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Anna verrà perché la Politkoskjava è viva!

“Anna verrà col suo modo di guardarci dentro, dimmi quando questa guerra finirà, noi che abbiamo un mondo da cambiare”. L’inizio di questa canzone sembra scritto apposta per Anna Politkoskjava, la giornalista russa ammazzata a Mosca il 7 ottobre del 2006. Me lo ricordo quel giorno. Rincasavo con alcuni pasticcini perché festeggiavo assieme ad amici il mio onomastico. Fu un giorno amaro.
Nel videoclip del brano di Pino Daniele si intravede una sequenza del film Roma Città Aperta: se al volto di Anna Magnani sostituissimo quello della Politkoskjava, restituiremmo a quelli spari un alto valore simbolico.

Anna verrà, perché alcuni di noi se ne vanno in giro sottobraccio con il libro di Andrea Riscassi “Anna è Viva” per perdersi nei sentieri della giornalista russa ammazzata crudelmente. Basta la scrittura immediata e tagliente di Anna a raccontarci il regime russo, quello che schiacciò la rivoluzione della Perestroika di Gorbacev per fare spazio all’orrenda restaurazione. A qualsiasi prezzo, anche con il sangue, bisognava ricomporre le assuefazioni dello zarismo e mescolarle ai crimini e i misfatti degli ex KGB.

Anna verrà nei giorni in cui c’è un potente passaparola per dedicare alla Politkovskaja una strada in questa grigia Milano, che ogni tanto vive l’euforia del cambiamento per poi tornare nel torpore. Facciamo finta di niente, perchè tutti noi subiamo nel nostro piccolo lo squallore di una dittatura invisibile, che ricatta la nostra esistenza ai tempi di una crisi spaventosa. Si trova sempre l’escamotage per togliere agli indifesi e proteggere le lobby, dove si accampano i potenti malfattori.

Anna verrà, appena nei teatri e nei palcoscenici delle piazze troverà attori e attrici dallo spessore di Ottavia Piccolo, che una ventina d’anni fa mi raccontò in un camerino del Sud Italia: “Chi fa il mio mestiere deve assolvere anche un impegno civile”. Ottavia, nella sostanziosa prefazione al libro di Riscassi, ci mette una volta per tutte la pulce nell’orecchio e smaschera chi si era convinto che la Politkoskjava fosse “presa da una baldanza donchisciottesca”.

Anna verrà, nel giorno in cui penne dall’inchiostro rosso sangue, asservite ai ricatti del potere mediatico, torneranno a mettere nero su bianco come stanno veramente i fatti. E questo accade anche sotto l’ombrello di “quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia”, sussurrerebbe l’apostolo Gaber.
“Anna verrà col suo modo di sorridere per questa libertà, noi che abbiamo un mondo da cambiare, noi che guardiamo indietro cercando di non sbagliare”. Anna, ti sto aspettando. Anna, ti stiamo aspettando. Fai presto.

Anna Viva

Il blog di Andrea Riscassi

Anna verrà di Pino Daniele

il nuovo facebook: quanto vale amarsi se c’è troppa differenza di età?

I sentimentali non remano contro la differenza di età. Non mi riferisco ad una decina d’anni, ma a quella di manica più larga, che oscilla tra distanze più ampie. Una bella botta, che secondo i più devoti dell’ufficio anagrafe è qualcosa di insostenibile e da manicomio. Le tendenza cambiano. Una volta la donna era più giovane, adesso accade il contrario: il gentil sesso si circonda di uomini più piccoli e ritrova il filtro dell’eterna jeunesse. Giovane sì, ma poppante no!

