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Diario di viaggio: Neve a Napoli e la spalata di ricordi di Burian

“Chi tene ‘o mare nun tene ‘a neve” non è la rivisitazione di un verso di Pino Daniele quanto la consapevolezza di chi una nevicata l’ha vista di rado nei luoghi in cui è cresciuto. Nel lontano 1985 Napoli e provincia furono totalmente imbiancate ed io, insieme ad alcuni compagni di classe delle scuole medie, rischiai una sospensione per essere scappato in cortile.

I meno audaci tra noi si accontentarono di guardarla dalla finestra, noi no, ci chiedevamo cosa si provasse ad avere quella coltre bianca tra i capelli. Noi quattr’occhi alzammo gli occhi al cielo e ci ritrovammo gli occhiali appannati. L’effetto della neve che si scioglieva sule lenti sembrava una magia bella e pronta. Quel pomeriggio dell’85 volevamo non finisse mai.

Dopo 33 anni esatti Burian, il gelido vento siberiano, fa visita a Napoli nello stesso giorno in cui mi trovo io di passaggio: questa nevicata intensa da una parte seppellisce strade, tetti delle case, o nasconde macchine, dall’altra spala i ricordi. In questo lasso di tempo della mia vita fatta di viaggi e vagabondaggi ne ho vista tanta di neve, ma non è la stessa che si appoggia nei posti in cui sei cresciuto.

La neve non prende forma, piuttosto dà forma ai ricordi e produce quella condensa che non fa rumore e si deposita negli angoli più fitti dell’anima: penso all’ultimo fischio del ferroviere Giovanni che se n’è andato per sempre dopo la bufera o al medico di stamattina che ha condiviso con me un fotogramma della fioccata dell’85, vissuta da neolaureato volontario in ospedale, bloccato in un autobus al Vomero.

La neve si ghiaccia sui marciapiedi e il rischio più grande è la scivolata. Io e Pasquale, amico dai tempi dell’adolescenza, siamo scivolati sul ghiaccio dei ricordi con la matura presa di coscienza che rinchiudersi in sé stessi è uno dei morbi più pericolosi di questo tempo.
Burian ha piegato l’Italia nella morsa del gelo e ha restituito alla mia generazione che visse la nevicata dell’85 a Napoli il ritrovarsi nel nome dei sogni comuni difesi a denti stretti come la scorciatoia per tornare ad ascoltare i passi della vita che qualche volta come la neve non fanno il minimo rumore.

Aveva ragione Giovanni il ferroviere quando disse a me e al figlio Antonio, nel cortile di casa sua, che al di là dell’euforia da ventenni l’amicizia con le radici non evapora. “Chi tene ‘o mare nun tene ‘a neve”, ma chi sa dialogare con la propria memoria senza rimorsi e rinnegamenti saprà incantarsi ancora di fronte alla prossima nevicata, a Napoli, nei posti che ti hanno reso l’uomo che sei.

Diario di viaggio: se nasce una stella in Valcamonica la chiameremo Martina

Rosario PipoloChi appartiene come me alla salsedine del mare può cogliere nell’introversa montagna lo stimolo per fotografare un aspetto più introspettivo. Così, mentre cammino sul Tonale a 2.500 mertri d’altezza insieme al maestro della Scuola di Sci Ponte-Tonale Mauro, ripercorro la storia della scuola sciistica più antica della Valle Camonica.
Osservare Laura che insegna ad un bimbo a muovere i primi passi sulla neve, mi riporta a mio padre che mi aiutava a liberarmi dalla prigionia dei “braccioli” per la prima nuotata da bimbo a mare.

Questo per dire che il mito della settimana bianca potrebbe essere capovolto e allungato in un viaggio sulla neve in vista di un dettaglio della memoria: da quell’ex sindaco che rese Ponte di Legno la prima stazione sciistica ad avere la neve artificale – un pioniere visti i recenti sgambetti del meteo -al sacrario militare del Tonale che si spartisce il confine tra Lombardia e Trentino, conficcando nei nostri cuori la commozione per i caduti camuni della Grande Guerra.

