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Ninna nanna per nonna Angelina, altra vittima della pessima Sanità in Campania

Mi vergogno della mia regione d’origine, la Campania, quando mi capitano sotto gli occhi ritagli di notizie sulla cattiva sanità come questa: nonna Angelina di Sant’Antonio Abate, in provincia di Napoli, è morta all’ospedale Maresca di Torre del Greco per incuria secondo le accuse, come riportato in un articolo dal quotidiano IL Mattino.
Ricoverata per occlusione intestinale, la donna ottantenne è deceduta poche ore dopo. La Procura di Torre Annuziata ha aperto un’indagine per omicidio colposo mentre l’ASL Napoli 3 Sud ha avviato degli accertamenti per valutare eventuali responsabilità.
Per dovere di cronaca, rinfreschiamo la memoria con il report del Ministero della Salute dell’estate 2024 secondo cui la regione Campania, per alcuni indicatori della Sanità Pubblica, risultava fanalino di coda.

LA SANITA’ IN CAMPANIA NELL’OCCHIO DEL CICLONE

La settimana precedente all’increscioso episodio di incuria subito da nonna Angelina, la Sanità in Campania era finita nell’occhio del ciclone attraverso la denuncia del programma televisivo “Fuori dal Coro” di Rete 4. L’inchiesta “Ladri di salute: gli ospedali dello scandalo” aveva puntato il dito contro il Ruggi d’Aragona di Salerno e il San Giuseppe Moscati di Avellino, affossati senza sconti per incuria cronica, strafottenza nei confronti dei pazienti abbandonati al proprio destino, tanti dei quali dimenticati sulla barelle nelle corsie del Pronto Soccorso.
Oggi tocca al Maresca di Torre del Greco, tra l’altro finito nel salotto televisivo Rai di UnoMattina nell’autunno del 2024 per la fantomatica “infermiera cartomante”: chi non ricorda la tragicommedia surreale che ha indignato i pazienti del Maresca e la cateogoria degli infermieri campani? L’operatrice sanitaria tiktoker se ne andava dispensando profezie ai malati oncologici e non solo.

DIGNITA’ PER ONORARE LA MEMORIA DI NONNA ANGELINA

Nonna Angelina apparteneva alla stessa generazione di mio padre ed era cresciuta negli anni ’40 del secolo scorso tra le bombe della Seconda Guerra Mondiale e i lapilli delle ceneri dell’ultima eruzione del Vesuvio. In quella zolla di pianura campana dominata dai monti Lattari aveva sposato Gerardo, un commerciante negli anni del Boom del Belpaese in bianco e nero.
Rimasta vedova giovanissima con tre figli da crescere, guardò diritta negli occhi i suoi cuccioli e disse trattenendo le lacrime: “Non resterete mai soli, mai. Nessuno mi fermerà. Vi farò da mamma e da padre.” Così nel Sud Italia maschilista e patriarcale Angelina appese al chiodo la gonna da casalinga e si infilò i pantaloni della commerciante, attraversando impavida gli anni Settanta ingrigiti dal piombo, il riflusso degli anni Ottanta, la coda del secolo dei Novanta, l’alba del nuovo millennio con i nipotini che la incoronarono nonna per sempre.

UN MILIONE DI PAZIENTI VITTIME DI ERRORI SANITARI

Questa sembra una pagina strappata a un racconto del nostro Mezzogiorno, ma in realtà è la storia di una donna del Novecento. Questa donna di Sant’Antonio Abate, in silenzio e nell’intimità lontana dai clamori e dalle buffonerie dei social, ha pagato tasse e contributi per una vita intera a sostegno del sistema della Sanità Pubblica e, nel momento del bisogno, si è trovata le spalle voltate in faccia.
Tra dolore e rabbia quanto tempo dobbiamo attendere affinché nonna Angelina sia annoverata nel milione di pazienti vittime di errori sanitari?
I dati diffusi dall’ARIS (Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari) nel 2024 confermavano proprio questo, oltre la crescita dei casi sbattuti in tribunale.

