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Paul McCartney all’Arena di Verona: Quando le canzoni cambiano il finale di Romeo e Giulietta

Rosario PipoloUn concerto può fare quello che il tempo non ha saputo fare, forse per pigrizia interiore o mancanza di coraggio. Uno sciame di canzoni dei Beatles, eternamente in volo, è diventato una massa di fili di perle grazie a Paul McCartney all’Arena di Verona. I fan all’occorrenza si perdono sempre il più grande spettacolo emozionale. Lo hanno avvistato coloro che sono cresciuti con i concerti di Macca in Italia, come chi vi ha depositato negli ultimi 25 anni i sogni, le speranze, gli schiaffi del passato e le carezze del futuro.

Ci vuole costanza e determinazione per trasformare una passione musicale in sacrosanta verità: Let It Be sfila l’anello dell’anulare e mette in ginocchio la promessa; Hey Jude squarcia il velo del tempio nel coro che esplode e taglia le distanze; The Long and Winding Road ferma il dondolo del tempo nell’istante preciso che dà voce al silenzio; Live and Let Die è una scusa bella e buona per uno spettacolo pirotecnico; Yesterday non è il manifesto della nostalgia, ma la presa di coscienza della determinazione della memoria futura; Maybe I’m Amazed è lo stupore di fronte alla magia di come l’amore possa dare una svolta alla vita; The End è l’iniezione della fine nel principio di un solco verso l’eternità con l’epitaffio “l’amore che dai è uguale all’amore che ricevi”.

Vallo a dire alla luna che Paul McCartney a 70 anni suonati ha sbeffeggiato la Big Moon di domenica scorsa. La luna è esplosa martedì sera su Verona, non era un effetto ottico e la hanno vista tutti coloro che c’erano. Lo sciame di canzoni dei Beatles ha rimesso mano alle pagine shakespeariane di Romeo e Giulietta, cambiando il finale. McCartney sussurrava al piano My Valentine e Giuletta, che tutti credevano morta, volava come un angelo sull’arena di Verona. Sapeva che Romeo era lì, vagabondo su quelle note musicali, a scacciare i demoni della vita che vorrebbero irridere il potere miracoloso della musica.

Nella sera dei miracoli di Macca gli dei si sono dovuti ricredere su quell’accusa di chi vorrebbe che la musica fosse l’oppio dei sognatori. Se pure fosse, lasciateci sognare. Lasciateci ricordare gli amici di gioventù come John e George in nome di quelle schitarrate tra il tanfo del porto di Liverpool. Lasciateci continuare a credere che, in un misto di laicità e religiosità, queste canzoni cambieranno il nostro destino, senza essere più vittime o carnefici di rimorsi e nostalgie.
Nel coro finale di Hey Jude ognuno ci ha infilato la sua smisurata preghiera, come l’urlo più esteso per arrivare alle orecchie di Dio. Da qualche parte c’era l’adolescente che scappò di casa per ascoltare Macca nell’89 al PalaEur di Roma. Romeo e Giulietta lo hanno riconosciuto e lo hanno fatto alzare in volo sull’Arena di Verona, appendendolo ai fili invisibili dei suoi sogni per trasformarlo in un uomo dai capelli brizzolati. Quello ero io.

#DarkSide40: Perché il lato oscuro della luna dei Pink Floyd resiste al voyeurismo degli anniversari

Rosario PipoloHo scampato l’anniversario e me ne sono volutamente dimenticato. Gli americani sulla luna ci avevano messo piede quattro anni prima. L’Inghilterra si mise di traverso tra le navicelle di russi e americani quando il 24 marzo del 1973 uscì The Dark Side of the Moon. Questa volta ad andare nello spazio era la musica, in un groviglio di sonorità ultramoderne, che bilanciavano le intuizioni sperimentali dei Pink Floyd con i presagi del futuro.

