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iPad, Apple e la nuova frontiera del giornalismo on line

Fino all’altro ieri Apple era un brand di nicchia. Ieri ha imposto una filosofia di vita tra iPod e iPhone. Oggi l’iPad (499$), il tablet touchscreen del profeta  Steve Jobs, trasforma Apple in una religione monoteista con un comandamento che non si discute: “Non avrai touchscreen all’infuori di me” perchè le altre due divinità, IBM e Microsoft, sono state cancellate dalla Bibbia dell’informatica. Quella dell’apostolo visionario Jobs è stata una crociata e l’iPad, a metà tra un iPhone e un notebook, potrebbe essere la rivoluzione di Gutenberg del XXI secolo. Infatti, il “giocattolo diabolico”  accelererà la disfatta dell’editoria tradizionale e aprirà una nuova e più pericolosa frontiera del giornalismo on line. Dico più pericolosa perchè sarà, nell’ottica degli addetti ai lavori, un vera e propria macelleria. Quale mercato o futuro avranno i giornalisti che si sono interstaditi a demonizzare Internet e a condannare blogger e colleghi, che hanno trasclocato sul web una decina di anni fa? Facciamoce una ragione: la carta stampata è già un feticcio romantico e sentimentale. Ora sono gli editori a correre dietro alla Apple – come si inserirà Google in questa rivoluzione copernicana? – perchè nessuna testata potrà rinunciare ad adattare le dimensioni allo schermo del tablet magico. La nuova frontiera frutterà a Murdoch il naufragio più rapido verso “la notizia a pagamento” e di certo gli editori italiani non se ne staranno a guardare, facendo finta di niente. Mi sono laureato nel 1998 e  la proposta di una tesi on line ha fatto innervosire il Preside di Facoltà. L’ho fatta franca e mi sono presentato con un desktop ingombrante a supporto delle mie convinzioni sull’evoluzione dei contenuti sul web. Se mi fossi laureato quest’anno, avrei chiesto a Steve Jobs di farmi da sponsor, per consegnare un iPad ad ogni membro della commissione. Cosa sarebbe stato leggere e commentare quelle trecento pagine di carta su un touchscreen! Pura stregoneria? Forse allora.

Harold Pinter, quell’incontro mi cambiò la vita

harold-pinter150Alcuni giorni fa è scomparso il Nobel Harold Pinter (1930-2008), astro della drammaturgia britannica del ‘900. In un piccolo teatro di provincia sono stato spettatore di un suo testo, Tradimenti, e me ne sono innamorato. Per Pinter ho fatto follie. Nel 1996 sono andato dal compianto Prof. Franco Carmelo Greco a chiedergli una tesi sul suo teatro. Avevano scritto fiumi di parole. Ho svoltato in direzione cinema, focalizzando sul rapporto tra le sceneggiature pinteriane e il cinema di Joseph Losey. Per Pinter ho rischiato. Nessun professore della Federico II voleva firmarmi una tesi che avevo progettato a mio modo per filo e per segno. Nel luglio 1997 sono partito su un autobus Roma-Londra per andare a raccogliere materiale. Per Pinter ho sfiorato una tirata d’orecchi da parte della polizia londinese. Mi sono messo con le braccia incrociate sotto casa sua per intervistarlo e la povera governante di casa Pinter era lì a ripetermi: “Lo vuole capire che il signore non c’è?”. Io ero lì ad osservare lo studio dalle vetrate, immaginando quell’incontro che sarebbe avvenuto quattro anni dopo. Mi sono laureato con quella tesi, alle mie condizioni, e nel 1999 la Facoltà di Sociologia ne autorizzava la pubblicazione. Per Harold Pinter sono stato davvero cocciuto: avevo in mano il mio primo libro “Harold Pinter sceneggiatore per il cinema di Losey tra letteratura, cinema e multimedialità” e nel 2001 sono stato invitato a relazione ad un convegno a lui dedicato. Quando gli ho consegnato il mio saggio, gli ho sussurrato: “Il suo teatro, la sua scrittura, la sua coerenza politica hanno aperto nuovi varchi nella mia coscienza con prospettive simultanee, innescando nella mia formazione un misto tra ragione e sentimento”. Mi mancherà Harold Pinter così come a tutti coloro che gli hanno dedicato anni di studio. Le passioni non vanno mai barattate con niente, qualsiasi sia il prezzo da pagare. Quei testi sono un grande tesoro, per noi e per le prossime generazioni, a cui potremmo raccontare che ci sono stati uomini capaci di dare un significato profondo alla cavalcata misteriosa della vita.