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La stanza di Niccolò Fabi: l’ultimo canto per Lulù

Non so se sia la solita beffa che il destino gioca pure a coloro che vivono ammantati dalla notorietà: la settimana scorsa la piccola Sophie, figlia di Pietro Taricone, è rimasta orfana; domenica scorsa un giovane papà, Niccolò Fabi, ha perso la sua piccola Lulù, all’anagrafe Olivia. E’ come se Sophie e Niccolò, nella suddivisione del rovescio dello stesso dolore, si ritrovassero a condividere con il mondo che li circonda una frattura molto intima, delicata, personale a tal punto da non immaginare che diventi pubblica, nella sfacciataggine del virtuale.
Facebook, da social network che era, è diventato l’agorà del dolore, l’anticamera dove poter lasciare sostare il proprio stato d’animo finché non trovi la sua naturale consistenza. Per Taricone sono nati diversi gruppi su Facebook in segno di cordoglio alla famiglia, mentre per Lulù, l’ultimo canto non è stato sussurrato attraverso una canzone, ma in una lucida confessione che Niccolò Fabi ha voluto lanciare attraverso la sua pagina di Facebook. Non dalle colonne di un giornale, non dai microfoni di una radio, non da un sito web, ma nell’hula-hoop virtuale della socializzazione per l’appunto: “Il dolore devastante che mi attanaglia la gola è la conseguenza dell’esperienza più…inaccettabile orrida ingiusta e innaturale che un essere umano può vivere – scrive il cantautore romano – Inutile dirvi che fino a quando non avrò trovato un modo per trasformare questo dolore e dare un senso costruttivo a questo incubo, il palcoscenico sarà l’ultimo posto in cui desidererò stare”.
Quando Fabi ha citato “un senso costruttivo a questo incubo” ho pensato a Nanni Moretti imprigionato dalla macchina da presa nel toccante film La stanza del figlio e a come il dolore ci renda tutti uguali, senza distinzione di niente. Il dolore per la perdita di qualcuno ci restituisce all’attendibilità dell’esistenza, anche se di mezzo c’è il virtuale?

Quindici anni senza Mia Martini

Il 12 maggio sono quindici anni senza Mia Martini. Sembrano pochi, ma in realtà sono un’infinità di tempo. Sì, gli omaggi e le commemorazioni; sì, il rimpianto dei discografici che a volte sfocia nel “già sentito dire”, sì, gli inediti che spuntano a singhiozzo, ma non basta. Nel panorama musicale italiano ci sono tante voci, ma poche personalità. Mia Martini si è giocata la sua partita “fuori dal coro” perché, dietro la maschera imposta dal marketing ufficiale, c’era una persona vera e sincera: Mimì Bertè. E questa sincerità che rende l’interprete ancora più grande, perché le canzoni non sono banalità, ma i segni che decifrano il nostro esistere. E il rimpianto è quello di non aver fatto in tempo ad incontrarla. Il destino ha voluto che adesso io abiti a pochi passi da Cavaria con Premezzo, il paesotto che raccoglie le sue ceneri. Sarebbe bastata un’intervista per scrutare il suo complesso e variegato mondo interiore? Il web continua a ravvivare la sua memoria. Su Facebook spopola una pagina a lei dedicata, mentre il sito Chez Mimì è la voce pulsante del suo fan club. La redazione mi ha scritto recentamente, invitandomi a raccogliere in poche battute una sbadataggine: Mia Martini è stata anche una brava cantautrice. Non è ora che se ne torni a parlare, sul serio?

Addio, Vianello gentiluomo. Arrivederci, Raimondo della porta accanto!

E’ morto Raimondo Vianello e con lui quella pagina del ‘900 che ha fatto grandi Televisione e Varietà. Una vita spesa per un lavoro affascinante e difficile assieme alla compagna di sempre, Sandra Mondaini. Io, per fortuna, appartengo alla generazione degli anni ’70 e, nel mio baule privato, riesco ad arraffare ricordi, prima ancora di Casa Vianello o della memoria popolare imprigionata su YouTube. Il ricordo personale si muove a carponi  nelle domeniche pomeriggio tra il ’78 e il ’79, tra la cucina e la mia cameretta, nella gioia di passare dal piccolo televisore in bianco e nero al primo schermo a colori e ritrovarsi Raimondo e Sandra sul loro divanetto, in Rai. Chi si è fatto contagiare dalla malattia del teatro, si è emozionato tra le sequenze ingiallite di Raimondo Vianello al fianco di Ugo Tognazzi, Macario e Bramieri. Ed è prorpio ad una commemorazione per il suo amico Gino che l’ho incrociato alcuni anni fa. Un ricordo tenero, di un anziano signore, gentile e cordiale, dal sorriso sornione e dalla battuta facile. Sandra ha perso il suo Raimondo, noi il vicino della porta accanto, il dirimpettaio con il quale ci siamo intrattenuti piacevolmente per decenni e decenni. Lo hanno conosciuto i nostri nonni, lo hanno amato i nostri genitori e lo rimpiangeremo noi, figli del “dio minore della volgarità”.