FAREWELL, ANGELINA

Mentre la giustizia farà il suo corso, oggi tutti noi “indignati” ci sentiamo un pochino nipoti legittimi di nonna Angelina, a cui dedichiamo una ninna nanna: i versi di Farewell, Angelina, donati da Bob Dylan a Joan Baez per il suo album del ’65, li vogliamo incidere sul bianco e nero del finale poetico del film Tempi Moderni di Charlie Chaplin.
E così ci piace pensare a Charlot mano nella mano della sua amata verso un domani migliore come Gerardo e la sua adorata moglie Angelina, finalmente di nuovo insieme, in direzione di quella luce accecante che cancella improvvisamente la squallida barella di un ospedale.
A quest’ora Angelina e Gerardo hanno cominiciato un nuovo viaggio, quello che noi romantici e sognatori non smetteremo mai di chiamare eternità.

Il Santuario di Pompei ha il suo Bartolo Longo santo

IL Santuario della Madonna del Rosario di Pompei avrà finalmente Bartolo Longo (1841-1926) santo, a cui il mio nome Rosario mi lega dal giorno del battesimo. Papa Francesco, in queste ore difficili per la sua salute, riconosce la santità all’uomo del nostro Sud Italia che rinunciò alla vita agiata di famiglia per dedicarsi alle opere di carità.

I MIRACOLI NON SONO SOLO SOPRANNATURALI

Nel 1876 Bartolo Longo, quindici anni dopo l’unità d’Italia, con i fondi del patrimonio della moglie contessa cominciò a costruire il Pontificio Santuario mariano sulle ceneri della pagana Pompei romana. Ricordo ai tempi delle elementari il giorno in cui Papa Wojtyla lo beatificò.
Abbiamo atteso 45 lunghi anni da allora e questo momento tardava ad arrivare, perché il Beato di origine pugliese non aveva compiuto alcun “miracolo”, nel senso di evento soprannaturale.
I prodigi sono anche quelli di aver diffuso scritti e scritti di evangelizzazione e fare tanta carità.

BARTOLO LONGO E LA CASA PER GLI ORFANI

Bartolo Longo ha donato una casa a migliaia e migliaia di orfani per tutto il XX secolo. Andavo ancora all’asilo quando, tenendo per mano nonno Pasquale, mi fermai di fronte ad un grande edificio a pochi passi dal Santuario di Pompei.
A 5 anni se hai la fortuna di avere un papà e una mamma fatichi a capire che i tuoi coetanei, affacciati alla finestra di quell’orfanotrofio, vivono il dolore di un vuoto immenso. Nel 2017 scelsi di cresimarmi nel Santuario di Pompei perché il mio nome, Rosario, custodiva la riconoscenza per aver scampato la morte due volte: la prima, ancora nel pancione di mia madre, la seconda a vent’anni, vivo per miracolo, a seguito di un incidente stradale per un colpo di sonno.

LA SUPPLICA ALLA MADONNA TRA LETTERATURA E FEDE

C’era una volta un avvocato del nostro Mezzogiorno, Bartolo Longo, uno di noi, finalmente Santo anche per noi gente del Sud. Per noi la preghiera non è una superstizione folcloristica, come criticano alcuni, ma è un atto di fede anche nel mezzo di una processione o di una fiaccolata nel buio della notte.
Con gli occhi pieni di speranza, ogni anno puntualmente l’8 maggio e la prima domenica di ottobre, recitiamo la Supplica  alla “Augusta Regina delle Vittorie” che la sua penna da letterato e il suo cuore di fedele ci hanno donato: 

“Se tu non volessi aiutarci, perché figli ingrati ed immeritevoli della tua protezione, non sapremmo a chi rivolgerci.”

Siamo felici e orgogliosi. 

