperto il piacere di godermi quell’Italia casareccia fatta dai posti invisibili che non metteresti mai nei tuoi programmi vacanzieri. Internet e il turismo globale ci stanno abituando a l’idea che l’intensità di un viaggio si basi su i chilometri percorsi. Dovremmo tornare seriamente a pensare al contrario: agli itinerari non troppo lontani da casa, che ti fanno decidere di partire all’ultimo momento, lasciandoti al tuo ritorno una bella cartolina del Belpaese caciarone e sincero.
A Sabbioneta, deliziosa località a ridosso tra il mantonavo e il cremonese, ho scovato un personaggio che sembra uscito dal film Amarcord di Federico Fellini. Ciano – così lo conoscono tutti in paese – gestisce il delizioso bar Ducale all’angolo di piazza d’Armi. Lui sì che ti convince a sostare su i gusti tipici del posto: gnocco fritto e spalla cotta e chi si è visto si è visto. Alla faccia dei secessionisti che tentano invano di spaccare l’Italia, qui la posizione di Graziano Contesini (così è registrato  Ciano all’ufficio anagrafe) lo gnocco fritto è autentica perché per lui la vera regina è la pizza fritta. E così lungo tutto una sorsata di Lambrusco, l’accostamento con il calzone fritto napoletano è autentico e ci sta.
E cosa ci fa quel dipinto della Beata Vergine di Pompei all’entrata del bar? Un’icona in bilico tra religiosità popolare e folclore sta ad indicarci che Ciano è un “terrone” finito per sbaglio al di sotto del Po? A tutto c’è una spiegazione, anche quando il Sud fa il ficcanaso nel Nord Italia: “Mia madre restò viva per miracolo dopo il crollo di una casa – mi spiega Ciano – Attraverso una trave vide quell’icona religiosa che non conosceva. Chiamò un pittore e la face dipingere in segno di devozione”. Che strana coincidenza, era la stessa immagine che ritrovai stropicciata nel mio jeans nel 1994. Quello doveva essere il mio ultimo viaggio: colpo di sonno, auto fuori strada, vivo per miracolo. Per fortuna, non è stato così e sono ancora qui a scrivere. Qualche volta i viaggi brevi possono essere altruisti. Il Lambrusco mi ha stordito, lo gnocco fritto mi fa fatto leccare le dita, ma la bonarietà di Ciano mi ha accompagnato per tutta la strada del ritorno con una colonna sonora. Quella grezza e provinciale di Ivan Graziani, con l’immagine di Agnese, che da una vaporosa canzone è finita sulle mie ginocchia.