Diario di viaggio: i sussurri di Teresa tra le montagne della Valle Vigezzo
John Ruskin aveva ragione ad affermare che “le montagne sono il principio e la fine di ogni scenario naturale”. Chi viene da una città di mare, scivola sempre sulla stessa buccia di banalità e così tra un tuffo in acqua salata e un passeggiata in alta quota preferisce la prima ipotesi. Il mio mini viaggio on the road tra le montagne della Valle Vigezzo in Piemonte mi ha proposto un’altra alternativa per un intelligente uso del tempo libero: ritrovare il dialogo con la natura, lasciando che la pelle si raffreddi con un’immersione nell’acqua dolce di un lago alpino. Poi lo stomaco ci mette il suo con un piatto di gnocchi ossolani a Druogno; gli occhi si soffermano sulle facciate delle case pittoresche di Santa Maria Maggiore; la fantasia sosta a Malesco dove gli spazzacamini non sono né roba da fiabe per bambini né frullano soltanto sul filo della voce di Mary Poppins. Qui, infatti, nel primo fine settimana di settembre, si svolge da quasi trent’anni un raduno magico che li celebra!
La montagna, quando vuole ed ha voglia, sa lasciarti incontri casuali ed emozionanti. Teresa, l’anziana signora milanese, che da qualche anno trascorre le vacanze qui nella Valle Vigezzo. Ho condiviso con lei un piatto di pasta e melanzane mentre mi raccontava della sua Milano del dopoguerra, di quando il marito le portò a casa la prima lavatrice, delle figliole Laura e Rosanna che scorazzavano per casa, valorizzando la gioia di essere mamma. Ad un certo punto mi ha indicato una montagna e la ha associata al capo di una donna addormentata. A tavola mi hanno fatto cenno di non preoccuparmi perchè era l’avanzare dell’età a guidarla in uno slalom tra realtà e immaginazione. La sera a cena Teresa ha risposto a tono ad una mia battuta con la massima: “Quando il diavolo ti accarezza, vuole l’anima”. E’ la stessa frase che mia nonna Lucia mi ripeteva puntualmente nelle sere d’estate delle nostre vacanze. In quell’istante ho capito che Teresa era la più lucida tra tutti noi, che non aveva né bisogno di medicinali né di compassione, ma solo di amore perché la sua mente si faceva trasportare dai sussurri delle montagne. Chissà se la “donna addormentata” non fosse proprio nonna Lucia, con la sua chioma imbiancata. Chissà se le nuvole che osservava Teresa, a cui dava una forma e un nome, non sono le stesse che guardo io quando vago tra i miei pensieri. Dovremmo tornare a guardare al di là della superfice che ci circonda per non sottometterci alla “resistenza della quotidianità”, ma per mutare il nostro stato d’essere.
Prima di ripartire, non ho detto a Teresa che a me succede la stessa cosa. E se mi reputate un matto, per favore non rinchiudetemi im una casa di cura, ma riportatemi tre quelle montagne piemontesi da Teresa, mia nonna per un giorno, per condividere un altro piatto di pasta e melanzane e divagare con lei, ricordandoci che tutto è superfluo, a parte la nostra anima.