Buon 2024 a piedi nudi sulla speranza

Lasciandoci alle spalle un 2023 affollato da tanti impostori, guardiamo con ottimismo all’anno nuovo senza leggere gli oroscopi. Sì, questo è un atto di fede. Ahimè, è cronica la mia strafottenza (tu chiamala se vuoi libertinaggio) e allergia al buonismo e alla luce artificiale di questo tempo annacquato da affanni e corse inutili. E la vostra?

Anche per il 2024 l’augurio è mettersi al riparo da ritualità inutili, convenzioni, sbaciucchi e brindisini per festeggiare poi cosa? Le lacrime di coccodrillo del cigno nero, spennacchiato dallo scandalo del pandoro benefico? Le fette griffate sono andate di traverso agli influencer di cristallo, rivelandosi il replay di Maria Antonietta di Francia: “Se il popolo ha fame, date loro brioche.”

Senza “la noce” sentimentale dell’alberello pubblicitario in tasca, mi sono incamminato tenendo a bada le urla dell’ortopedico e reumatologo per salvare il mio ginocchio consumato dai viaggi di una vita vissuta fino al crollo di un menisco. Dopo aver percorso migliaia di chilometri, lontano dai bagordi, sono giunto nello stesso posto dove ero più di un anno fa: al di là del kibbutz di Nir Am, bloccato da un filo spinato sulla Striscia che mi impediva di uscire da Israele per proseguire verso Gaza.

Ho trovato un Bimbo dalla pelle bruna che mi ha detto: “Aiutami a tornare nella mia Palestina. Non ricordo più neanche come mi chiamo.” Mentre l’Erode dei nostri tempi sta collezionando un numero di morti pari a un nuovo genocidio, dopo essersi sbiancato la coscienza nel giorno dello Shabbat, gli ho risposto: “Duemila anni fa ti saresti chiamato Gesù.”
Il bambino mi ha sorriso e mi ha stretto la mano con la stessa intensità dell’abbaglio di una stella cometa che ha oscurato i lampi dei missili all’orizzonte. Datemi pure per disperso, tanto io e il piccolo resteremo seduti qui, in un fienile del Medio Oriente senza bue e asinello, in attesa di un lieto fine.

Buon 2024, a piedi nudi sulla speranza.

No al Femminicidio. Il ricordo tenero della mia Laura per l’ultimo saluto a Giulia Cecchettin

Non bastano le dita delle mani per contare i casi di femminicidio in Italia. La morte di Giulia Cecchettin (Art Cover: Antonio Federico) ha scosso tutti. Oggi Padova le tributa l’ultimo saluto mentre in ogni angolo del nostro Paese si continua ad urlare: “No al femminicidio”.
La violenza non è questione di genere o sesso, appartiene alla razza umana. La storia tragica di Giulia mi ha ricordato però che non tutti gli uomini sono violenti, riportando a galla la mia storia adolescenziale con Laura.

STORIE DI PERIFERIA TRA TENEREZZE E OMERTA’

All’alba degli anni Novanta io e Laura eravamo due ragazzi occhialuti di periferia. Ci innamorammo su una panchina mentre io ero alle prese con la maturità e lei, di qualche anno più piccola, in preda all’ansia delle ultime interrogazioni di fine anno.
La aspettavo sotto casa di Donatella, fidata compagna di classe che, assieme alle sorelle, proteggeva la nostra tenera clandestinità. Quando accompagnavo Laura a scuola in Vespa, facendo attenzione che non ci vedessero, lei mi infilava nello zaino letterine d’amore imbevute dei suoi profumini.
Non ho mai capito perché in paese scandalizzasse più il bacio di due adolescenti anziché l’omertà delle generazioni precedenti di fronte al femminicidio, alla violenza subita da tante donne nel lurido piccolo mondo antico della famiglia patriarcale di stampo maschilista.
Mia zia Lilina, che nel Secondo Dopoguerra aveva lavorato nei campi alla periferia di Napoli, mi raccontò di fattori violenti, di mogli contadine pestate, di violenze taciute dietro i sacchi di patate per paura di perdere il lavoro stagionale o essere isolata dal resto della comunità per aver fatto “la spia”.

