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Carlo e Camilla, The Crown, Netflix

Quali segreti ci riserva The Crown di Netflix sull’incoronazione di Carlo?

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L’incoronazione di Carlo a sovrano d’Inghilterra di sabato 6 maggio scrive una nuova pagina nella storia della monarchia inglese. Mi chiedo: quali segreti ci riserverà The Crown di Netflix?
Ormai è risaputo che la seguitissima serie tv, giunta alla quinta stagione, sia una spina nel fianco a Buckingham Palace. Vi vorrei vedere nei panni di un reale inglese, inclusa la compianta Regina Elisabetta, a litigare dal 2016 con il vostro alter ego sul piccolo schermo tra verità e immaginazione.

SESTA STAGIONE E POI THE END

Scusate l’impazienza. Quanto tempo dovrò aspettare affinché gli sceneggiatori di The Crown spifferino i retroscena dell’incoronazione di Carlo?
La sesta stagione, di cui sono in corso ancora le riprese, dovrebbe essere l’ultima della serie. I battenti si chiuderebbero sui primi anni Duemila fino all’incontro fiabesco tra William Kate.

CARLO, CAMILLA E GLI INCIUCI DI THE CROWN

Se così fosse Re Carlo III tirerebbe un sospiro di sollievo. Nella quarta e quinta stagione, tra il divorzio dalla principessa Diana e l’amore clandestino di una vita con Camilla non ne era uscito un figurino.
Spulciando tra gli aneddoti di palazzo mi è giunta voce che ormai Carlo sia stufo di guardare la serie tv di Netflix. Dall’altra parte mi sembra preoccupato. Re Carlo avrebbe detto a un gruppo ristretto di parlamentari scozzesi “di non essere la persona raccontata nella serie televisiva di The Crown“. A differenza sua Camilla ci ride su. Pagine di tabloid l’anno scorso la hanno ritratta al fianco della sua fotocopia televisiva, la brava e affascinante attrice Emerald Fernell, che ha constatato quanto la futura regina consorte fosse una donna di spirito.

PANE DA SCENEGGIATURA

Quale dito nella piaga si teme di più a Buckingham Palace sull’incoronazione di Carlo? Io non mi preoccuperei tanto dei 100 milioni di sterline spesi per la cerimonia che ricadranno fitti fitti sulle tasche dei britannici. Piuttosto sarei vigile sul prossimo brutto tiro di Henry e Meghan.
Del resto l’ultima sconcezza del principino ribelle non è andata proprio giù a Re Carlo: veleni e veleni messi nero su bianco nel libro Spare. Lo avete letto?
Questi ultimi farebbero l’acquolina in bocca a qualsiasi sceneggiatore.

NETFLIX, RIPENSACI!

Sul set di The Crown hanno appena finito di girare le scene del matrimonio di Carlo e Camilla, che potremmo vedere solo nel 2024.
Nel frattempo godetevi in tv l’incoronazione di Carlo, con una speranza, l’ultima a morire: che il nuovo Re sia quantomeno all’altezza della mamma Elisabetta e convinca quelli di Netflix a non chiudere l’amata serie tv con la sesta stagione.

Pino Daniele, scudetto napoli

Napoli nel pallone tra canzoni di ieri e di oggi

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La febbre scudetto sta a Napoli come Napoli alle canzoni. La musica popolare accompagna da sempre la squadra partenopea e ci sono diversi brani che vanno ricantati da soli o in buona compagnia. Torniamo ad essere canterini sul balcone come nei mesi grigi del lockdown? Ho scelto quattro canzoni di ieri e di oggi per accompagnare il sogno azzurro.

OJE VITA, OJE VITA MIA

Oje vita, oje vita mia oje core ‘e chistu core
si’ stata ‘o primmo ammore e ‘o primmo e ll’urdemo sarraje pe’ me!

è il ritornello della famosa canzone napoletana ‘O surdato ‘nnamurato. Quante volte l’avete sentita cantare in coro senza aspettare la febbre scudetto del Napoli?
Scritta nel 1915 da Aniello Califano sulle musiche di Enrico Cannio, è un testo triste di cui il ritornello, cantato a squarciagola sugli spalti dell’ex San Paolo di Napoli, ne stravolge il significato. In realtà questa poesia musicata, che ha avuto interpreti d’eccezione come Anna Magnani e Massimo Ranieri, racconta della sofferenza di un soldato al fronte, durante la Prima Guerra Mondiale, per la lontananza dalla sua donna.