Leggi l’articolo correlato: Addio a Raimondo Vianello.

Stefano Cucchi, dov’è la giustizia?

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Rosario PipoloE’ trascorso quasi un mese dall’arresto di Stefano Cucchi, il giovane morto misteriosamente nel carcere di Regina Coeli. Cucchi era stato preso dai carabinieri perchè in possesso di stupefacenti e poi è finito dietro le sbarre in attesa dell’udienza definitiva. La notizia improvvisa della sua scomparsa ha destato scalpore ovunque. Per chi vuole recuperare qualche puzzle del fatto di cronaca può rileggere l’intervista alla sorella e al padre di Stefano, rilasciata al Blog Beppe Grillo. Dopo aver visto in rete video e foto raccapriccianti, c’è ancora chi cerca di convincerci che Cucchi non sia stato riempito di botte. Picchiato dove, in carcere o in tribunale? Fantasticherie o uno sfizio goliardico di una paio di guardie penitenziarie? Il sottosegretario Giovanardi ha dichiarato il 9 novembre: “Stefano Cucchi era in carcere perché era uno spacciatore abituale. Poveretto, è morto, e la verità verrà fuori, soprattutto perchè pesava 42 chili”. A cosa serve liquidare una fine così tragica? Se il caso Cucchi finisse sotto il tappeto, sarebbe l’ennesimo errore dell’Italia e la rivalsa della tendenza a nascondere gli scheletri nell’armadio. Ieri è venuta fuori la testimonianza di chi sostiene che “il pestaggio sia avvenuto in tribunale”. La giustizia non può attendere nel rispetto della famiglia e di chi ha espresso apertamente solidarietà e indignazione.

Io odio il lunedì perchè Pasquale Mautone se ne andò senza preavviso!

Stazione di Napoli - Cavalleggeri d'Aosta

Rosario PipoloMafalda, il personaggio a fumetti di Quino, odiava la minestra. Io odio il lunedì e non è mai stata una novità: come è pesante l’inizio della settimana! Questa mattina mi sono svegliato e ho visto che il 9 novembre cade di lunedì, proprio come diciassette anni fa. Quel lunedì non avevo impegni, non erano iniziati neanche i corsi all’università. L’unico appuntamento in agenda era imparare a declinare il dolore. Mi recai in un ospedale nel centro di Napoli e lui era disteso lì: immobile, non respirava, il viso pallido. Me ne andai, fiondandomi diritto in viale Cavalleggeri d’Aosta. Ero disperato. Chedevo a chiunque del quartiere se avesse visto passare un signore sulla settantina, capelli brizzolati, occhialuto, baffi. All’edicola sotto casa dissi che si trattava dell’uomo che tutti i giorni intorno alle 10 acquistava il quotidiano Il Mattino; a Pino il salumerie che era il tizio, nonostante l’ipertensione, che non avrebbe mai rinunciato ad una manciata di sale; al giocattolaio che era il tipo che tutte le domeniche mi comperava un paio d’occhiali da sole; a don Luigi, il portiere del numero 119 di Cavalleggeri d’Aosta, che era Pasquale Mautone, il condomino del  sesto piano. Nessuno seppe dirmi niente. Salii sopra e la casa era tremendamente vuota. Era vuota la sua poltrona, si era fermato l’orologio a pendolo che aveva scandito il tempo delle sue giornate; persino la stufa non sbuffava più. Fu in quel preciso istante che fui scaraventato a terra dal dolore e, ricordandomi che fosse lunedì, mi balzò in mente una sua riflessione: “Detestavo il lunedì. Svegliarmi con il terrore che non avrei venduto neanche un maglione.  Caricare sull’auto il bancone e avere a che fare con i clienti”. Corsi alla stazione della metropolitana di Napoli – Cavalleggeri d’Aosta. Mi risollevai quando sentii il fischio di una locomotiva e mi ricordai di quando mi portava a guardare  i treni: “Nonno – gli ripetevo – Voglio crescere adesso. Voglio partire su quel treno e vedere dove finiscono i binari”.  Ho percorso migliaia e migliaia di chilometri su quei binari. E non bisognava fare il ferroviere per capire che il dolore per la perdita di una persona speciale ti resta tatuato tutta la vita.

