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Archives Maggio 2019

Cartolina dal Canada: Anne of Green Gables, compagna di viaggio

La mia traversata del Canada, tra Ontario e Québec, ha avuto una compagna di viaggio immaginaria: la scrittrice canadese Lucy Maud Montgomery. Non so a quanti questo nome dica qualcosa, ma alla mia generazione il suo ciclo di romanzi “Anna dei tetti verdi” arrivò per vie traverse grazie “Anna dai Capelli Rossi”, anime giapponese che aveva lo zampino di Miyazaki.

In realtà il mio itinerario iniziale prevedeva la tappa finale a CharlotteTown, nell’isola del Principe Edoardo, per mettermi sulle tracce dei luoghi natali e consultare documenti ingialliti della famosa scrittrice. Green Gables, la casa dove visse Lucy Maud ed è ambientato il ciclo di romanzi, è stato il luogo mai raggiunto, la cui fisionomia geografica custodisce la memoria letteraria di un personaggio e della sua autrice.

Ho scritto all’inizio che Lucy Maud è stata  mia “compagna di viaggio” perché non c’è stato tappa in Canada dove non mi fossi fiondato in una libreria dell’usato alla ricerca di una vecchia edizione di “Anne of Green Gables” per il mio archivio.
In realtà la caccia non poteva andare a buon fine, perché la Montgomery riuscì a pubblicare il primo romanzo fuori dai confini canadesi, a Boston nel 1908. A Toronto ho trovato una ristampa locale di una trentina d’anni fa, anche se la cronologia bibliografica  è molto contorta, ho consultato diverse edizioni in Ontario e Québec in lingua inglese e francese.

Pensavo che in Canada il personaggio di Anna Shirley si fosse imposto come una mascotte nazionale, ma accade troppo spesso che la rincorsa al futuro sbiadisca anche la memoria collettiva di un Paese. Alcuni giocattolai mi hanno ripetuto che le “doll di porcellana” di Anne sono roba di altri tempi e i pargoli canadesi non la hanno più incrociata in un programma televisivo per affezionarsene. E pensare che mia nonna Lucia mi fece appassionare alle storie di Il Pentamerone di Basile attraverso la tradizione orale, senza bisogno di un tubo catodico.

George Campbell, parente e nipote della scrittrice di “Anne of Green Gable”, ha pubblicato la prima edizione del romanzo edita nell’isola del Principe Edoardo.  Lo ringrazio pubblicamente per questa copia autografata e questa meravigliosa bambola che custodirò nel mio archivio. Non sono riuscito a conoscerlo personalmente. Questo dono è partito dall’isola del Principe Edoardo mentre ero in volo da Toronto.

Questa special edition del romanzo, edito per la prima volta nell’isola natale della Montgomery, è un’azione concreta per preservare la memoria letteraria della sua prozia e di quel personaggio che tutt’oggi ci fa esclamare con riconoscenza: vogliamo ripetere per l’ennesima volta che l’immaginazione è un talento grazie al quale non siamo costretti a barattare crudelmente l’essenza della nostra esistenza.

 

Nothing is ever really lost to us as long as we remember it.
(Lucy Maud Montgomery)

Canada on the road: Cartolina da Québec City

Quando arrivo a Québec City sento il peso degli 800 chilometri di distanza da Toronto. Dopo l’immersione cosmopolita della “capitale multiculturale del Nordamerica” finisco nel cuore del Canada francese, anzi per dirla alla loro maniera: “Qui non siamo in Canada, ma nel Québec”.

Gli spiriti bollenti del separatismo politico aleggiano nell’aria, mentre il cuore della città vecchia è così europea nell’architettura e nelle atmosfere da farmi ricercare le orme del Vecchio Continente.
A Québec City ci sono studenti assiepati ovunque, pare sia una destinazione molto gettonata da gita scolastica. Sarà perché è la città più antica del Nordamerica, il capoluogo dell’omonima provincia è preso da assalto. Cosa c’è di meglio che perdersi su e giù per le stradine di questa collina, guardarsi intorno, gettare la coda dell’occhio sui dettagli che fanno di Québec City la zolla europea più autentica del Canada?

Qui incontro Harry e We, due universitari dalla Cina, con cui condividere storie dell’ultimo viaggio nel loro Paese, antiche memorie, le censure, il mio weekend di studio con Bernardo Bertollucci, sequenze del film “L’ultimo imperatore”, il coraggio di quello studente in piazza Tienanmen… Dopo tutte queste chiacchiere mi chiedono una foto ricordo insieme, salutandomi con un bel complimento: “Sei un grande viaggiatore, perché sono le tue ispirazioni di vita e studi a portati in giro per il mondo.”

Comincio ad avvertire la stanchezza delle distanze del viaggio. Nel primo pomeriggio la cattedrale è semivuota, intravedo un prete in angolo a sistemare delle candele. Il Castello di Frontenac, uno dei simboli dell’intera provincia, è forse oggi l’albergo più fotografato al mondo. I turisti lo invadono, fanno sogni proibiti, non è alla portata di tutti e una notte qui costa un occhio della testa.