IL NO DI LAURA MI FECE CRESCERE

In una giornata uggiosa di novembre Laura decise di mettere fine alla nostra storia da ragazzini. Mi sentii crollare il mondo addosso, per la prima volta avvertivo un tremendo senso di abbandono. Come avrei fatto senza le sue coccole, la passione per Freddie Mercury infilata nelle musicassette che mi registrava, le passeggiate mano nella mano lungo i binari della ferrovia guardando i treni che portavano nei vagoni i nostri sogni di un’adolescenza ribelle, i progetti comuni, la promessa che un giorno con i risparmi l’avrei portata a Londra a un concerto dei Queen, magari a dicembre per il compleanno?
Non ebbi nessun raptus di violenza, anzi il sentimentalismo prese il sopravvento sulla rabbia.
Con una videocamera me ne andai in giro a filmare i nostri luoghi, sovraincisii delle musiche, le feci recapitare una videocassetta, con la speranza che infilandola nel videoregistratore la nostalgia riaccendesse il cuore.
L’indomani Laura mi restituì la VHS e, guardandomi con gli occhioni lucidi, mi salutò con una carezza come per dire “non cambiare per gli altri, resta te stesso”. Il suo No mi fece crescere e io senza rancore decisi che non avrei rinnegato l’indole di sentimentale, nonostante quelli come me ai tempi erano additati come “mezze femminucce”.

NO AL FEMMINICIDIO SENZA SLOGAN

Cara Giulia, se da una parte oggi essere uomo mi fa vergognare per le violenze che in tante subiscono, dall’altra ho una consolazione. Laura e le donne avute accanto nella vita, attraverso il bene che mi hanno voluto, mi hanno insegnato che senza l’universo femminile la nostra esistenza sarebbe una nullità.
Baci, carezze, amore, rispetto reciproco e cuore ti portano lontano se combatti fianco a fianco e giorno dopo giorno i luoghi comuni, i pregiudizi, i soprusi. Oggi dico “No al femmicidio” senza slogan, lasciando che questi pensieri aggrovigliati con i ricordi si alzino in volo verso di te come palloncini colorati.

Carlo e Camilla, The Crown, Netflix

Quali segreti ci riserva The Crown di Netflix sull’incoronazione di Carlo?

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L’incoronazione di Carlo a sovrano d’Inghilterra di sabato 6 maggio scrive una nuova pagina nella storia della monarchia inglese. Mi chiedo: quali segreti ci riserverà The Crown di Netflix?
Ormai è risaputo che la seguitissima serie tv, giunta alla quinta stagione, sia una spina nel fianco a Buckingham Palace. Vi vorrei vedere nei panni di un reale inglese, inclusa la compianta Regina Elisabetta, a litigare dal 2016 con il vostro alter ego sul piccolo schermo tra verità e immaginazione.

SESTA STAGIONE E POI THE END

Scusate l’impazienza. Quanto tempo dovrò aspettare affinché gli sceneggiatori di The Crown spifferino i retroscena dell’incoronazione di Carlo?
La sesta stagione, di cui sono in corso ancora le riprese, dovrebbe essere l’ultima della serie. I battenti si chiuderebbero sui primi anni Duemila fino all’incontro fiabesco tra William Kate.

CARLO, CAMILLA E GLI INCIUCI DI THE CROWN

Se così fosse Re Carlo III tirerebbe un sospiro di sollievo. Nella quarta e quinta stagione, tra il divorzio dalla principessa Diana e l’amore clandestino di una vita con Camilla non ne era uscito un figurino.
Spulciando tra gli aneddoti di palazzo mi è giunta voce che ormai Carlo sia stufo di guardare la serie tv di Netflix. Dall’altra parte mi sembra preoccupato. Re Carlo avrebbe detto a un gruppo ristretto di parlamentari scozzesi “di non essere la persona raccontata nella serie televisiva di The Crown“. A differenza sua Camilla ci ride su. Pagine di tabloid l’anno scorso la hanno ritratta al fianco della sua fotocopia televisiva, la brava e affascinante attrice Emerald Fernell, che ha constatato quanto la futura regina consorte fosse una donna di spirito.

