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In viaggio con Paola, da chef di Modena al suo “primo amore”: l’insegnamento

Adoro i treni locali, senza la fretta dell’alta velocità che cancella paesaggi e storie, perché mi permettono di sciorinare i colori del tragitto, con la giusta lentezza. Questi viaggi mi donano altri viaggiatori, altre storie che ispirano riflessioni e biglietti senza ritorno. Paola si siede di fronte a me, accanto a mia moglie, diventa il mio interlocutore mentre il treno si allontana dall’Emilia per guardare in fondo la Toscana: la sua Modena è gemellata con la mia Napoli che lei conosce bene: ne parla come un’innamorata cronica che predilige i pregi tra le scorribande con i figli in via dei Tribunali e lo stupore della bellezza del Cristo Velato, come se in un’altra vita fosse stata una napoletana del centro storico.

DA MODENA COME SU UNA DILIGENZA

Di stazione in stazione, di storie in storie, mi sembra di conoscere Paola da sempre quando mi racconta di Modena e io ribatto tra i ricordi di gioventù nella sua città e il concerto di Pavarotti a Hyde Park del ’91: per un figlio d’operaio quale ero io fu come prendere la luna con un lazzo, a Londra.
Man mano che ci avviciniamo all’Appennino parmense, come se fossimo su una diligenza del vecchio West, Paola mi racconta dell’estati con la famiglia in Liguria: lei fa parte delle generazioni modenesi che andavano in direzione contraria al mare romagnolo. Si parla di musica, dei vinili che le passavano i cugini più grandi, dei gusti musicali e cinematografici tra Frank Zappa, il Banco del Mutuo Soccorso, Vasco e De André; il Va Pensiero di “VIVA VERDI” che fece tremare gli austriaci, il magistrale Mastroianni e la Loren in Una giornata particolare di Scola, che nell’adolescenza degli anni ’70 la fecero volare come una libellula sul maschilismo becero. E poi il primo concerto di Faber che non si scorda mai, le incursioni letterarie, i nostri dialoghi che brancolano tra il buio e l’omertà degli Anni di Piombo e lo sfascio della Prima Repubblica, tra l’impegno civile degli anni ’70 e l’appiattimento dei social network.

TRA LE ALPI APUANE E UNA SPERANZA DI PACE

Superato Pontremoli, Paola mi racconta la bellezza di questo piccolo borgo e poi mi lancia la domanda a bruciapelo: “Cosa ne pensi di Ezra Pound?”. Come se mi avesse letto negli occhi, perché tanti versi del poeta americano avevano dirottato le mie letture universitarie oltre la siepe dei pregiudizi e del legame di quest’ultimo con il Fascismo e il Nazismo.
Paola mescola ricordi di vita vissuta alle Alpi Apuane, ingoia l’incanto delle cave di marmo di Carrara dietro gli occhiali, l’amore per Alberto nel luccichio delle pupille, fin dai tempi dei banchi del liceo e la loro crescita tra contestazione e passioni politiche. I lampi accecanti di questo sole d’aprile, a ridosso di Sarzana, sembrano in lontananza le bombe in Ucraina, smorzati poi dagli appunti di un’insegnante modenese che trae dall’infanzia smisurata ricchezza: la bambina ucraina che prende per mano la piccola coetanea russa nel cortile di una scuola emiliana e il trattenersi insieme fino al tramonto disegnano i contorni dI una speranza di pace.

DA APPREZZATA CUOCA MODENESE A INSEGNANTE LUNGIMIRANTE

Dall’entroterra passiamo alla costa del mare toscano e i nostri discorsi sfumano, oltre la Versilia, fino all’arrivo nella stazione in cui Paola scende dal treno. E’ solo in quel momento che capisco chi fosse davvero il mio interlocutore: la chef Paola Corradi che, insieme al sommelier Alberto Vaccari, ha segnato la storia degli ultimi quarant’anni dell’arte culinaria a Modena, prima gestendo la famosa Osteria Francescana ceduta allo stellato Bottura e poi la Cucina del Museo, ristorante apprezzato e osannato dai colleghi della stampa. Dopo la scomparsa prematura di Alberto, Paola è tornata alla passione giovanile dell’insegnamento, rispolverando il diploma di maestra.
Questo diario di viaggio è dedicato a Paola e a tutte le donne come lei che, per intelligenza, sensibilità, spessore e professionalità, non hanno bisogno di ostentare come tanti provinciali al pascolo sui social network, che vorrebbero passare per ciò che non sono.


