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Archives Maggio 2018

Sudafrica on the road: African Cream Music, la mia colonna sonora sulle orme della libertà

Quando Alex Agulnik fondò l’etichetta discografica indipendente African Cream Music, era consapevole che la musica restava una scorciatoia per arrivare diritti al cuore della storia di un Paese. Negli oltre 3 mila chilometri on the road in Sudafrica alcuni album fondamentali pubblicati dalla label con sede a Johannesburg hanno fatto da colonna sonora al mio viaggio.

Il sorriso di Nelson Mandela che illumina la copertina del doppio cd The Winds of Change altro non è che l’apripista di un viaggio musicale nel viaggio. Questa è la mia compilation preferita perché, grazie ad una selezione certosina, ci sono le tappe dei cambiamenti del Sufadrica che marciò verso la libertà, schiacciando il letame della politica che aveva alimentato l’Apartheid: Windows of Change di MacMillann, Asimbonanga di Johnny Clegg, Papa Stop the War di Chicco o Power of Africa di Chaka Chaka sono gemme che cospargono di letteratura le sonorità sudafricane.

Non posso che associare il mio vagabondaggio sudafricano a queste canzoni, ai loro vezzi letterari, a quella loro forza di essere cartoline da spedire senza francobollo con gli slogan che cicatrizzano le ferite di una terra: Freedom Songs, Voice from Mother Africa o Songs and Stories of Africa sono compilation che mettono a tacere il silenzio e l’omertà che hanno aperto buchi e trasfori nelle nostre coscienze.

Attraversando la provincia del Mpumalanga che mi porta tra le braccia del Parco Nazionale del Kruger, l’ascolto dell’album Singabantu di Skipper Shabalala mi ricorda che gli immigrati di altri stati confinanti hanno dato una nuova linfa alle sonorità sudafricane, che spesso sfuggono agli odiosi turisti distratti e attratti dai luoghi comuni.

 

Non importa se sei ricco o povero, dobbiamo essere uniti per essere una nazione compatta. Siamo tutti essere umani. (Skipper Shabalala)

Sudafrica on the road: testimonianze ritrovate nella piccola libreria di Chris Steyn ad Hermanus

Ad Hermanus, scorazzando on the road nel Western Cape del Sudafrica, c’è il tempo per godersi l’oceano e il panorama frastagliato, mangiare un buon hamburger di carne locale con il vento tra i capelli. Mi sposto fuori dal perimetro turistico, passeggio, mi guardo intorno, la gente esce dal supermercato con le borse della spesa, faccio il ficcanaso con la reflex, butto l’occhio nella vetrina di The Book Collector.

Ci entro, scorro gli scaffali e vecchi libri di storia locale. La libreria gestita da Chris Steyn sembra una piccola biblioteca, dove sono rintanate le memorie del Sudafrica. Chris mi fa da guida, intuisce che il mio viaggio in Sudafrica ha come scopo quello di mettere le mani nel fango dell’Apartheid: c’è un meraviglioso libro dedicato al District Six di Città del Capo, un diario illustrato degli anni ’60 che ne racconta la quotidianità.

Da uno scaffale in fondo alla libreria escono fuori dei mini dossier stampati nell’Inghilterra dei primi anni ’80 che testimoniano quanto le lobby politiche degli ex-colonialisti abbiamo alimentato l’infame sistema, castigo per i neri africani.

Dopo aver pagato il conto, Chris mi regala il libro Published and be Damned: Two Decades of Scandals di cui è l’autrice. Scopro così che la proprietaria di The Book Collector è una giornalista, che ha firmato tante inchieste sui quotidiani sudafricani a cavallo tra gli anni ’80 e  ’90.

La mia instancabile andatura da giornalista viaggiatore mi ha condotto, senza saperlo, verso una collega con cui, pur avendo avuto approcci lavorativi diversi, continuiamo a spartirci la passione per un mestiere che, in qualsiasi angolo del pianeta, non deve mai perdere la ricerca della verità.

 

Non conosci niente, ragazzina. Niente. Dovevi pur cominciare a fare questo mestiere… (Johnny Johnson, direttore del quotidiano The Citizen)

Sudafrica on the road: il mio Freedom Day con il pinguino Madiba

La mattina del 27 aprile Città del Capo è deserta. E’ festa nazionale, è il Freedom Day, la ricorrenza che celebra le prime elezioni democratiche tenute in Sudafrica negli anni post-apartheid. In tanti fanno di questa giornata il pretesto per un gita fuori porta.
Tento invano di raggiungere Simon’s Town, sulla penisola del Capo, con un treno locale, ma è inutile. Si accumulano ritardi in partenza e lo sciopero generale del trasporto pubblico di questi giorni continua a destabilizzare gli spostamenti.

Mi muovo con un taxi, le nuvole rincorrono sprazzi di sole, a prima mattina le strade sono vuote. A Kalk Bay c’è un fish & chips sul porticciolo e si sente già quell’odore di pesce fritto che vorresti evitare a prima mattina.
La signora all’entrata mi fa cenno che sono ancora chiusi e per pranzo mi consiglia di prenotare perchè i tavoli si riempiranno. La ringrazio, sono solo di passaggio, la mia meta è Boulder’s Beach per trascorrere questo giorno solenne con i pinguini africani.

Ci arrivo quando la spiaggia è deserta ancora, lontano dai flash indiscreti dei turisti ammassati, ci siamo solo io e loro. Osservare i pinguini a Boulder’s nella loro quotidianità è uno spettacolo senza precedenti, ti riappropri dello scorrere della vita fatta di piccole attenzioni, della fedeltà che ogni pinguino ha per la sua compagna, di quella camminata buffa, di quella eleganza impettita e mi ricorda nonna Lucia la prima volta che mi vide in smoking per il Festival del Cinema di Venezia: “Sembri proprio un pinguino”.

Appena arrivano i primi turisti, mi sposto su una spiaggetta poco distante da lì. Non c’è nessuno. In riva all’oceano un bmbo che gioca con la madre. Mi sento picchiettare al ginocchio. E’ un pinguino e a pochi passi da lui c’è la compagna. Non posso crederci, quando mi ricapiterà mai un’occasione del genere? Mi presento, gli parlo e lo battezzo Madiba, come Nelson Mandela, perché si è staccato dalla ciurma dei suoi compagni di avventura ed è venuto impavido verso di me.

Madiba il pinguino mi ha ricordato che staccarsi dal gruppo per irrobustire il senso di libertà del singolo è il primo passo per conquistare la libertà collettiva. Chi mi crederà mai che ho condiviso il mio primo Freedom Day in Sudafrica con un pinguino?  Mi metto in posa, il piccolo Madiba segue la mia andatura, siamo entrambi pronti per uno dei selfie più emozionanti dei miei viaggi in giro per il mondo.

Il pinguino picchia di nuovo sotto il mio ginocchio, prende per mano la sua compagna e scompare tra i cespugli. Resto a guardare l’oceano e mi torna in mente una dichiarazione di Nelson Mandela:

Il compito più difficile nella vita è quello di cambiare sé stessi.

Il Sudafrica ha restituito anche a me il Freedom Day.