Roger Waters e compagni, dopo la separazione traumatica dal pargolo visionario Syd Barrett, calpestarono ciò che l’astronauta Neil Armstrong non vide: Il lato oscuro della luna. Al ritorno da quella missione onirica, che mise in crisi musicologi e musicanti di tutte le razze, i Pink Floyd avevano ricalcato le orme antropologiche del film “2001 Odissea nello Spazio” di Kubrick e catapultato i sogni ingannevoli della generazione post-sessantottina tra le pagine della fantascienza musicale. Il concept album dei Pink Floyd liberò finalmente la luna dalla prigionia del mood romantico, mettendo in castigo evergreen come “Fly me to the Moon” e “Blue Moon” e stritolando i conflitti interiori dell’umanità in loop, ticchettii, scoccare di orologi e nel resto dei rumori che assordano la routine.

Dopo quarant’anni The Dark Side of the Moon resiste al tempo e al voyeurismo degli anniversari, perché è ancora sospeso nello spazio. Quel “disco volante”, una sorta di UFO della discografia contemporanea, ha respinto le minacce retrograde e consumistiche della musica usa e getta, raccontando qualcosa che non è accaduto. E’ l’elastico di un divenire ancora troppo lontano per finire in soffitta assieme ad altro vinile impolverato. Il rebus è tutto lì, nel prisma triangolare in copertina, nel luccichio rifrangente che anticipa quello nell’occhio di Jack Nicholson in “Shining”, perché l’alienazione mentale è vittima anche dell’isolamento sociale.

Su Twitter, con l’hashtag #DarkSide40, sono partiti per altre galassie migliaia di pensieri che hanno trasformato una ricorrenza in una presa di coscienza: il lato oscuro della luna è l’unica terra straniera meritevole di ulteriori esplorazioni filosofiche e peotiche. E forse non sarebbe stata un’idea bizzarra tweettare qualche verso di “Alla luna” di Giacomo Leopardi, perché più di un secolo prima lo sguardo dell’anima di un poeta italiano aveva dato il via a questa missione esplorativa. Chi ama stare alla larga dagli anniversari, che come le parole lasciano il tempo che trovano, può sempre farlo senza il ricatto del calendario.

Luna baltica da Riga a Vilnius

untitled1501Non te l’aspetti di sera cosi’. Cosi’ come? Saranno le illuminazioni colorate di questi giorni a rendere Riga, capitale della Lettonia, cosi’ intrigante da atteggiarsi a cugina moscovita. La notte e’ lunga non solo per chi cerca la squallida avventura con la ragazza dell’Est di turno, ma anche per chi e’ venuto una volta per tutte a chiudere i conti con un’altra capitale delle terre baltiche. Il mio pellegrinaggio in Europa continua senza sosta, con la stessa passione di sempre, con il timore che dietro questi palazzi e chiese imponenti si nasconda qualcosa altro. Basta oltrepassare un ponte e trovarsi nel quartiere russo di Riga per cogliere in flagrante la miseria e la poverta’. Mi aggiro in questo mercato per setacciare la memoria dell’Ex Unione Sovietica: quella che ha solleticato a molti l’utopia di un mondo diverso. Io non ne sono mai stato troppo convinto, ed oggi vista l’eredita’ voglio remare sulla sponda opposta. I viaggi sono belli per questo, per quello che ti lasciano al momento del ritorno. Questa volta il ritorno nella routine non e’ ancora arrivato. Salgo su autobus e in meno di quattro ore arrivo in Lituania. L’obiettivo e’ raggiungere la capitale Vilnius prima che scocchi la mezzanotte, quasi fossi nella stessa condizione spirituale di Cenerentola. A farmi compagnia nel tragitto c’e’ una splendida luna piena. Ed e’ proprio quella luna a farmi sentire vagabondo come “il pastore errante per l’Asia” leopardiano, fuggito dalla claustrofobica pagina di un libro per dare un nuovo senso al suo destino. E’ la stessa luna che qualcuno guarda distrattamente a Milano come a  Napoli? O e’ la millesima luna che mi prende per culo come a dire ” sono sempre io, ma e’ la tua soggettiva interiore ad essere cambiata”? Come ci ha ricordato Federico Fellini, “la voce della luna” resta inalterata, con qualche accenno che ci fa sentire sospesi nel vuoto. Ed e’ questa luna baltica, sbarazzina e timida, ad aver tracciato il mio percorso di questa notte, a meta’ strada tra Lettonia e Lituania.