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Vinyl Mania 2023

Vinili per Natale

Zero a Natale
Zero a Natale

Sorcini preparatevi perché sotto l'albero di Natale troverete "Autoritratto", il nuovo disco di inediti di Renato Zero. L'album avrà un artwork in quattro colori diversi e quattro copertine diverse.

Elisa negli studi dei Beatles
Elisa negli studi dei Beatles

"Intimitate - Recordings at Abbey Road Studios" è il nuovo album di Elisa che ripercorre i suoi successi rivisitati in chiave intima con l'aggiunta di due inediti.

Neil Young is Back
Neil Young is Back

Il cantautore canadese Neil Young ritorna con un nuovo album. "Before and After" è un viaggio acustico nella sua sterminata carriera fatti di alti e bassi, di luce e buio.

GLOBETROTTER since 1988

The Best of 2023

La mia Africa
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Casamance, Senegal

Perù
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Messico
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Giamaica
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Mausoleo di Bob Marley, Nine Miles

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Onorerò il Natale nel mio cuore e cercherò di tenerlo con me tutto l’anno.

Charles Dickens
Charles Dickens Scrittore

Una buona coscienza è un Natale perpetuo.

Benjamin Franklin
Benjamin Franklin Politico

Vorrei poter mettere lo spirito del Natale all’interno di un barattolo e poterlo tirare fuori mese per mese, poco alla volta.

Harlan Miller
Harlan Miller Scrittore

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Ultimi Articoli

No al Femminicidio. Il ricordo tenero della mia Laura per l’ultimo saluto a Giulia Cecchettin

Non bastano le dita delle mani per contare i casi di femminicidio in Italia. La morte di Giulia Cecchettin (Art Cover: Antonio Federico) ha scosso tutti. Oggi Padova le tributa l’ultimo saluto mentre in ogni angolo del nostro Paese si continua ad urlare: “No al femminicidio”.
La violenza non è questione di genere o sesso, appartiene alla razza umana. La storia tragica di Giulia mi ha ricordato però che non tutti gli uomini sono violenti, riportando a galla la mia storia adolescenziale con Laura.

STORIE DI PERIFERIA TRA TENEREZZE E OMERTA’

All’alba degli anni Novanta io e Laura eravamo due ragazzi occhialuti di periferia. Ci innamorammo su una panchina mentre io ero alle prese con la maturità e lei, di qualche anno più piccola, in preda all’ansia delle ultime interrogazioni di fine anno.
La aspettavo sotto casa di Donatella, fidata compagna di classe che, assieme alle sorelle, proteggeva la nostra tenera clandestinità. Quando accompagnavo Laura a scuola in Vespa, facendo attenzione che non ci vedessero, lei mi infilava nello zaino letterine d’amore imbevute dei suoi profumini.
Non ho mai capito perché in paese scandalizzasse più il bacio di due adolescenti anziché l’omertà delle generazioni precedenti di fronte al femminicidio, alla violenza subita da tante donne nel lurido piccolo mondo antico della famiglia patriarcale di stampo maschilista.
Mia zia Lilina, che nel Secondo Dopoguerra aveva lavorato nei campi alla periferia di Napoli, mi raccontò di fattori violenti, di mogli contadine pestate, di violenze taciute dietro i sacchi di patate per paura di perdere il lavoro stagionale o essere isolata dal resto della comunità per aver fatto “la spia”.

