Cartolina da Alta Gracia: l’umanità dell’icona Che Guevara

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rosario_pipolo_blog_2C’era un sole diverso ad Alta Gracia, nella provincia di Cordoba, in quella zolla di Argentina che ha fatto del mio on the road in Sudamerica un’altra tappa di un viaggio indimenticabile. Il sole è diverso, perché con la sua luce accecante riapre la porta socchiusa della storia e restituisce umanità all’icona di Ernesto Che Guevara. 

Al numero 501 di Nicolas Avellaneda c’è la casa in cui il guerrigliero rivoluzionario venne a vivere da bimbo per problemi di asma. Le case museo tendono a mummificare la memoria storica, a farne polvere folcloristica per i turisti avidi di selfie e scatti fotografici. Qui è diverso, il tempo catalizza l’infanzia e la proietta nel futuro dell’uomo, del medico, dello scrittore, prima che del guerrigliero e rivoluzionario.

Per tanti il Che è rimasto l’icona delle piccole utopie adolescenziali nel volto stampato di una tshirt; per altri il personaggio che fu strumentalizzato dell’Occidente e tradito dagli stessi compagni di un tragitto utopico.

Nella calligrafia ventilata del Che ci sono pensieri che disegnano il mare dei naviganti per remare verso una vita più giusta, più equa, per far sentire la voce a chi è stata scippata la ragione. Nel mobilio della casa così come nella motocicletta, simbolo del viaggio supremo dei diari, si sente il profumo di giorni vissuti senza i tarli della routine che ci sottomette come soldatini di piombo agli ordini degli altri.

Dio ha fatto i santi, la vita ha fatto i peccatori deliranti. Ernesto Che Guevara, partorito nell’Argentina radicale, commise “il peccato” di farsi guerrigliero per abbattere la cortina di ferro delle ingiustizie sociali.

Mi stendo sull’erba, mangio un paio di empanados, osservo la rincorsa sfrenata delle nuvole con il vento tra i capelli e il sole che mi fa il solletico sulla pelle. Socchiudo gli occhi. Torno a sentirmi libero.