PANE DA SCENEGGIATURA

Quale dito nella piaga si teme di più a Buckingham Palace sull’incoronazione di Carlo? Io non mi preoccuperei tanto dei 100 milioni di sterline spesi per la cerimonia che ricadranno fitti fitti sulle tasche dei britannici. Piuttosto sarei vigile sul prossimo brutto tiro di Henry e Meghan.
Del resto l’ultima sconcezza del principino ribelle non è andata proprio giù a Re Carlo: veleni e veleni messi nero su bianco nel libro Spare. Lo avete letto?
Questi ultimi farebbero l’acquolina in bocca a qualsiasi sceneggiatore.

NETFLIX, RIPENSACI!

Sul set di The Crown hanno appena finito di girare le scene del matrimonio di Carlo e Camilla, che potremmo vedere solo nel 2024.
Nel frattempo godetevi in tv l’incoronazione di Carlo, con una speranza, l’ultima a morire: che il nuovo Re sia quantomeno all’altezza della mamma Elisabetta e convinca quelli di Netflix a non chiudere l’amata serie tv con la sesta stagione.

Pino Daniele, scudetto napoli

Napoli nel pallone tra canzoni di ieri e di oggi

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La febbre scudetto sta a Napoli come Napoli alle canzoni. La musica popolare accompagna da sempre la squadra partenopea e ci sono diversi brani che vanno ricantati da soli o in buona compagnia. Torniamo ad essere canterini sul balcone come nei mesi grigi del lockdown? Ho scelto quattro canzoni di ieri e di oggi per accompagnare il sogno azzurro.

OJE VITA, OJE VITA MIA

Oje vita, oje vita mia oje core ‘e chistu core
si’ stata ‘o primmo ammore e ‘o primmo e ll’urdemo sarraje pe’ me!

è il ritornello della famosa canzone napoletana ‘O surdato ‘nnamurato. Quante volte l’avete sentita cantare in coro senza aspettare la febbre scudetto del Napoli?
Scritta nel 1915 da Aniello Califano sulle musiche di Enrico Cannio, è un testo triste di cui il ritornello, cantato a squarciagola sugli spalti dell’ex San Paolo di Napoli, ne stravolge il significato. In realtà questa poesia musicata, che ha avuto interpreti d’eccezione come Anna Magnani e Massimo Ranieri, racconta della sofferenza di un soldato al fronte, durante la Prima Guerra Mondiale, per la lontananza dalla sua donna.

FORZA NAPOLI

Nino D’Angelo ha dedicato alla squadra azzurra la canzone Napoli, colonna sonora del film Quel ragazzo della curva B, uscito al cinema nel 1987 e ambientato nell’annata del primo scudetto. Versi come

Viecchie e giovani cercano rint’a nu pallone Nu poco ‘e pace nu juorno nuovo Ca se chiamma libertà

esprimono bene come i trofei siano un grande riscatto per tutta la comunità partenopea. Il brano è inserito nella discografia ufficiale di D’Angelo, comparendo all’interno dell’album Fotografando l’amore del 1986.

DA PINO A DIEGO

Tango della Buena Suerte di Pino Daniele, uscito nel 2004 all’interno del disco Passi d’autore, è un omaggio sottovoce all’ex capitano del Napoli Diego Maradona. Sotto le vesti di un tango e con venature malinconiche la canzone di Daniele fotografa bene la persona nascosta dietro al personaggio. In un certo senso è anche profetica rispetto alla morte prematura del campione argentino:

E a luci spente suona il tango
per magia resterà qui per sempre come un fermo immagine.