IL NO DI LAURA MI FECE CRESCERE

In una giornata uggiosa di novembre Laura decise di mettere fine alla nostra storia da ragazzini. Mi sentii crollare il mondo addosso, per la prima volta avvertivo un tremendo senso di abbandono. Come avrei fatto senza le sue coccole, la passione per Freddie Mercury infilata nelle musicassette che mi registrava, le passeggiate mano nella mano lungo i binari della ferrovia guardando i treni che portavano nei vagoni i nostri sogni di un’adolescenza ribelle, i progetti comuni, la promessa che un giorno con i risparmi l’avrei portata a Londra a un concerto dei Queen, magari a dicembre per il compleanno?
Non ebbi nessun raptus di violenza, anzi il sentimentalismo prese il sopravvento sulla rabbia.
Con una videocamera me ne andai in giro a filmare i nostri luoghi, sovraincisii delle musiche, le feci recapitare una videocassetta, con la speranza che infilandola nel videoregistratore la nostalgia riaccendesse il cuore.
L’indomani Laura mi restituì la VHS e, guardandomi con gli occhioni lucidi, mi salutò con una carezza come per dire “non cambiare per gli altri, resta te stesso”. Il suo No mi fece crescere e io senza rancore decisi che non avrei rinnegato l’indole di sentimentale, nonostante quelli come me ai tempi erano additati come “mezze femminucce”.

NO AL FEMMINICIDIO SENZA SLOGAN

Cara Giulia, se da una parte oggi essere uomo mi fa vergognare per le violenze che in tante subiscono, dall’altra ho una consolazione. Laura e le donne avute accanto nella vita, attraverso il bene che mi hanno voluto, mi hanno insegnato che senza l’universo femminile la nostra esistenza sarebbe una nullità.
Baci, carezze, amore, rispetto reciproco e cuore ti portano lontano se combatti fianco a fianco e giorno dopo giorno i luoghi comuni, i pregiudizi, i soprusi. Oggi dico “No al femmicidio” senza slogan, lasciando che questi pensieri aggrovigliati con i ricordi si alzino in volo verso di te come palloncini colorati.

30 anni senza Frank Zappa in oltre 120 dischi tra rock e avanguardia

Frank Zappa ce lo portò via il 4 dicembre 1993. Noi studenti universitari di allora piangemmo la dipartita prematura del genio musicale del XX secolo per un tumore alla prostrata. Frank in realtà ci beffò tutti perché aveva lasciato in buone mani un archivio stratosferico di registrazioni, inclusi sorprendenti inediti, che gli avrebbero allungato la vita.
30 anni senza FZ? Macché, con tutto questo bendidio che abbiamo ascoltato decennio dopo decennio è come se lui fosse ancora lì, rinchiuso nel bunker di registrazione con le sue Mothers of Invention.

DAL LABIRINTO LETTERARIO DI JOYCE A QUELLO MUSICALE DI FRANK ZAPPA

A vent’anni ero troppo beatlesiano per andare oltre la coltre degli album più digeribili di Zappa come Apostrophe (‘), Overnight Sensation e Grand Wazoo. I quarant’anni, nel mezzo del cammin di nostra vita vagabonda, mi resero zappiano ortodosso. Il labirinto musicale della sua opera complessa mi illuminò come aveva fatto quello letterario dell’Ulisse di Joyce durante i giorni ribelli dello “studio matto e disperatissimo” di gioventù.
Del resto gli album di Zappa sono stati complici del mio giro del mondo in una vita di viaggi spericolati. Da Dussmann a Berlino mi trovarono in chiusura, a tarda sera, addormentato su una poltrona, con tanto di cuffia, ad ascoltare Civilization Phase III, l’album di inediti uscito postumo alla morte. All’aeroporto londinese di Gatwick restarono sconcertati al check in per i panni sporchi in un sacchetto perché il minuscolo bagaglio a mano era occupato da vecchi vinili di Zappa scovati a Londra. Senza dimenticare le tiepide mattinate canadesi in un vecchio negozio di Toronto alla ricerca degli introvabili CD pubblicati oltreoceano dalla Ryoko Disc. Poi la Zappa Records firmò un accordo milionario con la Universal per riordinare e ripubblicare tutto l’ambizioso catalogo, rendendoci la vita più semplice (o quasi) ma non per le nostre tasche.