Tuttavia, nella piazza dei social network a volte ci si dimentica delle distanze anagrafiche, perché in chat, in una battuta in bacheca o in uno scatto fotografico si tralasciano certi dettagli che poi verrebbero fuori nella vita di coppia. Chiudendo per un attimo l’album della fiaba d’amore a lieto fine, ecco che scatta l’orrore: la gente che giudica; gli amici di lui che consigliano di fare scorta di viagra per gli anni futuri; il terrore che il papà sia scambiato per il nonno e la mamma per la sorella maggiore; il muro separatore di sogni generazionali distanti e contraddittori; la convinzione che il dialogo della quotidianità scivoli e sprofondi nell’oblio dell’incomprensione.
E poi diciamoci le cose stanno: la fotografia di lui quarantenne e lei ventenne appartiene soltanto a determinate caste sociali, allo star-system dei vip perché la diceria popolare professa il verbo: Cosa ci troverebbe mai una donna in un uomo più “vecchio” se non il gusto di soldi e potere?

Adesso a mettere il bastone tra le ruote ci sarà pure il nuovo Facebook, che “castigherà” tutti i menefreghisti della differenza di età. Con la nuova “rivolta grafica” in corso e quella maledetta Timeline rivivremo la nostra vita passo dopo passo: nel 1990 lui si diplomava e lei si battezzava; nel 2000 lui si laureava fuori corso e lei era sull’altarino per la prima comunione; nel 2009 lui postava le canzoni di Micheal Jackson in ricordo dei vecchi tempi e lei se la faceva addosso con le hit di Amy Winehouse.

A meno che non scartino un Bacio Perugina con la speranza di trovare il messaggino “L’amore non ha età”, da oggi in poi anche i sentimentali remeranno contro quella scandalosa differenza di età. Le nostre carte d’identità sono davvero carogne, ma le nostre anime no. E se invece di avere un corpo che invecchia, fossimo spiriti vaganti – con o senza Facebook – “potremmo essere felici e farci un mucchio di risate”, ovunque e comunque.

Manhattan di Woody Allen

Sei così mia quando dormi di Anna Kanakis

Gabri di Vasco Rossi

Amaranto: Ho fregato a Daniel la T-shirt dei Clash!

Ci sono due abitudini che mi rendono bizzarro per strada agli occhi dei passanti: ascoltare musica con le mie cuffie giganti o leggere un libro passeggiando a passo svelto. La prima è quotidiana, la seconda è rara, anche perché rischierei davvero di finire sotto un’auto. L’ultima volta è capitato dalle mie parti, attraversando il centro storico di Napoli. Ho tirato fuori dalla borsa Amaranto di Marianna Grillo ed ho scoperto che Daniel, uno dei protagonisti del romanzo edito dalla Demian, faceva il mio lavoro, ma con una differenza: io ho fatto le valige per cercare fortuna altrove, lui invece ha lasciato Londra ed è venuto a Napoli per fare il giornalista. C’era lo zampino di una donna… perchè il più delle volte l’universo femminile ridisegna la geografia della nostra vita.
Imbambolato ad un semaforo, mi sono guardato attorno per cercare Daniel e chiedergli: “Io non avrei mai fatto marcia indietro per nessuna donna e senza alcuna condizione. Perché sei venuto nella mia città?”. Mentre per il protagonista di Amaranto “il Vesuvio era un imbuto nero, dava la sensazione di un flagello sedato”, per me l’immagine di quel vulcano era legata ancora ai colori di quello esplosivo di Andy Warhol, prigioniero tra le mura del Museo di Capodimonte. Era forse l’amore “cieco, egoista e possessivo” di quell’inglese a dargli una visione così diversa dell’ambiente circostante? Io neanche volevo crederci ai cumuli di immondizia sparsi per la città e pensavo fosse un altro scherzetto dei napoletani per mettermi di cattivo umore.
Rotolando tra le parole del romanzo di Marianna Grillo, mi sono reso conto di essermi perso per strada la fisionomia di Caterina e Valeria, le altre due muse di Amaranto. E questo perché in quella mattina da turista napoletano non lo avrei mai trovato Daniel, anche se avessi setacciato tutti i vicoli della Sanità. Un bel racconto ti appiccica addosso ciò che il tuo stato d’animo ti suggerisce all’istante. Perciò indossavo una T-shirt dei Clash, era quella che avevo fregato a Daniel. Non fate gli spioni, non glielo dite a Marianna Grillo!

Identità golose: Mio papà è un vero chef!

