In Alaska sulle spalle di Dio al Circolo Polare Artico in memoria di mio padre
Quando mamma mi regalò nel 1981 il mappamondo sul quale avrei annotato tutte le tappe del mio giro del mondo, aggiunsi il Circolo Polare Artico in Alaska: ero convinto che “l’ultima frontiera” era fatta dalle spalle di Dio e, salendoci sopra, avrei visto tutto ciò invisibile agli occhi.
Da Fairbanks ci vogliono 16 ore andata e ritorno per percorrere la mitica Dalton Highway, ovvero l’Alaska Route 11, che porta tutta diritto al Circolo Polare Artico. Il mio driver mi anticipa che il viaggio è lungo, ma ne vale la pena. A bordo siamo equipaggiati con le radio trasmittenti perché lungo il percorso non c’è corrente elettrica e segnale telefonico.
Basta uscire da Fairbanks per rendersi conto che stiamo per vivere l’impagabile sensazione di essere finiti su un altro pianeta.
Di tanto in tanto facciamo delle soste per respirare l’atmosfera e trattenere sulla pelle quelle punte di gelo che preannunciano la meta, la più lontana verso il Nord del mondo. Un camionista ci avverte attraverso la radio di aver avvistato un paio di lupi poco lontano dalla Dalton, li rincorriamo, ma ormai sono due minuscule sagome per fare una bella foto.
A far da colonna sonora non ci sono canzoni ma il silenzio spirituale del paesaggio. Quando ci fermiamo sul fiume Yukon, ormai una lastra di ghiaccio, il sussurro dell’acqua tocca l’anima e ti prepara al momento più emozionante. Prima però una rifocillata allo Yukon River Camp prima di proseguire. Questo è l’unico luogo in questo recinto di deserto del Nord del mondo in cui c’è vita umana.
Non mi ero sbagliato, non era stata una svista infantile quella di credere che il Circolo Polare Articolo si trovasse sulle spalle di Dio. Alle 17.50 ci sono, il sole è ancora alto, mi sembra di vedere la fessura della porta che collega il mondo dei vivi a quello dei morti. Il soffio del silenzio della spiritualità mi fa guardare il mondo dall’alto ed è come se le spalle di Dio fossero improvvisamente diventate quelle di mio padre. Non sento più quel freddo fatto di disperazione dell’istante in cui vidi con i miei occhi che non respirava più.
Una parte di me è rimasta lassù insieme al ricordo di mio padre. Da qualche parte sulla neve ho scritto: “Tra la neve del Circolo Polare Artico, il punto più alto della mia vita da vaggiatore, ti ho lasciato la sua foto perché questa meta è a lui dedicata. Custodisci qui, nella preghiera del silenzio e per sempre, il ricordo di mio padre. Ciao Alaska e grazie di tutto. Non ti dimenticherò.”
Mio padre mi ha fatto il più bel regalo che qualcuno poteva fare a un’altra persona: ha creduto in me. (Jim Valvano)