I palazzi pittoreschi della Haute-Ville guardano verso i musicisti da strada che animano la piazza mentre una carozza e un cavallo mi distrae con affetto e intravedo Parigi in lontananza. Bisogna farsi una lunga scarpinata oltre la Citadelle per entrare in contatto con la gente del posto. C’è chi fa jogging a prima mattina, chi scappa a lavoro, chi apre e chiude l’ombrello perché anche qui si passa con disinvoltura dal sole alla pioggia.

Il Museo Nazionale delle Belle Arti è una fantastica sorpresa e le sue provocazioni di arte contemporanea azzerano il pregiudizio che certe visioni non possano farci ritrovare la prospettiva di futuro che abbracci sostanza ed esistenza. Passeggio a lungo e mi fermo sulla rue Saint Jean nella piccola libreria Nelligan, che vende una marea di libri usati in lingua francese. Mi fermo a parlare volentieri con François, il vecchio librario nella foto della copertina di questo articolo, che negli scafalli trova per me un’edizione stampata in Québec e tradotta in lingua francese del romanzo canadese Anne of Green Gables.

Dalla rue Saint Jean passo a prendere due insoliti souvenir che a detta del negoziante mi faranno un vero “quebecchiano”: il pupazzo di Carnaval, mascotte di Québec City, e due statuine dei protagonisti del famoso programma televisivo di Tele-Québec “Passpartout”. Quale modo alternativo per ricordare attraverso cimeli locali questi due giorni sulla collina di Québec City?

Canada on the road: Cartolina da Montréal sotto gli occhi di Leonard Cohen

Certe canzoni hanno accompagnato le curve della mia vita, facendomi evitare gli sbandamenti esistenziali. Il mio viaggio a Montréal, comincia al numero 28 di rue Vallières, sull’uscio di casa del cantautore Leonard Cohen (1934-2016).

 

Il rumore sottile della pioggia sbuccia le fatiche della settimana lavorativa, osservo la gente comune, i mendicanti accovacciati, l’acqua che scivola via dagli ombrelli vorrebbe diventare neve, ritrovo gli acquerelli in musica di ogni suo verso. I turisti si precipitano nella Vieux Montréal, i viaggiatori come me fanno di tutto per localizzare un’area periferica.
Le Plateau-Mont-Royal mi conquista subito tra i murales che scrivono vecchie storie mai annebbiate, le piccole librerie dove vado a spulciare rimasugli letterari del Quebec, i localini alternativi in cui ritrovo la socialità. Qui una pinta di birra locale è ancora una salubre calamita per ritrovare amici e fare quattro chiacchiere.

Mi scappa la pipì e mi trovo per fortuna da Steve’s Music Store, uno dei negozi di strumenti musicali più importanti del Quebec.  Vale la pena chiedere la chiave del bagno, la più originale che mi sia capitata in 31 anni di viaggi: il portachiavi è una vera chitarra.

Dopo aver camminato ore e ore a piedi come un pellegrino, finisco con stupore a Place des Arts che rende la “New York parigina del Nord America” un crocevia d’arte e spettacolo. Questa è anche la casa della Montréal Symphony Orchestra che mi ospita al concerto del pianista francese Jean-Philippe Collard. È una serata speciale alla Symphony house, la magia del palco e la sensibilità del pubblico ad un tiro di schioppo da una piccola consapevolezza che non dovremmo mettere mai in soffitta: la bellezza infinita della musica classica ci salverà.

Perdersi nella città sotterranea, chilometri sotto i tuoi piedi che danno particolarità a questa metropoli canadese, che non ha smesso mai di sentirsi francese. Poi sbuco tra i grattacieli del dowtown, in lontananza si intravede il vecchio porto.
Come su uno scivolo mi trovo dinanzi a Notre Dame, il simbolo che sigla il gemellaggio con Parigi. L’altare della cattedrale è meravigioso, il più bello visto in America.

La vecchia Montréal è una miniatura parigina nell’architettura, nei ristoranti, nelle gallerie d’arte che profumano di Montmartre. Il mercato di Bonsecours è un covo di artigianato locale, ogni stradina di questa zona tinteggia le atmosfere rilassanti della Parigi, ormai vecchia cartolina dopo le ferite degli attentati terroristici.

Al vecchio porto, area completamente riqualificata, ti viene voglia di salire su una barca e navigare il fiume San Lorenzo, le cui acque pluviali collegano i grandi laghi americani all’oceano Atlantico.

 

Gira e rigira  il pensiero è sempre lì, come un chiodo fisso, al numero 28 di rue Vallières, sull’uscio di casa di Leonard Cohen, come se il mio viaggio a Montréal fosse circolare e si chiudesse con una dedicata sussurrata:

Ci pensi quanta strada? Grazie per non essere mai stato divo. Questa tappa per te, Leonard Cohen.