Quando ero piccolo, in cucina avevamo un televisore in bianco e nero. Guardavo con mia madre il film Via col Vento. A causa del maltempo andò via il segnale. Mi avvicinai allo schermo e restai imbambolato ad osservare i migliaia di minuscoli puntini che lo affollavano. Ero come ipnotizzato, mentre mamma cercava invano di farmi capire che il film non c’era più. Io invece – come accadeva nel tracciato di quei giochini da Settimana Enigmistica – mi ostinavo a dare al formicolio televisivo delle forme, ricreando fatti e personaggi della storia.
Fui affetto dal sintomo dello “sfarfallio”, che rappresenta per me un disorientamento d’animo ed è tutt’altro rispetto alla credenza popolare. Lo sfarfallio interviene nell’approccio interiore verso l’altra persona. Magari invasioni esterne ci fanno confondere, scambiando per dinamicità dell’anima quella che altro non è se un esterno/notte pantofolaio e rivestito di noia. Ci ostiniamo a dar forma all’inconsistente così come feci io davanti a quel televisore. Me ne resi conto quanto tornò il segnale e mi ritrovai in mezzo al bacio appassionato di Clark Gable e Vivien Leigh. Mi si appannarono gli occhiali dalla felicità.
Lo sfarfallio disorienta la nostra interiorità perché non è lì “l’altrove” che cerchiamo. Facendo un passo indietro non costringeremo l’altro ad essere ciò che non è e non sarà mai. Incamminandoci a piccoli passi nel sentiero della felicità, finiremo nell’interno/giorno rivestito di energia e amore e dall’inconsistenza visionaria dello sfarfallio finiremo alla consistenza dello scintillio. Ma questa è un’altra storia. Se così San Valentino diventasse festa pure per quelli convinti che sia robetta da mocciosetti?
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