FORZA NAPOLI

Nino D’Angelo ha dedicato alla squadra azzurra la canzone Napoli, colonna sonora del film Quel ragazzo della curva B, uscito al cinema nel 1987 e ambientato nell’annata del primo scudetto. Versi come

Viecchie e giovani cercano rint’a nu pallone Nu poco ‘e pace nu juorno nuovo Ca se chiamma libertà

esprimono bene come i trofei siano un grande riscatto per tutta la comunità partenopea. Il brano è inserito nella discografia ufficiale di D’Angelo, comparendo all’interno dell’album Fotografando l’amore del 1986.

DA PINO A DIEGO

Tango della Buena Suerte di Pino Daniele, uscito nel 2004 all’interno del disco Passi d’autore, è un omaggio sottovoce all’ex capitano del Napoli Diego Maradona. Sotto le vesti di un tango e con venature malinconiche la canzone di Daniele fotografa bene la persona nascosta dietro al personaggio. In un certo senso è anche profetica rispetto alla morte prematura del campione argentino:

E a luci spente suona il tango
per magia resterà qui per sempre come un fermo immagine.

IL DIO DEL PALLONE IN UN RAP

Maradona è il titolo di una canzone di Geolier, contenuta nell’ultimo album Il coraggio dei bambini e pubblicata lo scorso gennaio. Il rapper di Secondigliano ha dedicato al Pibe de Oro un brano intenso in cui si sente forte la voglia di rinascita e di riscatto. Il dio del pallone in terra diventa così per Emanuele Palumbo l’interlocutore privilegiato nel nostro tempo complicato e pieno di contraddizioni:

Vogl duij rilog Dieg Armand Maradona
Tie vir bro vir che or song
Fat nu mlion rop lag mis aggir
E bast cu sti sold so volgare e so imbattibil
.

Murales, Napoli calcio

Napoli, dove fare i selfie a “regola d’arte”

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A Napoli sale la febbre scudetto e un bel selfie ci sta bene per onorare la squadra di calcio partenopea. In alternativa all’ambita foto con il calciatore del cuore, si può optare per un murale, un graffito, un’opera d’arte a cielo aperto.
Ecco cosa la street art napoletana vi mette a disposizione per il prossimo selfie.

JORIT TRA SAN GENNARO E MARADONA

Cominciamo con la benedizione scudetto del Santo Patrono di Napoli. Nel quartiere Forcella splende il San Gennaro di Jorit e, dai suoi 15 metri d’altezza su piazza Piazza Crocelle ai Mannesi, rivolge lo sguardo su Spaccanapoli. L’arte del partenopeo Jorit Agoch, di madre olandese, ha conquistato il cuore di tutti i napoletani che hanno reso il suo San Gennaro uno dei murales parteopei più diffusi in Rete.
Jorit ha fatto colpo ancora con il maxi murale dedicato a Diego Armando Maradona nel quartiere periferico di San Giovanni a Teduccio. Apprezzato dallo stesso Pibe de Oro, l’opera gigantesca di Jorit è stata realizzata nel 2017 su una facciata delle vecchie case popolari in via Taverna del Ferro.

STREET ART E MOVIMENTO

Il murale dedicato a Maradona nei Quartieri Spagnoli è meta di pellegrinaggio da sempre. Su un vecchio palazzo di sei piani, in via Emanuele De Deo, Diego corre per segnare un goal, nel cuore della città che ha amato tanto. Street art e movimento evocano l’infinito sentimento partenopeo per il grande campione argentino scomparso prematuramente. L’opera è stata relaizzata nel 1990 da Mario Filardi in occasione del secondo scudetto vinto dal Napoli.
Meno noti, sempre in zona, sono i murales dell’artista argentino Juan Pablo Gimenez in via Trinità degli Spagnoli. I protagonisti sono Kim, Anguissa, Di Lorenzo e Kvaratskhelia e l’mpronta artistica movimenterà il vostro selfie.

