Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Don Peppino Gambardella, il prete di frontiera che si fece “operaio”

Abbiamo perso di vista i sacerdoti di frontiera, coloro che sanno togliersi la tonaca al momento giusto e dar voce a chi l’ha persa. In uno dei miei recenti viaggi, ne ho ritrovato uno. Il volto di don Peppino Gambardella era a me noto e non perché fosse finito alla ribalta per aver digiunato a favore degli operai della Fiat di Pomigliano D’Arco. In un certo senso aveva sfiorato per pochi istanti la mia adolescenza, quando a quel tempo incantava gli allievi con le sue lezioni di filosofia.
Gambardella non è il noioso predicatore che si compiace dei sermoni, è uno pratico, è uno che nelle omelie domenicali ci infila Dostoevskij perché  “la bellezza salverà il mondo”. Mentre i fatti di cronaca degli ultimi anni hanno raccontato il sacerdozio come prigione della perdizione, la bellezza di uomini come don Peppino Gambardella ne rispolvera la missione sociale. Questo prete del Sud, profondamente radicato nel suo territorio, ha restituito alla città di Pomigliano d’Arco, alla periferia di Napoli, l’identità rinnegata di culla degli operai.
Il canzoniere folk degli Zezi ci raccontava che erano stati loro a tenerla in piedi. In tanti lo avevano dimenticato, mentre “il paesotto” che ospitava Fiat e Alitalia viveva tra la fine degli anni ’70 e una parte degli anni ‘90 il suo rampantismo: come dimenicare i condomini radical-chic di piazza Primavera; i tuffi in piscina al Parco Fanfani; i raduni musicali estivi abitati dagli pseudo-intellettuali che la volevano roccaforte del jazz; la middle-class che si addolciva con i pasticcini di Antignani;  le passeggiate della gioventù alla ricerca di capi firmati tra le vetrine pacchiane del centro; lo struscio “goffo” nella nuova villa cittadina, che si vantava di essere l’Hyde Park della zona vesuviana.  E prima che finisse il regno del Bassolinismo a Napoli, si era già spento il “Pomigliano dream”. Erano stati messi nel sacco da un bel pezzo i trasformisti che la volevano alla pari di un quartiere blasonato di Napoli, senza tener conto che la provincia è condannata a rimanere provincia, con le sue contraddizioni, il falso moralismo, l’ipocrita apparenza.
Don Peppino Gambardella ha riscattato la sua comunità da questa visione distorta, restituendo nel gesto di quel “digiuno” l’ultima speranza, nonostante il quesito resti lo stesso: “La classe operaia andrà in Paradiso?”.
E la speranza è anche nei ragazzi che animano la parrocchia di San Felice in Picis, figli della semplicità di don Peppino, che già nei primi passi del suo sacerdozio indicava inconsapevolmente la strada per diventare angeli, prima che Lucio Dalla lo mettesse nero su bianco in una vecchia canzone:  “Se io fossi un angelo, non starei nelle processioni, nelle scatole dei presepi”.

Diario di viaggio: Nel sale, nel sole, nel Sud


Rosario PipoloVentiquattro anni fa, in una mattina autunnale, arrivai in un liceo di Pomigliano d’Arco, alla periferia di Napoli.  Provenivo da un’altra scuola e non conoscevo nessuno. Entrai a lezione iniziata. Trovai un posto libero in un banco in terzultima fila, accanto alla finestra. Era un’esercitazione di latino. Il mio compagno di banco provvisorio era occhialuto come me, questo mi consolava. Gli dissi sottovoce: “Dall’altra parte non me l’hanno spiegata questa regola”. Non se lo fece ripetere due volte, sotto voce me la illustrò in un batter baleno. Poi tornò alla sua esercitazione. Gli chiesi: “Come ti chiami? Io sono Rosario”. Lui, per non disturbar gli altri, prese un pezzo di carta e scrisse il suo nome: “Tiziano”.

Quel gesto non lo dimenticai e quel nome, segnato su un pezzetto di carta, me lo sono portato dietro in tutti questi anni, nei miei viaggi, nei miei spostamenti, che mi hanno dato una lezione: i legami con le persone si alimentano nei gesti della condivisione. E quell’atto di solidarietà mi apparve come un bel ritaglio del libro “Cuore”.
Come ha ribadito don Peppino Gambardella, il prete di frontiera che ha digiunato a fianco degli operai della Fiat di Pomigliano d’Arco, “il matrimonio unisce”. Ed io aggiungerei che i viaggi nel Sud hanno il pregio di farci ritrovare.
Al matrimonio di Tiziano e Lorena ho ritrovato la lealtá lasciata su un vecchio banco di scuola, ma anche il ricordo di una giovane professoressa di greco, che a suo tempo aveva nel pancione una bimba, i cui anni hanno scandito una parte importante della mia vita.

Al ritorno dalla cerimonia, in auto, al mio fianco, non c’era più quella bambina con gli occhi da monella che andavo a trovare puntualmente ogni anno, ma una persona adulta, dolce, semplice e sofisticata al tempo stesso. Quel giorno speciale, il matrimonio di Tiziano e Lorena, lo abbiamo condiviso con intensità, con l’entusiasmo che abbatte ogni frontiera per fare nostro l’unico desiderio: circondarsi di persone vere.

I matrimoni uniscono e i viaggi nel Sud ci restituiscono tutto, anche le indicazioni di un nonno che assomigliava al mio, sull’uscio di una porta. E quando mi sono perso nel buio della notte, tra quelle stradine che spalleggiavano il monte Somma, ho trovato in tasca tutto stropicciato il pezzetto di carta che Tiziano mi aveva dato ventiquattro anni prima.  Non c’era più soltanto il suo nome, ma anche quello delle poche persone di cui non potrei mai fare a meno, perchè mi fanno tornare ad essere ciò che sono: nel sale, nel sole, nel Sud.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=OkiV3WzWW50]