VIAGGI, VIAGGIATORI E RINASCITE

I viaggi sono fatti anche dai viaggiatori e non solo dalle destinazioni. E quando di rado accade di incrociare un compagno di viaggio speciale, senza accorgersene si allarga la famiglia sulla strada della vita. A quest’ora Paola avrà già preparato per suo figlio la Sacher torte mentre una stella cadente, Alberto, si sarà posata sull’isola dell’Elba.
Pasqua è rinascita e questa è una gran bella storia di rinascita, donata anche a chi come me ha deciso di non trascorrerla seduto alla solita tavola tra pastiera e uova di cioccolato. Volevo raccontarvela.

Il Concorso degli insegnanti, fumo negli occhi per chi “ripiega”

Rosario PipoloMentre il Ministro Profumo parla di ringiovanimento della Scuola Pubblica italiana attraverso il fantomatico concorso che dovrebbe piazzare più di 11 mila nuovi insegnanti, sui social network circolano a raffica i malumori: troppe incongruenze, contraddizioni, guerriglie tra precari e non che fanno gola ai sindacati, il panico per i test preliminari, che il prossimo 17 e 18 dicembre butteranno giù dalla torre una bella fetta di partecipanti.

Nei giorni bui di tagli da tutte le parti, ieri sera nel salottino televisivo di Fabio Fazio, il ministro Profumo ha rassicurato: “Occorre mettere ordine, riavviare il processo, e fare in modo che sia trasparente, in cui le persone credono. Abbiamo bisogno di un paese che non abbia stop and go ma una certa continuità”. Ci sarebbe una considerazione da fare, con la consapevolezza che l’Italia non può dare a nessuno lezioni in termini di “trasparenza di concorsi pubblici”.
Nel Belpaese del secondo dopoguerra del secolo scorso, c’erano due vie per scappare dalla miseria e trovare un rifugio economico dignitoso: la divisa militare e l’abito del monaco. Quanti della generazione di mio padre e di mio nonno ripiegarono, finendo sotto le armi o su un altare.

Con tre milioni di disoccupati che abitano in Italia, è inutile prenderci per i fondelli. Per quanti “salire in cattedra” sarà un ripiego? E non mi riferisco a chi da sempre sogna di svolgere la mansione difficile di insegnante per passione e vocazione, ma a chi magari ha sempre snobbato questa professione e adesso la sceglie perché si trova con l’acqua alla gola. E così nella mischia del prossimo concorso ci finiranno pure mancati medici, ingegneri, avvocati, contabili, informatici, creativi e compagnia bella, convinti che “insegnare” sia robetta da tutti, senza contare dell’ “altro valore aggiunto”.

Tornando all’intervento di Profumo, direi che “mettere ordine” nella nostra Scuola significa anche questo: un precario che supera i 50 anni non può piagnucolare con l’alibi di non avercela fatta perché è vittima del sistema lesionistico della “raccomandazione”; un candidato che sceglie come sede scolastica una regione diversa da quella in cui abita non può fare la “furbata” di trovare sotterfugi per tornarsene nel giro di qualche anno al paese suo a danno del sistema; gli “scalatori di graduatorie” non possono farla franca tra certificazioni innocue o invalidità soft; la scuola italiana non può definirsi civile finché non riconoscerà a pieno titolo, nel suo sistema contraddittorio, il sostegno e la figura degli educatori.

E se questo concorso è un bel vassoio “di brioche” da dare in pasto al popolo affamato fuori dal palazzo, la nuova Scuola Pubblica finirà presto alla ghigliottina. Proprio come capitò a due sovrani poco lungimiranti, Luigi XVI e Maria Antonietta di Francia per l’appunto: a recintare la fame del loro popolo non era una rivolta passeggera, ma una rivoluzione.

