Cartolina dal Sud: Alla mia prof per i suoi 50 anni
L’ho vista scarabocchiare in una piccola stanza di un paese di periferia. La mamma accompagnò la sua mano e così quei buffi segni diventarono una “B” gigante, iniziale del suo nome.
L’ho vista mano nella mano con il papà mentre si chiudeva il passaggio a livello. E lui le disse: “La vedi questa piccola stazione? Non è mia, è di tutti. Ricordati sempre di lottare per ciò che è di tutti”. E poi fischiò e quel treno partì con lo sguardo rivolto verso il Vesuvio.
L’ho vista che si prendeva cura dei due fratelli. Quel giorno ci fu un temporale. Loro si spaventarono. Lei afferrò lo scialle della nonna e li avvolse come se fosse stata una giornata di sole.
Mentre Renato Zero cantava lo splendore delle emozioni, l’ho vista raggomitolata tra i sogni di una liceale e il peso di quei dizionari, riflettendo sulle radici e sulla memoria che sprofondavano fino all’alba di civiltà lontane.
L’ho vista sgomenta, nel mezzo degli anni ’70, mentre alle falde del Vulcano il Professore assassino spargeva sangue ovunque, senza sapere che “le idee sono come il sorriso di Dio in questo sputo di universo”.
L’ho vista in quella manifestazione in cui distribuivano tra uomini e donne garofani rossi. In quel fiore c’era il sogno di un mondo migliore, più giusto. Lei ne impugnò uno e, alzandolo al cielo, si ricordò delle parole di suo padre: “Difendi i più deboli, anche se resterai da sola”.
L’ho vista spaesata correre per il Rettifilo a Napoli, sulla strada verso l’Università, ma così determinata a trasformare lo studio in passione, nel riscatto della volgarità umana.
L’ho vista correre giù per le scale appena lui le fece un fischio. La portò a fare una passeggiata a San Marzano e le offri un’aranciata. Poi staccò il cerchietto della lattina e glielo infilò al dito. Le diede un bacio e le sussurrò: “Vedrai un giorno diventerò ingegnere e disegnerò io stesso la casa in cui vivremo con la nostra famiglia”.
L’ho vista in cattedra in quel liceo a difendere la Scuola Pubblica e a consegnare la dignità ad ogni studente. Dietro uno di quei banchi c’ero anche io.
Ho trovato un dono nel fazzoletto di questa terra, il mio Sud: la mia professoressa di Greco e Latino che è scesa dalla cattedra e per vent’anni ha custodito, senza giudicarlo, un suo alunno, forse il peggiore, quello segnato da un “5” in Greco nel primo quadrimestre a ridosso della Maturità. Man mano che si cresce non c’è più nessuno che si preoccupa per te. Lei per vent’anni si è preoccupata di me, ovunque io fossi, in qualsiasi angolo della terra. Mi ha lasciato un grande insegnamento: non avere mai paura di ammettere di amare, perché solo l’amore rende gli uomini liberi dalle brutture della vita e li allontana dalle vigliaccherie. Prima di ripartire, mi ha lasciato l’ennesimo dono: “Noi qui siamo sempre gli stessi. Torno quando vuoi. Va’ e non accontentarti”.
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