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Milano e le suggestioni del sottomarino #L1F3: da Yellow Submarine a Capitan Harlock

Rosario PipoloUn primo di ottobre che Milano non scorderà perché, aprendo gli occhi, si è ritrovata un sottomarino in via dei Mercanti. Che sia stato un colpo di genio pubblicitario o un bel capriccio di qualche bravo creativo, resta il fatto che il sottomarino #L1F3 abbia movimentato il capoluogo lombardo in un grigio martedì autunnale.

Nonostante fosse un’operazione di marketing, destinata ad innescare la viralità dei social network, a me ha solleticato minuscole suggestioni, al di là del ruolo di addetto ai lavori. Si è trattato di godersi lo stupore, la curiosità e l’entusiasmo dei passanti che si sono visti sbucare dal sottosuolo milanese un sottomarino vero, il primo che aveva impresso un hashtag social. E così quello che per me appariva come un meraviglioso set cinematografico, per molti altri era l’interrogativo legittimo della serie “Vero? Puoi mai essere?”.

Quando si è diffusa la voce che si trattava di una trovata pubblicitaria, il sottomarino #L1F3 ha continuato a destare curiosità, perché dopo tutto era diventato un vero simbolo per tutti i milanesi che sognano una Milano in stile Amsterdam e con i Navigli di nuovo navigabili. Torno a ripetere: la magia del cinema riesce a vestire di poesia anche i manichini o un totem da business. Per me fino all’altro ieri il sottomarino per eccellenza era Yellow Submarine dei Beatles, con lo strascico psichedelico tra musica e cinema della fine degli anni ’60.

Dopo aver incrociato #L1F3, mi è tornata in mente una stravaganza della mia infanzia: far volare nello spazio i sottomarini. Osservando il sottomarino di sera, nella penombra, ripensavo all’Arcadia di Capitan Harlock, ovvero l’astronave del personaggio di Matsumoto. Sognavo che Harlock passasse a prendermi e mi portasse con lui nello spazio a saltellare da una stella all’altra. E forse questa è la volta buona che il mio sottomarino prenda la piega di volare. Dopotutto #L1F3 si porta dietro l’immaginazione, l’unica ascia che può fare a pezzetti persino il pregiudizio che oltre lo steccato di un’operazione pubblicitaria non ci possa essere un batuffolo imbevuto di emozioni.

La Concordia e Facebook: La beffa burlona del capitano gradasso

Il volto barbuto dell’attore John Hewer, protagonista di un famoso spot dei primi anni ’80, ci fece affezionare bonariamente ai capitani delle imbarcazioni. Ci chiedevamo quali pericoli corressero e se prendessero una paccata di soldi, nonostante di mezzo ci fossero dei bastoncini di merluzzo. Dall’altra parte lo staff della Pacific Princess, la nave protagonista della serie tv Love Boat dell’Abc, appiccicò sul nostro immaginario la crociera come il viaggio verso l’isola della felicità. L’America di Love Boat era la stessa che aveva seppellito gli orrori del Titanic.

In queste ore dell’Italia sta parlando il mondo intero e non è follia pensare che tra una decina d’anni ci gireranno un film sull’ Isola del Giglio. E non solo per il disastro ambientale che potrebbe infognare il mar Tirreno, ma per la “nave-albergo” – così chiama le navi da crociera Aurora, una mia lettrice di otto anni – affondata come sulla pedana da tavolo di una battaglia navale. Tralasciando l’uragano mediatico che sta coinvolgendo emotivamente chi più e chi meno, c’è un piccolo dettaglio “social” su cui mi soffermerei: non tanto la riconoscenza verso Twitter come piattaforma per gli aggiornamenti istantanei, quanto il posizionamento di Facebook sul podio dei confessionali del malcostume nazional-popolare. Finita in soffitta la belle epoque del Grande Fratello, un post su una bacheca di Facebook potrebbe confermare l’ipotesi di un giochetto d’azzardo finito male, quello del capitano gradasso che vuole salutare il luogo natale del cuoco di bordo.

Questa volta non è stato necessario reclutare un bravo sceneggiatore hollywoodiano per (ri)scrivere un film da incasso assicurato o una fiction lacrimogena in puro italian style, passando dall’happy end degli episodi di Love Boat al desolato finale di Titanic. “Elementare Watson!”, avrebbe esclamato in un passato remoto Sherlock Holmes, senza né il benestare di Facebook né il consenso della penna del padre putativo Conan Doyle. Ognuno ha la sua opinione ed ha il diritto di esprimerla, ma l’intervento della giustizia, nel caso accertasse certi fatti, dovrà rimettere in circolazione un vocabolo che noi impropriamente associamo soltanto alle malefatte dei capi mafiosi: Ergastolo.

E non se la prenda a male la beata del 13 agosto se non battezzerò mia figlia con il nome di “Concordia”, ma è la rabbia soffocata per rispettare il lutto di chi ha perso la vita. Purtroppo qui non si tratta della faccia bonaria di un capitano da spot pubblicitario, ma del volto mostruoso dell’imperdonabile leggerezza dell’essere.

Facebook: Tra poco passerà vicina vicina…

L’equipaggio e la rete difendono il comandante

Post e pagine Facebook sul comandante…

Chiude 24 Minuti, il free press del Sole 24 ore

24minuti150Ci ha fatto compagnia nelle città di Roma e Milano  in tanti pomeriggi dal 2006 ad oggi. Era a mio parere un buon prodotto editoriale, ma la crisi nera non perdona. Chiude i battenti 24 Minuti, il free press del gruppo editoriale del Sole 24 ore. Chi lo avrebbe mai detto, così come noi addetti ai lavori non ci saremmo auspicati il tracollo della stampa locale negli USA. E’ crisi nel mercato pubblicitario e così l’editore saluta i lettori in poche righe. Da oggi in metropolitana, in autobus o in strada, niente più 24 Minuti. La crisi contagia anche il free press, mentre i prodotti editoriali on line riescono a tener duro perché si adeguano facilmente alle circostanze del momento. Al di là delle visioni catastrofiche per il nostro settore,  questo giornale ha avuto il merito di riportare in auge la sorpassata edizione serale del quotidiano con una fruizione fast molto vicina alla mentalità del web. Con tutti gli sprechi in giro, spero che Giancarlo Cerruti faccia marcia indietro e tagli altrove pur di riprendere il discorso di 24 Minuti. Ieri all’uscita della metro a Milano ho ritrovato il solito ragazzo di colore che lo distribuiva e mi ha detto: “Questo è l’ultimo. Da domani non ci vediamo più“. Lo incontravo quasi tutti i giorni e scambiavamo qualche chiacchiera. Da oggi lui che cosa farà così come i colleghi e i blogger della redazione?