IL DIO DEL PALLONE IN UN RAP

Maradona è il titolo di una canzone di Geolier, contenuta nell’ultimo album Il coraggio dei bambini e pubblicata lo scorso gennaio. Il rapper di Secondigliano ha dedicato al Pibe de Oro un brano intenso in cui si sente forte la voglia di rinascita e di riscatto. Il dio del pallone in terra diventa così per Emanuele Palumbo l’interlocutore privilegiato nel nostro tempo complicato e pieno di contraddizioni:

Vogl duij rilog Dieg Armand Maradona
Tie vir bro vir che or song
Fat nu mlion rop lag mis aggir
E bast cu sti sold so volgare e so imbattibil
.

Murales, Napoli calcio

Napoli, dove fare i selfie a “regola d’arte”

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A Napoli sale la febbre scudetto e un bel selfie ci sta bene per onorare la squadra di calcio partenopea. In alternativa all’ambita foto con il calciatore del cuore, si può optare per un murale, un graffito, un’opera d’arte a cielo aperto.
Ecco cosa la street art napoletana vi mette a disposizione per il prossimo selfie.

JORIT TRA SAN GENNARO E MARADONA

Cominciamo con la benedizione scudetto del Santo Patrono di Napoli. Nel quartiere Forcella splende il San Gennaro di Jorit e, dai suoi 15 metri d’altezza su piazza Piazza Crocelle ai Mannesi, rivolge lo sguardo su Spaccanapoli. L’arte del partenopeo Jorit Agoch, di madre olandese, ha conquistato il cuore di tutti i napoletani che hanno reso il suo San Gennaro uno dei murales parteopei più diffusi in Rete.
Jorit ha fatto colpo ancora con il maxi murale dedicato a Diego Armando Maradona nel quartiere periferico di San Giovanni a Teduccio. Apprezzato dallo stesso Pibe de Oro, l’opera gigantesca di Jorit è stata realizzata nel 2017 su una facciata delle vecchie case popolari in via Taverna del Ferro.

STREET ART E MOVIMENTO

Il murale dedicato a Maradona nei Quartieri Spagnoli è meta di pellegrinaggio da sempre. Su un vecchio palazzo di sei piani, in via Emanuele De Deo, Diego corre per segnare un goal, nel cuore della città che ha amato tanto. Street art e movimento evocano l’infinito sentimento partenopeo per il grande campione argentino scomparso prematuramente. L’opera è stata relaizzata nel 1990 da Mario Filardi in occasione del secondo scudetto vinto dal Napoli.
Meno noti, sempre in zona, sono i murales dell’artista argentino Juan Pablo Gimenez in via Trinità degli Spagnoli. I protagonisti sono Kim, Anguissa, Di Lorenzo e Kvaratskhelia e l’mpronta artistica movimenterà il vostro selfie.

DALLA STAZIONE DELLA CUMANA AI BAMBINI CON LA MAGLIA DEL NAPOLI

La fermata Mostra-Stadio Maradona della ferrovia Cumana di Napoli è un altro posticino da tenere in considerazione per un selfie a regola d’arte. Un’antologia di murales racconta la storia centenaria del Napoli Calcio fino ai giorni nostri. Qui avrete soltanto l’imbarazzo della scelta tra vecchie e nuove glorie che hanno indossato la maglia azzurra, da Cavani a Higuain.
Infine, si segnala l’omaggio artistico di Rosk & Loste al mondo dell’infanzia e alla passione per il pallone nell’opera gigantesca che campeggia in periferia, nel Parco dei Murales a Ponticelli. Le maglie della squadra del Napoli indossate dai due bambini, protagonisti del murale dei due artisti siciliani prima della febbre scudetto, trasmettono un forte segno di appartenenza, l’importanza della propria identità e delle radici comuni.

