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Cartolina dal Brasile: Fuori dal mondo in Amazzonia come Fitzcarraldo

Cosa te ne fai di quattro giorni in Brasile con la spina staccata dal mondo a 140 chilometri da Manaus? Realizzi con un budget ridotto il sogno grande di una vita in viaggio: vivere nel cuore dell’Amazzonia.

Grazie a Debora e alla sua famiglia il mio quotidiano nella pousada sul fiume Juma, uno degli affluenti del Rio delle Amazzoni, prende la piega di un isolamento in cui la mia anima torna a scorrere nelle vene del quotidiano. Qui arriva soltanto corrente elettrica e in alcune ore del giorno va via.

Cobra, la nostra guida, è nato in una delle tribù del Nord della Foresta e da adolescente sognava di andare via e sposare una ragazza europea.
Da autodidatta ha imparato sei lingue, fa per mestiere la guida perché ha deciso di restare a vivere in questa zolla del pianeta e sposare una donna dell’Amazzonia del posto proprio come è successo ad una famiglia di indigeni con cui ho condiviso una mattinata.

Il figlio si sposerà l’anno prossimo e fervono i preparativi per la casa. Entrambi i genitori, sulla sessantina, si erano conosciuti ad una festa nella foresta. In realtà, lui aveva buttato l’occhio su un’amica, ma lei riuscì a farsi notare.
L’accoglienza a casa è davvero calorosa, lei nel tempo libero si diletta a fare collanine, lui cura l’immenso orto con i cui prodotti sfama tutta la famiglia.

Il tempo di questi giorni si dilaziona tra l’alba più densa dei miei 45 anni, 6 chilometri a piedi nella foresta con la lezione su come le piante producono rimedi curativi per gli indigeni, una notte a dormire su un’amaca nel cuore dell’Amazzonia, pesca, canoa,  avvistamento di delfini e tucani, uccelli meravigliosi rari, ore e ore su una piccola barca.
Il senso di tutto questo? Trasformare emozioni in ricordi di vita vissuta, una vita fatta di semplicità che mi ha restituito a gocce l’essenzialità e la sua immensità.

Questi quattro giorni  mi hanno cambiato in meglio. L’ultima sera, sotto le stelle, mi sono sentito come il Fitzcarraldo di Herzog chiacchierando a lungo con Martin, musicista in un’orchestra del Nord della Germania, tra una caipirinha ghiacciata, i ricordi di Abbado, Karajan, Jarrett e la smania nottambula di portare le partiture giocose mozartiane nel cuore dell’Amazzonia.

Aveva ragione mio padre: “La natura è l’arte di Dio”. Obrigado, Amazzonia.

Cartolina dall’Amazzonia: il soliloquio del Rio delle Amazzoni

Il Rio delle Amazzoni è stato il fiume più distante da me che da bambino desideravo navigare.  Quando la maestra Iole mi accompagnò alle elementari, attraverso un atlante geografico, lungo quel corso fluviale ebbi la percezione infantile di quanto le distanze fossero incolmabili tra i luoghi e gli uomini.
Per me il corso d’acqua più lungo del mondo, che attraversa Perù, Colombia e Brasile, era secondo la mia immaginazione il luogo in cui Dio andava a lavarsi senza la scocciatura di portarsi dietro lo spazzolino da denti.

Navigarlo a “nel mezzo del cammin di nostra vita” non solo ha esaudito uno dei più grandi desideri di viaggiatore, ma mi ha preparato all’entrata nel polmone verde della Terra: la foresta dell’Amazzonia. In nessuna navigazione ho mai provato questo prepotente senso di libertà che ti sgancia dell’ottusità della quotidianità, i cui ricatti vorrebbero fagocitarti in mondi che non ti apparterranno mai.

Poi il lungo e strabiliante abbraccio tra il Rio delle Amazzoni e il Rio Negro, dove le acque azzurre del primo e quelle scure del secondo si incrociano in uno spettacolo della natura che conferma un comandamento del Creato: siamo meticci come queste acque e il colore della pelle così come quello delle culture dei popoli è destinato a fondersi, e neanche lo sbianchetto dell’intolleranza potrà fermare tutto questo.

Non avrei voluto mai staccarmi da quelle onde. Sapevo che una parte dell’anima mia avrebbe continuato a navigare il Rio delle Amazzoni ripetendo a memoria i meravigliosi versi di Wilson Harris, parte preziosa del mio bagaglio letterario:

Lo spirito profondo dell’innocenza
è maturità senza fiato senza sogni:
le mani nere degli alberi si allungano
con pazienza. Le ali d’un uccello
fanno vento all’aria che brucia.
Le forze esterne, le forze interne
sono illusioni distinte che vanno
oltre il buio e le luci con un coltello a tagliare via tempi di dentro e di fuori, gli uni dagli altri,
nel corpo di un animale o di un dio
il cui passo furtivo è un’immateriale successione
di movimenti, così vasti e precisi, che non ha gesti la sua azione.