DALLA STAZIONE DELLA CUMANA AI BAMBINI CON LA MAGLIA DEL NAPOLI

La fermata Mostra-Stadio Maradona della ferrovia Cumana di Napoli è un altro posticino da tenere in considerazione per un selfie a regola d’arte. Un’antologia di murales racconta la storia centenaria del Napoli Calcio fino ai giorni nostri. Qui avrete soltanto l’imbarazzo della scelta tra vecchie e nuove glorie che hanno indossato la maglia azzurra, da Cavani a Higuain.
Infine, si segnala l’omaggio artistico di Rosk & Loste al mondo dell’infanzia e alla passione per il pallone nell’opera gigantesca che campeggia in periferia, nel Parco dei Murales a Ponticelli. Le maglie della squadra del Napoli indossate dai due bambini, protagonisti del murale dei due artisti siciliani prima della febbre scudetto, trasmettono un forte segno di appartenenza, l’importanza della propria identità e delle radici comuni.

Napoli, Stadio Maradona, Ex San Paolo

4 luoghi storici nel cuore di un tifoso del Napoli

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Scattata da un bel pezzo la febbre per il terzo scudetto, ci sono almeno 4 luoghi storici da vedere se sei un tifoso della squadra del Napoli. La società sportiva Calcio Napoli si prepara a festeggiare nel 2026 i cent’anni e in giro ci sono alcuni posti che appartengono alla storia di una squadra di calcio che ha segnato la storia del pallone in Italia. Sei o non sei un tifoso degli azzurri?

IL VESUVIO, IL PRIMO STADIO NON SI SCORDA MAI

Il rione Luttazzi, conosciuto al grande pubblico per la serie televisiva di L’amica geniale, ha ospitato il Vesuvio, primo e storico stadio della squadra del Napoli Calcio. Inaugurato nel 1930 a pochi chilometri dalla Stazione Centrale, fu completamente distrutto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale dodici anni dopo.
Vita corta per il campo, intitolato successivamente ad Ascarelli, il fondatore della società calcistica partenopea scomparso prematuramente. Oggi a ricordare lo stadio e le sue gesta calcistiche c’è una targa ubicata nella via Vesuvio.

LO STADIO COLLANA

Al Vomero, quartiere collinare della città Napoli, c’è lo stadio Collana che ha contribuito a scrivere la storia degli Azzurri parteonpei negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso. Pochi sanno che l’ex stadio del Littorio con i suoi 8.000 posti ha ospitato la squadra del Napoli dopo la distruzione dell’Ascarelli sotto le bombe della guerra.
Doveva essere una location provvisoria. In realtà il Napoli ha giocato qui per 17 lunghi anni. Nel 1959 avvenne il trasferimento nel nuovo e grande stadio del Sole, battezzato poi San Paolo.

LO STADIO SAN PAOLO

Batticuore allo Stadio San Paolo, inaugurato nel lontano 1959 e intitolato dal 2020 all’ex capitano del Napoli Diego Armando Maradona. Ristrutturato in occasione dei Mondiali di Italia 90, lo stadio partenopeo è ubicato nel quartiere di Fuorigrotta, il più popolato del capoluogo campano. Nel corso dei decenni è riuscito ad ospitare per una partita anche 90.000 spettatori: si trattava del match tra la Nazionale italiana e la Germania Est del ’70.
Su questo campo si sono disputate partite degli Azzurri entrate nella mitologia del calcio di tutti i tempi. Chi non ricorda la mitica punizione del 1985 che portò alla vittoria gli Azzurri di Maradona contro la Juventus di Platini o il 4-1 del Napoli di Bianchi e Maradona contro il Milan di Sacchi e Van Basten del 1988?

IL CENTRO SPORTIVO PARADISO

A Soccavo c’è una pagina di storia del Napoli Calcio dei tempi di Maradona. Il Centro sportivo Paradiso, costruito nel 1977, è ormai abbandonato e lasciato morire a sé stesso da vent’anni.
Questo luogo potrebbe raccontare annali di allenamenti.
Siete tra coloro che ai tempi frequentavate il quartiere alle pendici della collina dei Camaldoli? Allora avete rubato i palleggi di Diego o portate ancora nel cuore il ricordo dei bambini gioiosi assiepati lì per strappare un abbraccio al loro dio calcistico.