Se lo scombinato Ratatouille, protagonista dell’omonimo film a cartoon, ci ricorda che il mondo della gastronomia è più complicato di quello che pensiamo, Identità Golose ci rinfresca la memoria ogni anno, trasforma Milano nella cittadella del food e chiama all’appello grandi chef da tutte le parti. Tutti assieme appassionatamente, cuochi – così li chiamerebbe il maestro Gualtiero Marchesi – e quei critici burberi che, armati di “penna” & “forchetta” tutti i santi giorni, mettono alla prova il loro palato. Per fortuna, questi ultimi non hanno tutti la faccia antipatica e superba di Anton Ego, il critico gastronomico del film d’animazione di Brad Bird.
Se mi chiedessero di ritoccare il film, ci metterei i volti gaudenti di Alex Guzzi e Cristina Viggè, due bravi giornalisti di settore appartenenti a due fazioni editoriali contrapposte, che seduti allo stesso tavolo diventano il primo “il palato nel cuore” e la seconda “il palato nell’anima”.
Ritornando ad Identità Golose e a questa blasonata reunion degli chef e della loro guerra per entrare nella tribolante galassia degli stellati, mi chiedo spesso cosa significhi avere un papà maestro dei fornelli. L’anno scorso due bambini mi hanno messo tra le mani un libro dal titolo “Mio papà è un vero chef”. Carmine e Ciro – dai nomi sono evidenti le radici napoletane – mi hanno portato con orgoglio tra le pagine che li ritraevano assieme al papà con mestolo in mano, mentre armeggiava una delle sue nuove ricette. E mentre io gli raccontavo che il mio era stato “uomo della luce” e aveva illuminato tantissime strade, loro se la ridevano a pensare che il loro “eroe” avesse qualcosa a che fare con il mondo del cartoon Ratatouille.
Di certo i due fratellini avevano l’occhio lungo e non ci avevano messo tanto a capire che non sono le famigerate “stelline” a cucire la divisa dello chef perfetto, ma lo sforzo continuo di concentrare in un piatto l’arte che fa del gusto l’indomabile leggerezza dell’essere.

Le favole di Aurora

Sono già alcuni anni che piagnucoliamo: i bambini italiani sono svogliati nella lettura e la colpa ricade su i genitori, che non danno il buon esempio. Del resto in un Paese che corre come una trottola, troviamo ancora il tempo per leggere una bella favola ai nostri figli e lasciare in eredità la magia di un bel libro? Succede, ma sempre più di rado. Mio padre se le inventava – ed era una frana – ma almeno ci provava. Noto che la maggior parte dei bambini preferisce farsi dare la buona notte dall’ultimo eroe di turno della Playstation o dai frenetici cartoon, che impazzano in tv a tutte le ore. La mia generazione l’ha scampata bella: circolavano le prime audiocassette con quella voce preregistrata che spodestava papà o mamma  dal trono di narratore. Se siamo noi adulti i primi a non credere più nelle fiabe, come pretendiamo che lo facciano i nostri bimbi? Pochi giorni fa è accaduto il contrario. La piccola Aurora, figlia di due cari amici, non mi lasciava andare via la sera, se non mi raccontava una favola. Questa esuberante bimba di 6 anni mi deliziava con i suoi racconti, e così persino una cult story come quella di Cenerentola diventava una piacevole rivisitazione tra fantasticherie e caos mediatico. Io la ascoltavo con attenzione e lei mi premiava trasformandomi in un personaggio. Il principe azzurro? No, guardandomi diritto negli occhi replicava: “Tu somigli a Paolo Bonolopis”. Aurora mi ha fatto riflettere: dovremmo farlo tutti più spesso, trovare il tempo per ascoltare i nostri figli perchè sono diventati più bravi di noi a raccontare le fiabe! Quando rincaso la sera, mi manca Aurora e quella sua ingenua spavalderia che sguizza tra fantasia e realtà. Io mi consolo, guardandomi allo specchio: se non sono il brutto rospo o il principe azzurro, chi mi ha trasformato in Paolo Bonolopis? C’è di mezzo lo zampino di Aurora, perchè il suo sorriso sornione è più potente di qualsiasi bacchetta magica.