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Il mio Capodanno 2016 sulla strada di Memphis

Rosario PipoloNon abbassare gli occhi. Me lo ripeto spesso osservando la gente distratta per strada, ipnotizzata da un touchscreen. Nel mio recente vagabondaggio in USA ho staccato la spina dai labirinti virtuali. La mia vita è tornata sulla strada, come quando da ragazzo mollavo il condominio e mia madre puntualmente mi dava per disperso.

A Memphis, pelle nera del Tennessee, sembravo una sentinella. Avevo quaranta minuti a piedi sulla Union Avenue per rincasare. Nell’oscurità della notte non abbassavo mai la guardia, qualcuno aveva tentato di convincermi che quei cinque o sei mendicanti sulla strada, pur di avere un fucking dollar, avrebbero potuto darmi delle grane. Nella città dove fecero fuori il profeta Marthin Luther King, ci sono ancora i graffi dell’odio razziale.

Avevo confessato ad una donna delle pulizie del mio motel che volevo la pelle nera, perchè volevo far parte di quella comunità, mescolarmi, a qualsiasi costo. Le luccicavano gli occhi. Avevo rimproverato il portiere di colore di un lussuoso hotel per aver snobbato il trasporto pubblico perchè la middle class viaggia in taxi. Avevo sbraitato: “Dovrebbe tornare ad appoggiare il culo su un autobus, perchè i suoi genitori hanno battagliato per usare il trasporto pubblico”.

Girovagando a Soulsville, a pochi passi dagli studi di registrazione della Stax, mi sentivo spogliato con gli occhi. Ero entrato a prendere una birra in un supermercato della zona. Ero l’unico bianco in fila alla cassa. Una bimba teneva stretto un bambolotto nero. Ripensavo a mia sorella, in classe con la mia bambola di pezza di colore della Lousiana, che spiegava ai suoi piccoli alunni la ricchezza della diversità.

Arrivato sulla McLemore Avenue, mi sono fiondato su un marciapiede. Senza GPS, senza le mappe di google, senza gli occhiali virtuali che ti fanno vedere l’agorà sulla timeline di un social network, ho spotato in avanti le lancette dell’orologio fino al 1 gennaio 2016. Ho aperto la lattina, l’ho alzata verso il cielo. Era il brindisi di Capodanno anticipato. In fine dei conti non ero solo: dalle finestre di fronte c’erano occhi che curiosavano. Da quanto tempo non si vedeva a Soulsville un bianco ammattito?

Sulla strada finalmente avevo la pelle nera, senza per forza bisogno di sbiancare la coscienza con il soul indiavolato di Otis Redding o con lo slogan presidenziale “Yes, We can”. I pantofolai da resort sono convinti che Sulla strada sia il titolo di un romanzo del fancazzista Kerouac.

Sulla strada è la prospettiva per vivere il tessuto reale del mondo. Spero che il mio calzolaio legga quest’articolo e giustifichi la riparazione delle mie scarpe bucate a Memphis. Riparto da qui. Cin, cin.

Arriva il 2010, Buon anno a te!

Quando sta per finire l’anno, mi guardo allo specchio e conto quanti capelli bianchi sono sopraggiunti. Sono ospiti inattesi, ma graditi: a 36 anni meglio essere brizzolato che calvo! Ops, il 2009 si porta via  un altro decennio e ci sono una serie di cose che vorrei portarmi dietro oltre il confine: il gusto della Birra Moretti, edizione speciale per i 150 anni; il viaggio on the road negli USA e le 20 capitali europee dove ho raccolto storie e ho fatto incontri incredibili; il film Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnersmarck; i concerti di Keith Jarrett, Rolling Stones, David Gilmour, Bruce Springsteen e AC/DC; il mio trasferimento a Milano e le tante avventure vissute qui; una foto assieme a miei zii Mimmo Palanza e Lilina Bazin; la colonna sonora di Once, album atipico da un film romanticissimo; la rosticceria di Gangi e la cassata del bar Alba a Palermo; l’intervista al drammaturgo Harold Pinter;  l’ultimo sorriso del sognatore polacco Karol Wojtyla; la canzone Non insegnate ai bambini del cantastorie Giorgio Gaber; Persepolis, il diario a fumetti di Marjane Satrapi; gli ultimi versi scarabocchiati da Alda Merini. E le persone speciali incontrate o ritrovate tra il 2000 e il 2009? Eccome se ci sono, si contano sulle dite di una mano, ma quelle preferisco nominarle a bassa voce! Mollo a terra la nostalgia e scappo via con un aforisma intelligente: “Il futuro è un mistero, ma le cose belle devono ancora arrivare”. E queste parole sagge le ritroverò negli occhietti di Alice, la mia nipotina che nascerà nel 2010. Non è  la figlia di mia sorella, ma di mio cugino Andrea. Per me i rapporti di parentela sono una stupida invenzione, perciò conta ciò che si è costruito gomito a gomito, come è successo con Andrea appunto. Quando guarderò Alice nella culla, troverò il futuro di cui parlo. Buon anno anche a te, caro lettore, con cui condivido parte di me!