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Profumo e il concorso degli insegnanti

Tania, l’insegnante con i sogni lasciati al vento

Il Presidente Giorgio Napolitano ha firmato la nuova manovra finanziaria del governo, ricordando a tutti gli italiani che è il momento di “fare sacrifici”. Cosa abbiamo fatto fino a questo momento? Il commento che Tania ha lasciato al mio post sulla nuova Finanziaria 2011-2012 mi ha colpito e mi sono detto: per una volta voglio bloggare con le parole di una lettrice. Ho conosciuto Tania su un autobus che ci portava a scuola alla fine degli anni Ottanta. Poi ci siamo persi di vista e il web ci ha fatto ritrovare. Quella di Tania non è una lamentela, è un’amara presa di coscienza che si rifugia in quella che appare come la pagina da strappare di un vecchio diario di scuola. Questa pagina va conservata alla luce dei fatti di questi giorni:

“In questi giorni avverto una strana sensazione di impotenza dinanzi a cotanta indifferenza, a scuola tutti proseguono per la loro strada come se nulla accadesse, qualcuno sibila un piccolo e rassegnato “mamma mia”. Personalmente ho una rabbia tremenda, è stato già difficile accettare che nonostante la fatica, l’impegno, non ho potuto fare il tanto ambito scatto sociale: io figlia di un autista dell’Atan con madre casalinga e proveniente da una cittadina di periferia non ho mai sognato di diventare ricca. Anzi ricordo le battaglie al liceo quando il prof mi replicava che l’insegnamento mi avrebbe relegato ad una vita di stenti. Io ostinatamente urlavo la mia voglia di dedicare l’esistenza alla conoscenza esplorata ma anche tramandata, speravo al contempo di non condurre una vita tanto sacrificata, mi dicevo tra me e me che comunque avrei avuto un lavoro,ambivo,forse ingenuamente, ad entrare nella così detta classe media, quella che poteva permettersi le vacanze, il cinema ed una pizza al sabato sera.
Oggi a 34 anni, sono insegnante, mio marito è capo stazione, ho due bimbi, un mutuo trentennale per un alloggio di 80 metri quadri. Non posso certamente andare al cinema neanche una volta al mese, abbiamo una piccola utilitaria e ringrazio già Dio perché posso pagare le attività sportive ai bimbi e fare un po’ di mare (in campeggio però!). Poi ad un tratto mi viene chiesto di fare ancora sacrifici. Mi chiedo: o sono l’unica sfigata di Italia che non ha rendite, che ha una famiglia d’origine amorevole, ma che può donarle solo aiuti morali – essendo anche loro solo pensionati a stento ci invitano a pranzo un paio di volte l’anno – oppure qui il Paese è in uno stato remissivo e non si rende conto che l’Italia sta andando alla deriva”.

Caro Presidente Napolitano, mi scuso per la sfacciataggine: ci pensa lei a rispondere a Tania? Io non ne ho né il coraggio né l’autorevolezza. Tania ha un sacrosanto diritto, quello di riprendersi i sogni lasciati al vento.

Scuola, caro o maledetto maestro unico?

Non vuole essere uno sdolcinato incipit da libro “Cuore”, ma io sono figlio della generazione che alle Elementari si è formato con la maestra unica. Il mio primo giorno di scuola? Settembre 1979, in cattedra la dolcissima maestra Iole e al mio fianco il compagno di banco Giuseppe. Quei cinque anni al II Circolo Didattico di via dei Mille ad Acerra, ad una manciata di chilometri da Napoli, sono stati davvero idilliaci. Quando “il maestro unico” è stato abolito, io avevo lasciato quei banchi da qualche anno, ma dal punto di vista sentimentale non l’avevo mandata giù! Lungo il percorso mi sono convinto che “il maestro multiplo” avrebbe colmato alcune mie lacune e avrebbe indicizzato la mia conoscenza su diversi fronti. Adesso, per tagliare i costi della “scuola sprecona italiana”, il Ministro Gelmini vuole fare un passo indietro e tornare al maestro unico. Mentre il mondo della scuola protesta (i sindacati hanno appena proclamato uno sciopero generale in data da definire), la Camera dice sì al nuovo decreto legge. Non devono essere né gli alunni né le famiglie a pagare questo scotto, ma i fannulloni. Per ridurre le spese inutili, Mariastella Gelmini dovrebbe puntare il dito contro gli sfaticati della scuola pubblica italiana: gli invalidi fasulli che sono balzati in vetta alle graduatorie; i supplenti che fanno tre giorni di annualità e poi si mettono in maternità; gli assenteisti che usano i certificati medici per fare “i cazzi loro”; o alcuni delle segreterie che si scaccolano il naso per metà giornata. Per fortuna, il corpo docenti come il resto del personale non è tutto così. Giù le mani dalla mia maestra Iole, ma per mio figlio non voglio inciampare nella nostalgia: un solo insegnante è roba da libro Cuore!