Cartolina dal deserto del Rajasthan: tutta colpa del cammello Bablu!

Nel piccolo villaggio di Khuri ad accogliermi c’è Sug. Mi sento un viaggiatore privilegiato a guardare questa zolla dell’India attraverso gli occhi di chi è nato nel deserto e ha radici in un piccolo villaggio del Rajasthan. Qui il tempo sembra essersi fermato.

Girovago nel centro del villaggio e di sbieco osservo le donne che portano sul capo l’acqua o i bambini che vanno verso scuola. Mi sembra di rivedere mio padre, più di settant’anni fa in un paesino del Sud Italia, in quello scenario campestre e contadino che ti trasmetteva un dialogo libero con i posti che ti circondavano.

Sug e i suoi fratelli sono nati qui a Khuri, ad una quarantina di chilometri da Jasailmer. Ci vivono da più di una generazione. Sug mi racconta che il nonno e il papà non avrebbero mollato questa terra arida per tutto l’oro colato.
Loro hanno messo sù degli alloggi – il mio è buffo quanto un trullo – per chi passa qui. Come compagno di quest’avventura mi tocca un cammello. Io su un cammello? Chi lo avrebbe mai detto.

Con il mio nuovo amico Bablu condividiamo una fetta di un pomeriggio assolato nel deserto del Rajasthan. Bablu mastica e mi fa smorfie mentre io mi godo l’ultimo tuffo del sole prima di trasformarsi in un tramonto del deserto. Da lontano si sentono suoni avvolgenti come le composizioni musicali di alcuni cd che mi sono portato dall’India.
In quel silenzio, seduto accanto a Bablu, trovo il coraggio che ogni uomo dovrebbe avere: lasciare il nome della donna che ama scritto sulla sabbia del deserto.

Prima che si assottigli l’ultimo filo di luce, torniamo al villaggio, ci aspettano dei musicisti locali intorno al fuoco. Si fa festa, si mangia, si danza, accanto a me è seduta una famiglia di Bombay. Alzo gli occhi verso il cielo e mi ritrovo faccia a faccia con mille, centomila, un milione di stelle luminose.

L’indomani mattina mi alzo all’alba per godermi lo spettacolo della nascita del sole. Poi metto lo zaino in spalla e mi fiondo in auto per ripartire. Sug mi raggiunge per salutarmi. Gli mostro alcuni miei appunti. Mi mette la mano sulla spalla e mi fa un cenno. A buon intenditore poche parole. Sug non sa leggere.

Dopo qualche chilometro Sug diventa un puntino e scompare nel deserto. Tiro giù il finestrino. Ho il vento tra i capelli e mi rendo conto di aver imparato a voler bene a Sug e ai suoi fratelli.

 

Se tu parli agli animali loro anche ti parleranno, così vi conoscerete. Se non parli agli animali, non li conoscerai mai. E ciò che non conosci lo temerai sempre. Ciò che si teme, si distrugge. (Proverbio indù)