Napoli, Stadio Maradona, Ex San Paolo

4 luoghi storici nel cuore di un tifoso del Napoli

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Scattata da un bel pezzo la febbre per il terzo scudetto, ci sono almeno 4 luoghi storici da vedere se sei un tifoso della squadra del Napoli. La società sportiva Calcio Napoli si prepara a festeggiare nel 2026 i cent’anni e in giro ci sono alcuni posti che appartengono alla storia di una squadra di calcio che ha segnato la storia del pallone in Italia. Sei o non sei un tifoso degli azzurri?

IL VESUVIO, IL PRIMO STADIO NON SI SCORDA MAI

Il rione Luttazzi, conosciuto al grande pubblico per la serie televisiva di L’amica geniale, ha ospitato il Vesuvio, primo e storico stadio della squadra del Napoli Calcio. Inaugurato nel 1930 a pochi chilometri dalla Stazione Centrale, fu completamente distrutto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale dodici anni dopo.
Vita corta per il campo, intitolato successivamente ad Ascarelli, il fondatore della società calcistica partenopea scomparso prematuramente. Oggi a ricordare lo stadio e le sue gesta calcistiche c’è una targa ubicata nella via Vesuvio.

LO STADIO COLLANA

Al Vomero, quartiere collinare della città Napoli, c’è lo stadio Collana che ha contribuito a scrivere la storia degli Azzurri parteonpei negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso. Pochi sanno che l’ex stadio del Littorio con i suoi 8.000 posti ha ospitato la squadra del Napoli dopo la distruzione dell’Ascarelli sotto le bombe della guerra.
Doveva essere una location provvisoria. In realtà il Napoli ha giocato qui per 17 lunghi anni. Nel 1959 avvenne il trasferimento nel nuovo e grande stadio del Sole, battezzato poi San Paolo.

LO STADIO SAN PAOLO

Batticuore allo Stadio San Paolo, inaugurato nel lontano 1959 e intitolato dal 2020 all’ex capitano del Napoli Diego Armando Maradona. Ristrutturato in occasione dei Mondiali di Italia 90, lo stadio partenopeo è ubicato nel quartiere di Fuorigrotta, il più popolato del capoluogo campano. Nel corso dei decenni è riuscito ad ospitare per una partita anche 90.000 spettatori: si trattava del match tra la Nazionale italiana e la Germania Est del ’70.
Su questo campo si sono disputate partite degli Azzurri entrate nella mitologia del calcio di tutti i tempi. Chi non ricorda la mitica punizione del 1985 che portò alla vittoria gli Azzurri di Maradona contro la Juventus di Platini o il 4-1 del Napoli di Bianchi e Maradona contro il Milan di Sacchi e Van Basten del 1988?

IL CENTRO SPORTIVO PARADISO

A Soccavo c’è una pagina di storia del Napoli Calcio dei tempi di Maradona. Il Centro sportivo Paradiso, costruito nel 1977, è ormai abbandonato e lasciato morire a sé stesso da vent’anni.
Questo luogo potrebbe raccontare annali di allenamenti.
Siete tra coloro che ai tempi frequentavate il quartiere alle pendici della collina dei Camaldoli? Allora avete rubato i palleggi di Diego o portate ancora nel cuore il ricordo dei bambini gioiosi assiepati lì per strappare un abbraccio al loro dio calcistico.

10 foto di Mikhail Gorbaciov da conservare

Quelli della mia generazione sono cresciuti sentendo in lontananza il ruggito di Mikhail Gorbaciov, il visionario della Perestrojka a cui i russi non diedero ascolto in tempi non sospetti. Ho scelto 10 foto dall’album della sua vita e voglio ricordarlo così.Prima o poi troverò qualcuno di buona volontà che vorrà musicare le parole sagge di un antico proverbio arabo: “Sui cadaveri dei leoni festeggiano i cani credendo di aver vinto. Ma i leoni rimangono leoni e i cani rimangono cani”.