FRANK ZAPPA, INCARNAZIONE DELLA MUSICA


I sacrifici di una vita per raccogliere tutti i 127 dischi ufficiali, di cui oltre sessanta pubblicati postumi dalla famiglia negli ultimi trent’anni senza Frank, hanno indispettito la mia fidanzata di allora, oggi moglie rassegnata. Pensavo che non si sarebbe presentata all’altare quando scoprì che, per mancanza di spazio, avevo imboscato chili e chili di cd di Frank Zappa provenienti da mezzo mondo nei cassetti del comò, sotto la biancheria intima. Ne è valsa la pena?
Sì, perché Frank Zappa non è stato soltanto una virtuosa chitarra rock o l’ultimo antifricchettone convinto sulla coda del Novecento. Frank Zappa è stato l’incarnazione della musica, dal rock al blues, dal fusion al progressive, dal jazz alla classica, viva nella sua complessità e imperabilità tra le ispirazioni elettriche di Edgar Varèse, lontano dai clichè del divo o del rockettaro maledetto che per essere creativo deve fare uso di sostanze stupefacenti.
Per noi apostoli zappiani la sua opera complessa di andate e ritorni, al di là della circolarità della stessa opera d’arte, si è rivelata la filosofia della musica stessa. Genio, incompreso dalla miope industria discografica, è stato messo alle strette dalla censura e da quelle intimidazioni dei poteri occulti che però hanno scatenato effetti al contrario: la riconoscenza planetaria del talento di ricercatore e testardo avanguardista.

MUSICA, MAESTRO

Chissà cosa direbbe oggi il buon vecchio Frank, alla veneranda età di 83 anni, del nostro tempo brancolante nel buio tra il regime degli algoritmi e lo schiavismo dell’occhio del Big Brother orwelliano, tra guerre feroci, femminicidi e ipocrita buonismo, tra la smania collettiva di apparire nel mainstreaming e privarsi di tornare ad essere noi stessi nella quotidianità reale. Il vecchio saggio starebbe zitto, impugnerebbe la chitarra. E noi, oggi come allora, chiederemmo sottovoce: “Musica, maestro.”

Riverdale e il giorno dei morti nell’addio commovente a Luke Perry

La celebrazione del giorno dei morti del 2 novembre ci appartiene come ai messicani e neanche l’infatuazione dei più piccoli per Halloween potrà convincerci del contrario. Riverdale, la serie tv americana disponibile su Netflix e ispirata ai fumetti d’oltreoceano di Archie, fa spesso i conti con il dolore per la perdita di una persona cara. Perché vale la pena rivedere la prima puntata della quarta stagione, addio commovente all’attore Luke Perry?

DA BEVERLY HILLS 90210 A RIVERDALE

Per quelli della mia generazione Luke Perry, scomparso prematuramente nel 2019 all’età di 52 anni, ha prestato il volto al Dylan di Beverly Hills 90210. Chi non ricorda la serie televisiva ambientata in California che in dieci memorabili stagioni ci ha fatto cavalcare gli anni novanta?
Prima di vestire i panni di Fred Andrews in Riverdale, Perry ha reso cult l’interpretazione giovanile di Dylan. Il suo personaggio in Beverly Hills 90210 aveva contribuito a far tornare in noi giovani di allora la voglia di continuare ad essere noi stessi. Sì, perché da ragazzi di periferia potevamo starcene alla larga dai primi ricatti dell’altra vita in Internet, felici anche senza i soldi, le macchine e le bellezze di plastica che circolavano sulle strade californiane della televisione di allora.
Per i teenager di oggi il ricordo di Luke Perry è ancora vivo nella fisionomia di Fred Andrews, il papà premuroso e onesto di Riverdale, che gli autori della popolare serie hanno dovuto cancellare dalla sceneggiatura per la morte improvvisa dell’interprete.

