Scesero alla fermata di Alexanderplatz. Si incamminarono fino al numero 12 della Max-Beer-Straße. Al terzo piano, di un tipico edificio della vecchia Berlino Est, Leopold aveva il suo regno, un delizioso monolocale di cui andava fiero. “Scusa il disordine, ma io convivo con le cianfrusaglie”. C’era un piccolo cucinotto, un arredamento minimalista, un letto con una seggiola accanto. Tra i tanti libri sparsi qui e lì a Beatrice balzò all’occhio Casa di bambola. “E’ un testo teatrale di Ibsen. Lo adoro – precisò Leopold – Te lo regalo con la speranza che la tua vita non finisca mai come quella di Nora”.
Bevvero una tazza di caffè caldo e poi il più audace fu lui: la strinse con galanteria, cominciò ad accarezzarla e le baciò i seni. Le lenzuola di quel letto si trasformarono nell’inquietudine di un oceano e la passione straripò in un atto d’amore. Si amarono come non era mai successo prima ad entrambi e si scambiarono vicendevolmente tante promesse: nessuno li avrebbe mai separati e non ci sarebbe stato un giorno che non avrebbero passato assieme.
Restarono a letto fino al tramonto, guancia contro guancia, abbracciati, finché Beatrice interruppe il silenzio: “Quando ho paura, ho un posto segreto dove rifugiarmi. La casa al mare dove vado in vacanza fin da piccola. C’è un terrazzino. Mi siedo, sorseggio un caffè e volano via le mie insicurezze”. Leopold annuì e si sentì assalito dalla paura quando il suo sguardo finì sul post-it che gli ricordava l’appuntamento dell’indomani. (CONTINUA)
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