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Sterminio in Siria: Abbiamo bisogno ancora dell’ONU?

Mi manca Lucio Dalla perché scriveva canzoni intelligenti. Quando uscì “Ciao”, pochi si accorsero che dietro quel motivetto c’era l’indifferenza verso un genocidio. E noi “la spiaggia di Riccione, milioni di persone, le pance sotto il sole, il gelato e l’ombrellone” ci abbronzavamo i coglioni senza vedere lo sterminio al di là della cortina di ferro del mar Adriatico.

La distanza geografica che ci separa dalla Siria non giustifica la miopia internazionale, inclusa quella italiana, nonostante il Belpaese sia crocifisso. C’è voluto qualche picco social per farci soffermare sulla strage di Hula, che poco più di una settimana fa ha portato sotto il nostro naso gli orrori del regime di Assad. Uno sterminio senza pietà di civili, intere famiglie, e soprattutto bambini. La filastrocca gira ancora allo stesso modo: indignazione generale, interventi repentini, l’oscuramento delle informazioni e poi torna il silenzio.

Non vorrei rompere le uova nel paniere: l’Onu che cosa ci sta a fare? Non è da statuto un’Organizzazione intergovernativa, portabandiera della fine di violenze e focolai guerrafondai sul nostro pianeta?
In passato sono stati chiusi troppi occhi, senza calcolare i genocidi che potevano essere evitati. Forse è arrivato il momento di mettere in discussione il ruolo delle Nazioni Unite, tenendo conto che non siamo tra le pagine di un fumetto. Gli eroi della Marvel possono solo stare a guardare.

Colazione svizzera con Kofi Annan

Rosario PipoloChi vuole fuggire da occhi indiscreti sceglie la Svizzera per un motivo: lì ognuno si fa i fatti suoi. I vip o i personaggi noti la reputano un rassicurante  “paradiso fiscale”, ma anche un rifugio perché hanno pace assicurata.

Lo scorso weekend ero in visita al Grand Hotel Villa Castagnola a Lugano. A colazione, mentre litigavo con la marmellata finita sulla mia polo, ho notato un distinto signore di colore. A dire il vero lo avevo scambiato per l’attore Morgan Freeman. Il metre gli ha portato il quotidiano ed ho capito che era Kofi Annan, Segretario Generale dell’Onu fino al 2006. Quando accadono questi incontri, per me scatta una doppia sindrome: quella professionale da “reporter” che non resiste alla tentazione di tornare a casa con un’intervista; quella genetica da “napoletano”, condannato dagli altri ad essere  il curioso di turno! Niente di tutto ciò: mi sono limitato ad osservare il diplomatico ganese mentre si godeva il breakfast tra latte bianco e corn flakes.

 

Ad un certo punto il savoir faire partenopeo ha preso il sopravvento e mi sono avvicinato per sussurargli: “Signor Annan, sono contento di condividere con lei la colazione di questa domenica mattina”. Il Nobel per la Pace mi ha sorriso – speriamo che non si sia accorto della chiazza di marmellata – ed ha replicato: “Gli italiani sono simpatici. Mi piace il vostro Paese”.

Sono ritornato al mio tavolo e ho continuato la colazione. Prima di andare via, Annan si è fermato al mio tavolo e mi ha sorriso. Mentre mi ha salutato con un cenno del capo, ha sussurrato: “La sua Napoli e i napoletani esprimono la solarità dei popoli del Sud del mondo”.  In quel momento mi sono reso conto che dal mio accento aveva capito la provenienza.

Kofi Annan si avviò lentamente verso l’uscita. Scomparve come in un acquerello.