10 foto di Mikhail Gorbaciov da conservare

Quelli della mia generazione sono cresciuti sentendo in lontananza il ruggito di Mikhail Gorbaciov, il visionario della Perestrojka a cui i russi non diedero ascolto in tempi non sospetti. Ho scelto 10 foto dall’album della sua vita e voglio ricordarlo così.Prima o poi troverò qualcuno di buona volontà che vorrà musicare le parole sagge di un antico proverbio arabo: “Sui cadaveri dei leoni festeggiano i cani credendo di aver vinto. Ma i leoni rimangono leoni e i cani rimangono cani”.

Le radici, i nonni, la Russia contadina.
Misha e il suo grande amore Raissa, sposi per 46 anni
Misha e Fidel
I sorrisi di Misha e Reagan, la distensione URSS-USA
L’appassionato bacio tra Misha e Heckner della Germania dell’Est
Misha e Sua Maestà Lillibet
Misha e il Papa polacco Wojtyla
Misha fotogenico nello spot pubblicitario di Pizza Hut
Misha, la musica, Bono e il sassofono macato di Clinton
L’amore oltre la morte. L’ultimo saluto straziante alla sua Raissa.

Palermo senza Falcone: io prigioniero nel Palazzo dei Normanni

Trent’anni dopo la strage di Capaci, resto prigioniero nel Palazzo dei Normanni di Palermo. Mentre il capoluogo siciliano si accinge alle commemorazioni per l’uccisione del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta, io salgo e scendo lo scalone del palazzo in cui aleggia ancora la presenza di Federico II.
Mi defilo, mi nascondo tra i colonnati, mi siedo sulla scala e penso a dove mi trovassi il 23 maggio 1992, quando al telegiornale diedero la tragica notizia: ero immerso nella preparazione dell’esame di maturità.

IO VI PERDONO, PERO’ VI DOVETE METTERE IN GINOCCHIO

E pensare che la mia ultima volta a Palermo la residenza reale più antica d’Europa era una bellezza da contemplare tutta all’esterno. Ora ci sono dentro, ne attraverso le stanze non da turista ficannaso ma da viaggiatore alla ricerca di glorie remote in oltre duemila anni di storia.
Dalla finestra spingo lo sguardo fino al centro storico di Palermo, in lontananza le facce degli studenti del Vittorio Emanuele, in cui insegnò don Pino Puglisi, un altro martire di Cosa nostra. Non riesco a leggere gli striscioni dedicati a Falcone degli studenti palermitani, che trent’anni fa non erano nati ancora.

L’ARTE CI SALVERA’ DALLE BRUTTURE DI QUESTO MONDO?

Ho in testa il rumore delle bombe di Capaci – ricordo quando mi accompagnarono nella zona dell’attentato nell’estate 2007 – e le parole di rabbia e dolore di Rosaria Schifani, vedova della scorta, “Io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio.”
Trovo rifugio nella Cappella Palatina, magnifico dono del monarca Ruggero II di Sicilia, una bellezza indescrivibile da procurarmi un lungo batticuore. Di fronte a tanta bellezza, affogo improvvisamente nell’amletico dubbio: l’arte continuerà a salvarci dalle brutture di questo mondo?

GLI UOMINI PASSANO, LE IDEE RESTANO

Nel giardino del Palazzo dei Normanni, sosto sotto un albero. E’ enorme rispetto a quello in via Notarbartolo 23, sotto casa di Giovanni Falcone. Se ci penso, con le sue radici enormi, assomiglia all’eredità di questo martire della Mafia: così radicata da spingere i più giovani a calpestare uno dei peggiori morbi di una società civile, l’omertà.
Gli anniversari servono anche risollevare la salivazione amara che ti fa guardare il bicchiere mezzo vuoto: cosa non abbiamo fatto allora per salvare i giudici Falcone e Borsellino? Cosa non hanno fatto lo Stato, le istituzioni, la classe politica di allora?
La loro morte feroce per mano della Mafia rimane una delle sconfitte più lapidari dell’Italia della Prima Repubblica.
Da dietro l’albero nel giardino del Palazzo dei Normanni sbuca un bimbo dal sorriso vispo, sgambetta verso la madre che gli va incontro, risento queste parole:

“Gli uomini passano, le idee restano, restano le loro tensioni morali, continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.”