Le radici, i nonni, la Russia contadina.
Misha e il suo grande amore Raissa, sposi per 46 anni
Misha e Fidel
I sorrisi di Misha e Reagan, la distensione URSS-USA
L’appassionato bacio tra Misha e Heckner della Germania dell’Est
Misha e Sua Maestà Lillibet
Misha e il Papa polacco Wojtyla
Misha fotogenico nello spot pubblicitario di Pizza Hut
Misha, la musica, Bono e il sassofono macato di Clinton
L’amore oltre la morte. L’ultimo saluto straziante alla sua Raissa.

Palermo senza Falcone: io prigioniero nel Palazzo dei Normanni

Trent’anni dopo la strage di Capaci, resto prigioniero nel Palazzo dei Normanni di Palermo. Mentre il capoluogo siciliano si accinge alle commemorazioni per l’uccisione del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta, io salgo e scendo lo scalone del palazzo in cui aleggia ancora la presenza di Federico II.
Mi defilo, mi nascondo tra i colonnati, mi siedo sulla scala e penso a dove mi trovassi il 23 maggio 1992, quando al telegiornale diedero la tragica notizia: ero immerso nella preparazione dell’esame di maturità.

IO VI PERDONO, PERO’ VI DOVETE METTERE IN GINOCCHIO

E pensare che la mia ultima volta a Palermo la residenza reale più antica d’Europa era una bellezza da contemplare tutta all’esterno. Ora ci sono dentro, ne attraverso le stanze non da turista ficannaso ma da viaggiatore alla ricerca di glorie remote in oltre duemila anni di storia.
Dalla finestra spingo lo sguardo fino al centro storico di Palermo, in lontananza le facce degli studenti del Vittorio Emanuele, in cui insegnò don Pino Puglisi, un altro martire di Cosa nostra. Non riesco a leggere gli striscioni dedicati a Falcone degli studenti palermitani, che trent’anni fa non erano nati ancora.

L’ARTE CI SALVERA’ DALLE BRUTTURE DI QUESTO MONDO?

Ho in testa il rumore delle bombe di Capaci – ricordo quando mi accompagnarono nella zona dell’attentato nell’estate 2007 – e le parole di rabbia e dolore di Rosaria Schifani, vedova della scorta, “Io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio.”
Trovo rifugio nella Cappella Palatina, magnifico dono del monarca Ruggero II di Sicilia, una bellezza indescrivibile da procurarmi un lungo batticuore. Di fronte a tanta bellezza, affogo improvvisamente nell’amletico dubbio: l’arte continuerà a salvarci dalle brutture di questo mondo?

GLI UOMINI PASSANO, LE IDEE RESTANO

Nel giardino del Palazzo dei Normanni, sosto sotto un albero. E’ enorme rispetto a quello in via Notarbartolo 23, sotto casa di Giovanni Falcone. Se ci penso, con le sue radici enormi, assomiglia all’eredità di questo martire della Mafia: così radicata da spingere i più giovani a calpestare uno dei peggiori morbi di una società civile, l’omertà.
Gli anniversari servono anche risollevare la salivazione amara che ti fa guardare il bicchiere mezzo vuoto: cosa non abbiamo fatto allora per salvare i giudici Falcone e Borsellino? Cosa non hanno fatto lo Stato, le istituzioni, la classe politica di allora?
La loro morte feroce per mano della Mafia rimane una delle sconfitte più lapidari dell’Italia della Prima Repubblica.
Da dietro l’albero nel giardino del Palazzo dei Normanni sbuca un bimbo dal sorriso vispo, sgambetta verso la madre che gli va incontro, risento queste parole:

“Gli uomini passano, le idee restano, restano le loro tensioni morali, continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.”

GIOVANNI FALCONE

Il mio 23 maggio, lontano dai simboli, dai cortei, dai cerimoniali, prigioniero della bellezza del Palazzo dei Normanni.