DOLORE TRA FICTION E REALTA’

La penna dello sceneggiatore di Riverdale Roberto Aguirre-Sacasa è stata abile, per tutta la durata della puntata commovente dedicata alla scomparsa del papà di Archie, a farci chiedere per l’ennesima volta: è legittimo provare dolore per la perdita di qualcuno mai conosciuto di persona che ha dato vita ad un personaggio che non smetteremo mai di amare?
Sì e questo va oltre l’espediente narrativo di far apparire per l’occasione Shannen Doherty, la Brenda protagonista di Beverly Hills 90210, che in Riverdale interpreta la donna per cui è corso in aiuto Fred ed è stato investito da un’auto.
Gli attori Luke e Shannen, vecchi compagni di set, non si incontreranno mai in Riverdale e questo poco importa. Ciò che conta è aver ufficializzato il legame e l’eredità tra due serie televisive, tra due generazioni che, dentro e fuori il piccolo schermo, oggi giocano a ricoprire i ruoli complicati di genitori e figli.

IL GIORNO DEI MORTI NELL’ADDIO A FRED/LUKE

I funerali di Fred Andrews in Riverdale e la partecipazione commossa di tutta la comunità ci ricordano quelli di Luke Perry e di tutti i papà che sono andati via, lasciando noi figli senza il braccio e la gamba supplementari per affrontare meglio la vita.
Fanno bene gli sceneggiatori a suggerirci che un funerale di un padre come il 2 novembre, il giorno dei morti, può diventare una festa quando un figlio si sente il più fortunato del mondo per avere avuto un papà che lo ha reso migliore. E così un addio resta un arrivederci.

Museo Immigrazione
Memoria e commozione al Museo dell’Immigrazione di Ellis Island

IL portale immigrazione degli USA si trova all’Ellis Island. L’isolotto nella baia di New York fu tappa obbligata per tutti gli immigrati in entrata negli Stati Uniti d’America. Il ritorno al Museo dell’Immigrazione mi ha ricordato che anche noi italiani lo siamo stati.

DA LADY LIBERTY AL PORTALE IMMIGRAZIONE

L’apnea della memoria ti costringe a vedere tutto quello che c’è intorno a te attraverso un ponte che collega presente e futuro. La mia prima volta sotto e dentro la Statua della Libertà, nel lontano 1992, non fu il vezzo di uno studente. Fu il desiderio di un ventenne di allineare il proprio sguardo agli emigranti che scorgevano dalle navi, in arrivo da mezza Europa, quello accogliente e rassicurante di Lady Liberty.

ISOLA DI LACRIME E SPERANZA

Entrare nel corpo della Statua della Libertà è come rientrare nel ventre materno, dare calci al sogno antico di partire alla conquista di una nuova vita. Essere traghettato su Ellis Island, oggi casa del portale immigrazione degli Stati Uniti d’America, è cogliere un’occasione unica e irripetibile. Sì perché il Museo dell’Immigrazione è la testimonianza concreta di un Paese che fa i conti con la storia. Atto coraggioso è anche riconoscere i costruttori dell’American Dream nel lavoro di tutti gli immigrati passati fino al 1954 sull’isola di lacrime e speranza

SILENZI E MEMORIE AL MUSEO DELL’IMMIGRAZIONE

Le gigantografie fotografiche di uomini, donne, bambini, gli sguardi desolati dopo aver lasciato la terra natale, commuovono noi viaggiatori mentre ci soffermiamo nella sala a piano terra dove si registravano i bagagli degli immigrati.
L’ansia per la paura dell’espulsione cominciava nella maestosa Registry Hall dove, superati i controlli e la visita medica, si scampava il pericolo di essere rimandati indietro. Il silenzio e il vuoto di questa sala vi accompagneranno per tutto il percorso e se finirete a mangiare un hamburger nel vecchio refettorio vi sembrererà di rivedere i volti di allora. Emozioni che sentirete addosso persino nell’ultima parte di traghettata fino a Battery Park.
E lo spettrale incubo che il nostro tempo avido di futuro strappi all’improvviso queste pagine di storia? Non accadrà finché ci saranno nuove generazioni ad affollare musei come questo.