GIOVANNI FALCONE

Il mio 23 maggio, lontano dai simboli, dai cortei, dai cerimoniali, prigioniero della bellezza del Palazzo dei Normanni.

Julian canta “Imagine” di papà Lennon solo per l’Ucraina?

Quante mani dovrei chiedere in prestito per conteggiare le cover di Imagine, manifesto musicale pacifista di John Lennon e Yoko Ono, spalmate in ogni angolo del pianeta. Se a cantarla però è Julian Lennon, primogenito dell’ex Beatles nato dalla prima moglie Cynthia – per la prima volta per giunta – qualche riflessione ci può stare.

IMAGINE PER L’UCRAINA?

La guerra mostruosa in Ucraina e il desiderio di pace hanno bussato alla porta di tanti musicisti. A far da capofila ci sono i Pink Floyd e la loro Hey Hey Rise Up sulla voce del frontman dei BoomBox Andriij Khlyvnyuk. A questa si aggiunge Imagine nella versione di Julian che tappa la bocca alla promessa dello stesso Lennon Junior: “Non eseguirò Imagine fino alla fine del mondo”.
La prima cosa che mi colpì prima dell’intervista a Julian, alla vigilia del Concerto del Primo Maggio del 1998, era la somiglianza fisica con il papà. Il figlio di John Lennon si mostrò garbato, accogliente, senza la superbia che poteva soccorrere le fragilità nascoste dietro un figlio d’arte. In questa cover di Imagine c’è solo di mezzo l’Ucraina?

DI PADRE IN FIGLIO

Forse sì, forse no. L’esecuzione intensa di Imagine di Julian tra le fiammelle accese, in memoria delle vittime della guerra, commuove anche perché nasconde il canto di liberazione di un figlio tra ferite, conflitti e lacerazioni.
Puoi essere o non essere il figlio di una rockstar, ma il dolore ha lo stesso peso quando vedi tuo padre andarsene da casa, cominciare la vita con una nuova compagna e sentirti spodestato affettivamente dall’arrivo di un “fratellastro”. Pardon, oggi questa parola è bannata nel dizionario delle progressiste “famiglie allargate” in cui si sta al gioco di andare d’amore e d’accordo.

LA COVER CHE FA MALE

La cover di Imagine di Julian Lennon non si ferma all’urlo pacifista per l’Ucraina. La rabbia del padre John, che cinquant’anni prima aveva cantato l’abbandono con la durezza delle parole “Mother, you had me But I never had you… Father, you left me But I never left you”, diventa terapia dell’anima nella cover di Julian che sussurra ferite mai chiuse con delicatezza. Qui, infatti, il piano di papà John tace e la musica è consegnata agli accordi di una chitarra acustica.
Chissà semmai i versi “Imagine all the people living life in peace” riscriveranno le parole “Immagina papà e figli vivere una vita vicina e lontana in pace”, senza le burrasche della calma apparente.

Il 19 marzo e l’onomastico che ti restituisce Peppe Tanzillo

In Copertina: Foto di scena di Antonio La Peruta

Dove sono nato e cresciuto l’onomastico non era da meno del compleanno. I nomi ci rendono unici e irripetibili, ci legano a Dio per sempre e noi gente del Sud lo teniamo sempre a mente. Il 19 marzo, San Giuseppe, mi restituisce intatto il ricordo di Peppe Tanzillo, un amico della periferia di Napoli.

PIACERE, PEPPE

Di quella lunga tavolata di Pasquetta nella primavera del 1988, che guardava in lontananza gli stabilimenti della Montefibre di Acerra e dell’Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco, ero l’unico adolescente in mezzo ai più “grandi”. Giovanni, Tiziana, Umberto e Vittoria mi sedevano accanto, mi svestirono di quell’aria ingessata e mi fecero sentire a mio agio per tutto il pomeriggio. Tiziana, che sapeva della mia passione sfrenata per la lingua inglese, si alzò di botto, mi condusse dall’altra parte della tavolata e mi presentò un trentenne dalla faccia simpatica, allora insegnante di lingua e letteratura inglese in una scuola paritaria.
“Piacere, Peppe”, esordì lui e cominciò a declamare filastrocche in inglese come se fosse un attore girovago del teatro elisabettiano venuto da un tempo lontano. Io gli feci il verso e mi piantai a stonare il paradigma dei verbi irregolari come se fosse una canzone dei Beatles. Sulla fragorosa risata del “professore dal sorriso sornione” riconobbi il fratello maggiore che non avevo mai avuto.

