Il proprietario dell’hotel di Mandawa aveva intravisto nei miei occhi quel luccichio tipico di chi ha un segreto nascosto nel cuore: “Chi alloggia qui, è anche mio amico”, ci tiene a precisare l’uomo sulla sessantina. La sera sono invitato al matrimonio.
Le donne sono tutte in abito tipico del Rajasthan, mi sento “abusivo” in camicia e jeans. Gli invitati mi guardano, poi rompo il ghiaccio e così per un paio d’ore faccio parte della comunità.
Il matrimonio indù dura più settimane e, in questo caso, il rito religioso delle nozze era avvenuto già diversi giorni prima. Il banchetto a cui ho partecipato è l’ennesima tappa, le tre ore volano in fretta.
Ad accompagnare la festa nunziale musicisti che suonano e un paio di danzatrici indiane; sotto un gazebo variopinto gli sposi, affiancati da amici e parenti stretti. Sono due ragazzi alla mano e lo sposo, l’indomani a colazione, mi concede anche questo selfie.
Niente festeggiamenti ingessati come dalle nostre parti, tutti in piedi, a gustare le pietanze che raccontano il meglio dell’arte culinaria indiana sotto un cielo stellato: ci sono persino le ghiottonerie dello street food di cui noi gente del Sud del mondo non potremmo mai fare a meno.
Alla fine del banchetto mi rendo conto di non aver lasciato nessun regalo. Chissà se mi sono rifatto con questa pagina di diario di viaggio…
La settimana successiva mi sono fatto cucire da un sarto del Rajasthan un abito su misura per non trovarmi impreparato ad un altro eventuale invito. Non si sa mai. Ogni desiderio di un viaggiatore appassionato sia esaudito.
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