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Divorzio all’italiana 40 anni dopo: lampo o non lampo?

Rosario PipoloIl cinema aiuta la memoria a non rifarsi la tinta ma a mantenere la propria capigliatura brizzolata. Non fa mai male riguardare un vecchio gioiello in bianco e nero come Divorzio all’italiana di Pietro Germi. E’ nitido il riflesso del Belpaese provinciale, dove il bello e il cattivo tempo lo facevano i feudatari della vecchia Democrazia Cristiana, rattoppata nello scudo crociato che in tanti oggi vedono cucito sulla vestaglia di Matteo Renzi.

Quando quaranta anni fa il referendum fece varcare al divorzio la soglia di legge, l’Italia annebiata dai fumogeni degli anni di Piombo visse l’illusione dell’emencipazione nel passaggio dal bigottismo alla laicità. Prima che il divorzio diventasse fenomeno del costume del BelPaese, facendo gola a tutta la ciurma di avvocati che ti spillava quattrini per mettere fine allo sfortunato matrimonio, fu il tempo della dolorosa discriminazione. Se eri un divorziato ti tiravano le pietre e se per giunta eri cattolico dovevi dire addio alla comunione con il benestare delle malelingue.

Oggi viviamo il rovescio della medaglia, tra divorziati e famiglie allargate, nell’Italia modernizzata che si avvia alla legge del divorzio lampo. Manca solo il semaforo verde del Senato e così impiegheremo più tempo a sposarci che per mandare tutto all’aria. Ops, dipende sempre dai punti di vista, perché in tanti casi mandare all’aria un matrimonio significa liberarsi degli orchi cattivi. La generazione dei miei nonni ne sa qualcosa.

Riguardare il film con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli, prodotto dal lungimirante Franco Cristaldi, aiuterebbe anche i più scettici a fare un passo avanti: qui non si tratta di legge o non legge da “divorzio breve”. E’ semplicemente una questione di buon senso.

 

Diario di viaggio: I bambini ci guardano

Rosario PipoloAvevo pressappoco l’età di Joseph quando vidi la prima volta il film di De Sica I bambini ci guardano. Quel titolo mi rimase impresso e me lo sono ritrovato spesso tra i piedi. Joseph – anglofonizzai il suo nome di battesimo appena lo vidi girovagare per casa a carponi – nacque qualche anno dopo il mio trasferimento a Milano. Conosco sua madre da quando aveva 13 anni e andavo a trovarla con la mia vespa rossa.

Joseph è cresciuto vedendomi comparire a casa sua di rado. Non ero un viso assiduo e riconoscibile. Fino a poco tempo fa pensavo di essere stato negli anni della sua crescita una comparsa. Mi sbagliavo. Il mio andare e venire mi aveva fatto dimenticare una piccola verità: I bambini ci guardano, appunto. Tre anni fa trascorsi una serata a casa sua. Mi staccai dal gruppo e me ne andai nella sua cameretta. Mentre lui giocava alla playstation, gli parlai di me, gli raccontai di ciò che avrei dovuto fare e non riuscivo più a fare. Era tardi ormai. Joseph interloquiva con me, ma mi parlava di tutt’altro: dei suoi giochi, della noia dei compiti nelle vacanze, di sua madre che era in soggiorno con gli ospiti.

Qualche settimana fa mi sono ritrovato Joseph alla presentazione del mio libro. Lo osservavo mentre mi ascoltava. Era proprio lui, era diventato un ometto. E quado abbiamo fatto la foto assieme, mi sono ricordato che “i bambini ci guardano”. Ed è come se il figlio della mia amica avesse compreso che, tra le pagine del mio romanzo, fossero assiepate le confidenze che gli avevo fatto anni addietro. L’indomani sono passato a casa di Joseph. Prima di andare via – non lo aveva mai fatto prima – mi ha afferrato per un braccio e mi ha rimproverato: “Adesso riparti. Quando ritorni?”. Per la prima volta da quando lo conosco, Joseph aveva mollato i suoi giochi e le sue cose per trattenermi.

I bambini ci guardano, appunto. Io e Joseph eravamo cresciuti assieme ed avevamo condiviso un dolore comune: il distacco da ciò che ci apparteneva. Con due significati diversi era successo quando avevamo cambiato casa. Io e il piccolo Joseph non eravamo più comparse, ma eravamo tornati ad essere protagonisti della reciprocità del nostro legame.

I bambini ci guardano, appunto. Mi sono voltato e ho visto scomparire Joseph dietro il cancello. I suoi occhioni scuri mi hanno sussurrato: “Stringi i denti. Vai, insisti. Chi ama, non sbaglia mai.”

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