SULLA STRADA DI PERIFERIA

Nonostante la distanza anagrafica e le diversità generazionali Giuseppe Tanzillo, in arte Peppe, è stato una delle persone più vere conosciute sulla strada di periferia, in un tempo extraterrestre in cui i legami si sedimentavano “miezz’a via” senza i filtri amorfi della globalizzazione digitale.
Peppe che correva avanti e indietro con le scartoffie scolastiche nella borsa in pelle; Peppe che mi suggerì il dizionario inglese delle frasi idiomatiche che avrei comprato a Londra anni dopo; Peppe che mi presentò la fidanzata – la mia amica Tania delle messe domenicali – e poi moglie per sempre; Peppe che prese dalla culla un fagottino, mi indicò il figlio Vincenzo e io “Vicienzo come Vincenzo Scarpetta?”; Peppe che mi prestò una moneta da 200 lire per telefonare da una cabina pubblica mamma infuriata che mi dava per disperso, mentre noi eravamo su una panchina a tradurre i sonetti di Shakespeare.

GIOSTRA TRA VITA E PERSONAGGI

Peppe, nella vita Giuseppe Tanzillo, ha custodito, dietro la giostra dei suoi personaggi e del suo trasformismo brillante in palcoscenico, l’autenticità della persona lontana dalla superbia e libera dai compromessi a cui è condannato chi deve apparire per non essere sé stesso.
In questa foto di copertina del 1996 – una sorpresa di Domenico Cantore autore del cortometraggio Blù in concorso al Festival del Cinema di Salerno e alla Rassegna Visioni Italiane della Cineteca di Bologna – mi ritrovo ventenne insieme a Peppe quarantenne. Sullo sfondo della periferia di Napoli da protagonista vestiva i panni, lungo lo scivolo di sogni e solitudini, di un fattorino di una piccola tv locale che consegnava i prodotti delle televendite.

MI SENTI, SONO IO…

Questa vecchia foto è incredibile, ci presenta con quelle “inguardabili canottiere” che restano l’anti-sex symbol di noi ragazzi del Sud di ieri, strafottenti del mito di cartone del latin lover.
Oggi, 19 marzo, guardo lo scatto con profonda commozione e mi sembra che il mio personaggio urli a Giuseppe Tanzillo “Mi senti, sono io, mi senti…” nell’assordante rumore di un’epoca frenetica che tende a spazzare via memoria e ricordi, offendendo il bene profondo.
Quando ho capito quale muro fosse a separarmi da Peppe Tanzillo, vi ho ritrovato scolpite queste parole:

Qui ove il fremito delle umani passioni non giunge ed ove l’insana malvagità degli uomini s’arresta, le lacrime e le preghiere dei defunti confortano e sollevano lo spirito.

Un giorno ci ritroveremo, sulla strada.

Russia e Ucraina nella guerra dei social media tra fake news e amare verità

Illustrazione Cover di The Daily Beast


La guerra tra Russia e in Ucraina si sta combattendo anche con i social media, da Telegram a TikTok, paradossalmente lanciati da Russia e Cina, i due nemici più temuti dalla NATO. Agli inviati di guerra dei media tradizionali, che in questo conflitto spesso sono stati ostacolati nel reperimento di notizie in loco, si è affiancato il citizen journalism. Da una parte, il giornalismo partecipativo ha fatto della gente comune uno dei protagonisti della narrazione di questa guerra sanguinosa, dall’altra si è assiepato tra fake news e amare verità.

