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Storie di casa mia: 50 anni di assistenza a ritmo di Rap

Rosario PipoloIn una sera del 1963, mentre dalla radio i Beatles cantavano Please Please me, papà mi raccontò di aver illuminato un intero quartiere di un paesotto alla periferia di Napoli. Aveva fornito assistenza ai sogni di tutti coloro che mai avrebbero immaginato di vedere illuminata una strada con l’energia elettrica.

La notte tra il 16 e il 17 luglio 1973, mentre in un jukebox girava Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, mamma fu portata in fretta e furia in clinica perché io scalpitavo nel suo pancione. “Accipicchia!”, le disse la zia Carmelina che le prestò assistenza. E aggiunse: “Margherita, con tutto il ben di Dio che stasera hai mangiato per il mio onomastico, tuo figlio nascerà a stomaco pieno!”.

In una mattina di ottobre del 1983, mentre Micheal Jackson si arrampicava nella hit parade con Billie Jean, fui punito e spedito dalla classe direttamente dal direttore. La segretaria mi offrì una caramella, segnale di un conforto o assistenza. Ed io sfacciato risposi: “Sono fiero di essere qui. Finalmente una volta che non viene lui in classe, ma io vengo a trovare il direttore. Mi sta simpatico. E poi si chiama Domenico come mio zio”.

In un pomeriggio d’inverno del 1993, sul nastro dell’audioradio Terence Trent d’Araby cantava Do you love me like you say. A quasi un anno dalla patente, si bucò la ruota dell’auto. Mi vergognavo: non ero capace di cambiarla. Chiesi alla ragazza che era con me di fornirmi assistenza in maniera bizzarra. “Chiedi aiuto a qualcuno, fingendo di essere da sola in macchina. Esisteranno ancora i cavalieri?”, le dissi. Il piano funzionò. Un tizio si fermò e tolse di mezzo la ruota bucata, mentre io finsi di arrivare in ritardo sul posto.

In una sera d’estate del 2003, i Muse se la davano a gambe con Hysteria. Durante una delle mie prime affacciate nel Sud della Francia, chiesi delle indicazioni ad un carroattrezzi. Il logo non mi era per niente familiare. Eppure mi dissero che oltre il confine, se ti fermavi con l’auto non potevi che chiamare quelli con il logo rosso e blu. Quello era il simbolo dell’assistenza.

Oggi 4 novembre 2013, io ci lavoro in un brand che fornisce assistenza e che per giunta spegne 50 candeline. Meno male che i miei capi non leggono mai ciò che scrivo! Non sanno che volevo fare il dj rap. Allora mi sono detto: quasi quasi mi invento disc-jokey, fingendo di aver composto la colonna sonora di questo video a cartoni animati. Perchè? Per ritrovare qualche faccia familiare che ha girato intorno alla vita mia.

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Le favole di Aurora

Sono già alcuni anni che piagnucoliamo: i bambini italiani sono svogliati nella lettura e la colpa ricade su i genitori, che non danno il buon esempio. Del resto in un Paese che corre come una trottola, troviamo ancora il tempo per leggere una bella favola ai nostri figli e lasciare in eredità la magia di un bel libro? Succede, ma sempre più di rado. Mio padre se le inventava – ed era una frana – ma almeno ci provava. Noto che la maggior parte dei bambini preferisce farsi dare la buona notte dall’ultimo eroe di turno della Playstation o dai frenetici cartoon, che impazzano in tv a tutte le ore. La mia generazione l’ha scampata bella: circolavano le prime audiocassette con quella voce preregistrata che spodestava papà o mamma  dal trono di narratore. Se siamo noi adulti i primi a non credere più nelle fiabe, come pretendiamo che lo facciano i nostri bimbi? Pochi giorni fa è accaduto il contrario. La piccola Aurora, figlia di due cari amici, non mi lasciava andare via la sera, se non mi raccontava una favola. Questa esuberante bimba di 6 anni mi deliziava con i suoi racconti, e così persino una cult story come quella di Cenerentola diventava una piacevole rivisitazione tra fantasticherie e caos mediatico. Io la ascoltavo con attenzione e lei mi premiava trasformandomi in un personaggio. Il principe azzurro? No, guardandomi diritto negli occhi replicava: “Tu somigli a Paolo Bonolopis”. Aurora mi ha fatto riflettere: dovremmo farlo tutti più spesso, trovare il tempo per ascoltare i nostri figli perchè sono diventati più bravi di noi a raccontare le fiabe! Quando rincaso la sera, mi manca Aurora e quella sua ingenua spavalderia che sguizza tra fantasia e realtà. Io mi consolo, guardandomi allo specchio: se non sono il brutto rospo o il principe azzurro, chi mi ha trasformato in Paolo Bonolopis? C’è di mezzo lo zampino di Aurora, perchè il suo sorriso sornione è più potente di qualsiasi bacchetta magica.