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Cartolina d’estate: la Swing Avenue di Accordi Disaccordi

Rosario PipoloQuando senti puzza di “proibizionismo” intorno a te, ti viene una smaniosa voglia di gettarti a capofitto nello swing. Dopotutto ogni genere musicale che si rispetti deve fare i conti con la storia che lo ha sputato fuori.

C’è una filettatura sofisticata dello swing italiano lungo la Swing Avenue di Accordi Disaccordi, il duo torinese formato da Alessandro Di Virgilio e Dario Berlucchi, ed è la strada che voglio percorrere in questi giorni d’estate. Quello che mi è finito tra le mani non è il solito disco ma un percorso da fare scalzo, perchè la terra sotto i piedi dovrebbe essere vissuta a contatto con la pelle.

L’altro ieri Buscaglione dimenticato, ieri Buscaglione bistrattato, oggi lungo la Swing Avenue Buscaglione ritrovato nella sincera armonia di Buonasera signorina, prima che nel meraviglioso Valse di Amélie di Tiersen, perla musicale d’oltralpe, scatti il naufragio: nel tremolio delle corde lo swing vibra nel pozzo magico della memoria.

I musicisti bravi non hanno bisogno di elemosina ma di ascoltatori acuti in grado di riconoscerli. Eravamo troppo distratti per accorgerci che proprio la Torino, in cui se ne vanno a zonzo i fantasmi sabaudi, ha partorito Accordi Disaccordi, i nuovi principi dello swing.

Lungo questa strada asfaltata di swing incrocio il sassofono di Emanuele Cisi, il contrabbasso di Luca Curcio e Isabella Rizzo, il clarinetto di Giacomo Smith. Mi distendo nel collage grafico di Stefano Brizzi.

Sto bene qui. Non voglio più tornare indietro.

Sanremo Giovani 2011, vince il jazz ruffiano di Raphael Gualazzi

Non c’era via di scampo e quest’anno non ci sono state le solite zuffe per portare una nuova proposta dell’Ariston sul podio. Raphael Gualazzi vince con la sua Follia d’amore la 61a edizione del Festival di Sanremo nella categoria dei Giovani. Badiamo bene una delle peggiori annate, perché all’Ariston gli emergenti sono passati ancora una volta in sordina, a volte troppo insipidi, per niente sperimentatori o progressisti, mandati in onda a ridosso della mezzanotte, senza uno spazio adeguato, e per giunta messi in castigo dal televoto.
In balia della melodia di Micaela o di Serena Abrami, la vittoria del timido e pacato Raphael in stile jazzato mette tutti d’accordo, anche se il dubbio assillante rimane: questo swing ruffiano vuole fare il verso a Micheal Bublé? Dovremmo chiederlo a Caterina Caselli, l’ape regina della discografia italiana, che ha arruolato Gualazzi nella scuderia Sugar. La Caselli non ha sbagliato mai un colpo e nessuno ci vieta di pensare che Raphael diventi un fenomeno jazz da esportazione.
Intanto, mentre di questi giovani “invisibili” ci dimenticheremo prima di quello che possiamo pensare, il Televoto tira l’ennesimo colpo basso: Tre colori, l’intensa filastrocca musicata di Tricarico, è fuori dai giochi, nonostante a mio parare faccia parte del tris delle migliori canzoni sanremesi assieme a quelle di Vecchioni e di Emma & i Modà. Facciamocene una ragione, con o senza il faccione buonista di Gianni Morandi, il Festival di Sanremo riflette l’Italia del suo tempo, arruffona quanto basta per ripescare la Anna Tatangelo di turno e tenersi la lagna melodica di Luca Barbarossa. Mettiamola così: le belle canzoni sono quelle che vanno via in fretta dai riflettori dell’Ariston, dall’euforia popolare, ma restano confinate nell’animo di quel pubblico che sa cogliere in flagrante l’emozione di raccontare una storia accennata, come quella della nostra bandiera.