GUERRE INTELLIGENTI

Se faccio un passo indietro e ripenso alle pagine di Guerre Intelligenti, il volume che mi portò a lavorare a fine anni ’90 alla Federico II di Napoli nel team della sociologa Rossella Savarese, sembrano trascorsi anni luce dalla Prima Guerra del Golfo, nell’evoluzione dei sistemi di informazione e delle loro relazioni con la politica locale. La Russia di Putin ha fatto scricchiolare lo slogan “si vince senza combattere” e sta trascinando l’Europa in una guerra che convoglia strategie militari tradizionali.

MOSCA E LO STILLICIDIO DELL’INFORMAZIONE LIBERA

A livello mediatico cosa accade? Se allora Peter Arnett, il celebre giornalista della CNN, si fermò a Baghdad per raccontare le notizie censurare da Saddam Hussein, oggi gli inviati delle maggiori testate del mondo a Mosca hanno dovuto preparare “i bagagli” dopo la decisione della Duma di imbavagliare l’informazione libera.
La Russia è tornata indietro ai tempi del Muro di Berlino con la pena di 15 anni di carcere, voluta per fare uno stillicidio della stampa libera e indipendente.
Al di là dei nostri corrispondenti messi con le spalle al muro, restano i social media a far dannare Putin e il Cremlino. Nonostate la chiusura dei rubinetti di Facebook, Twitter e Instagram al di là degli Urali, l’mbarazzo per gli orchi dell’ex Unione Sovietica è tanto: da una parte l’indignazione per l’uccisione in Ucraina di diversi messaggeri dell’informazione, tra cui l’ex collaboratore del New York Times Brent Renaud, il cameran di Fox News Pierre Zakrzewski e la collega ucraina Alexandra Kuvshynova, dall’altra lo sputo in faccia alla censura della giornalista russa della Televisione di Stato Marina Osiannykova.

GUERRA E SOCIAL: DA TELEGRAM A TIKTOK

Nessuno avrebbe immaginato che proprio Telegram, la piattaforma di messaggistica fondata nel 2013 da un russo, Pavel Durov, sarebbe diventato il principale veicolo di informazioni e propraganda al tempo stesso del governo ucraino nella guerra che sta tenendo il mondo intero con il fiato sospeso.
Gli stessi inviati in Ucraina delle grandi e medie testate giornalistiche hanno dovuto cedere al ripiego della citazione Fonte: Telegram per completare i loro reportage.
TikTok, lanciato in Cina solo sei anni fa e in voga tra i giovanissimi per creare video musicali bizzarri, si è trasformato invece dal social della goliardia allo spacciatore dei video dei crimini di guerra.

IN TRAPPOLA TRA FOTO RITOCCATE E VIDEO RICICLATI

Nella guerra tra Russia e Ucraina che impedisce in tutti i modi ai giornalisti inviati di spostarsi con agilità e andare fino in fondo – chissà cosa direbbe il primo inviato bellico della storia William Russell (per The Times nella guerra in Crimea del 1853-1856) – i social media stanno dando un grande supporto.
Il rischio della fake news e della propaganda bellica da entrambi gli schieramenti tra foto ritoccate e vecchi video riciclati – come in ogni conflitto del passato tra l’altro – resta al centro del dibattito e non è l’unico prezzo da pagare per l’informazione. A quasi un mese di guerra sono state prese diverse cantonate, anche dai media più autorevoli, dalla messa in onda di una sequenza di un videogame al posto di un borbardamento ad un missile lanciato nel Donetsk fatto passare per un attacco a Kiev.
Del resto come amava ripetere il saggio Winston Churchill:

Una bugia fa in tempo a compiere mezzo giro del mondo prima che la verità riesca a mettersi i pantaloni.

Pesaro, Capitale italiana della Cultura 2024


Pesaro, la città di Gioacchino Rossini, è stata scelta come Capitale italiana della Cultura 2024. Un singolare gesto di amicizia e di fraternità tra i popoli arriva dal Sindaco di Pesaro Matteo Ricci e si estende fino a Procida, Capitale della Cultura per tutto il 2022.

Ringrazio Michele Carranante, esperto di comunicazione audiovisiva che vanta collaborazioni con Rai e Mediaset e al quale mi legano gli esordi come copywriter per Linea Blu, per questo video-racconto dopo la proclamazione con l’intervento di diverse autorità, tra cui il Ministro della Cultura Franceschini.