E’ morto Mike Bongiorno, il re della tv italiana

Mike Bongiorno, re del quiz

Rosario PipoloDa ragazzino i miei compagni di scuola mi prendevano in giro perché collezionavo le scatole giochi dei quiz di Mike Bongiorno: Flash, Superflash, Bis e Pentathlon. Sì, lo confesso: sognavo di diventare un bravo presentatore come lui. Negli anni ottanta avevo esasperato mia madre per due motivi. Il giovedì sera volevo la tv a colori tutta per me perché su Canale 5 c’era SuperMike!  In più le mettevo sottosopra casa assieme agli amici del palazzo Stella Maris  perché avevo trasformato la cameretta in uno studio televisivo e ci sfidavamo ai suoi quiz. A parte i ricordi e il sentimentalismo, mi mancherà Mike Bongiorno. Con lui va via l’eleganza della televisione e l’arem dei grandi professionisti. La tv di Mike non sapeva cosa fosse la volgarità e non aveva bisogno dei copioni fasulli dei reality show per camminare in equilibrio sul confine tra finzione e realtà.  Bastavano il suo temperamento, le sue gaffe, i suoi aneddotti e quella profonda dolcezza che è venuta fuori di recente in coppia con Fiorello. Il rammarico più grande è quello di non averlo mai intervistato. Mi resta l’ultima polaroid. L’ho incontrato dal vivo in occasione del GiroMike nella prima metà degli anni ottanta. Mollai mio padre e mi lanciai oltre le transenne,  strappandogli una stretta di mano. Lui salì in auto e un poliziotto mi acciuffò rimproverandomi: “Non sapevo che Mike Bongiorno avesse fan scatenati così piccoli”. Questo per dire che quel personaggio televisivo non era roba da vecchi!

L’alpinista e il richiamo della montagna

L'alpinista Cristina Castagna

Rosario PipoloQualche estate fa ho fatto trekking in Valle D’Aosta e sono rimasto incantato dinanzi alla bellezza della montagna. Per uno come me che viene dalla cultura del mare, è complicato scrollarsi di dosso il banale rimprovero: “Che ci vai a fare… il mare è un’altra cosa”. Quell’estate, osservando il Monte Bianco e lasciando cadere lo sguardo nel vuoto, mi sembrò di risentire la voce di tutti coloro che da quelle cime non sono tornati più. Il richiamo della montagna è suggestivo e misterioso, anche quando di mezzo c’è la morte. L’alpinista Cristina Castagna è precipitata in un crepaccio sul K3. L’ennesima tragedia che non si è potuta evitare, ma che mi fa riflettere su quanto sia forte il legame tra una parte dell’umanità e la natura.  C’è una minoranza fortunatamente che vive e rischia per le proprie passioni. Per l’alpinista italiana non si trattava soltanto di una sfida, ma di un bisogno umano che ha trasformato la devozione alla montagna in una religione, in una ragion di vita. E il biglietto lasciato da Cristina ai genitori ce ne fa fare una ragione: “Se mi succederà qualcosa lasciatemi dove la montagna mi ha chiamato a sé”. Adesso che Cristina non scenderà più da quella cima, potrà sentirsi più libera di guardare l’immenso che le montagne sovrastano?

Michael Jackson muore e il Pop ha il suo angelo

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Rosario PipoloLa musica mi appartiene. Ho attraversato la mia adolescenza tra John Lennon e i Beatles, naufragando sul rock di Bruce Springsteen negli anni ’80. Il rock è parte di me, il pop di meno. L’uragano Michael Jackson non ha mai avuto accesso alla mia sterminata discografia, se non con l’album Thriller. La morte improvvisa del Re del Pop e il delirio dei fan di queste ore mi portano ad una considerazione. Essere un angelo o un demone in questa vita poco importa, se poi si diventa l’ultimo immortale della musica. E’ accaduto una sola volta nella storia della musica, con la scomparsa di Elvis Presley, il re del Rock. L’anno scorso su questo blog ho ficcato il naso nelle contraddizioni dell’uomo Michael in bilico tra vizi, manie, accuse e l’affannosa ragione di essere “l’uomo che volle farsi bianco tra i neri”. Chi ha fatto della musica una religione ne sa qualcosa sull’effetto redenzione.  Michael Jackson ha consegnato la musica pop nelle mani degli Dei. I peccati evaporano col tempo, la faccia si consuma e vale la pena riesumare l’antenato della star: il bambino genuino dei Jackson Five, l’ultimo angelo ancora in volo!