Per dialogare con la Valcamonica invernale, può capitare di tutto: un buon piatto sostanzioso al Maso Guera, il sorriso di Elisa alla reception del Residence PontediLegno, una cena con tour operator di mezza Europa alla Sosta dei Sapori di Vezza D’Oglio e una torta fatta in casa da Carla per una colazione da Raggio di Luce.
Qui il tempo sembra essersi fermato e non c’è quella frenesia da smartphone che ti impedisce di guardare negli occhi le persone: Giovanni, il macchinista del trenino che porta grandi e piccini tra le stradine di Ponte di Legno, diventa conducente nei mie spostamenti, negli incontri casuali che mettono a tacere il campanilismo, ostacolo per vivere a pieno le emozioni dei luoghi.

Qui a Ponte di Legno la strada è ancora il luogo privilegiato per condividere il filo delle amicizie che uniscono l’Italia: dalla Sicilia di Antonio alla Calabria di Salvatore, dal Po piacentino di Antonio alla Valcamonica di Gianfranco, quest’ultimo autista della linea di autobus Milano-Ponte che mi riconosce e mi fa festa. E la neve? Quella arriva con la musica di SnowBeat e l’attesa dei bimbi che muoiono di scrivere sulla neve “felicità è affrontare la vita col cuore di noi piccoli”.

Corriamo maledettamente con la frenesia di sempre verso Natale. Qui in Valle Camonica i ritmi rallentati mi fanno tornare la voglia di far famiglia, di condividere ritagli di storie locali, come quelle che da quarant’anni Romano filma e trasmette attraverso le antenne di TelePontediLegno, con la complicità dell’operatore video Valerio.

Sulla strada del ritorno incrocio i volti felici di una coppia che canticchia: “Se nasce una stella in Valcamonica, la chiameremo Martina”. Nella loro gioia di diventare mamma e papà aumenta la mia voglia di tornare tra queste montagne. Questo non è un racconto immaginato. Questo è l’inchiostro di un viaggiatore convinto che le storie autentiche dovrebbero tornare a circondare il nostro stile di vita per farci sentire la vera sostanza di essere umani.

Diario da Parigi, in tilt per una spruzzata di neve

Parigi è Parigi, anche sotto la neve. E così una toccata mordi e fuggi per lavoro è stata un’opportunità per godermi dal taxi la Ville lumière in piena atmosfera natalizia. Ho visto meno addobbi e illuminazioni del solito. Sarà mai una campagna di risparmio energico per evitare che i nostri cugini d’oltralpe si facciano le festività a lume di candela? I quotidiani francesi annunciano un possibile black out. Se giovedì scorso pochi centimetri di neve hanno mandato in tilt l’aeroporto Charles De Gaulle, figuriamoci la mancanza totale di elettricità! Chi viaggia mette in agenda i ritardi a causa del maltempo, ma non 6 ore di attesa per l’indecente gestione areoportuale. Poco prima di partire per Milano, non c’erano i bus per portarci all’aereo. Insomma, ho scoperto che, dopo una certa ora, non ci sono più autisti a sufficienza. E le emergenze? Ad un tratto la situazione è diventata surreale con gruppi di passeggeri, sballottati da un gate e all’altro. Mentre mi divertivo a guardare i più furiosi, raccoglievo qualche testimonianza. “Lo so che il mio nome in italiano è davvero buffo”, mi ha sussurrato Salma. Figlia di algerini emigrati trenta anni fa a Rouen (la città di Flaubert e Corneille!), io e questa simpatica studentessa universitaria abbiamo condiviso alcune sequenze della Battaglia di Algeri, il film del compianto Gillo Pontecorvo che osò per primo raccontare questa sanguinosa indipendenza. Abbiamo parlato di immigrazione nei giorni in cui il governo di Sarkozy si interroga sull’identità nazionale! Poi Salma si è dissolta in aereo col suo minuscolo bagaglio, dietro il desiderio di raggiungere al più presto l’Italia per un fine settimana con le amiche bolognesi. Su quell’aereo , in piena notte, eravamo tutti stravolti. Alla mia destra c’era il mio capo che dormiva, con quella stessa serenità che aveva trasmesso a telefono al figlio qualche ora prima. Il desiderio di riabbracciare il suo cucciolo mi ha dato la sensazione di trovarmi in una pallina di neve, il tipico souvenir con cui puoi sempre agitare un ricordo: mi sono rivisto tredici anni fa in un treno notturno che mi portava da Parigi nel Sud della Francia e mia zia Santina sull’uscio della porta lì a rimproverarmi: “Sembri uno zingaro, buttati subito nella vasca da bagno e restaci fino a domani”. I ritardi servono per smuovere i ricordi e farli scivolare su uno spruzzo d’inchiostro: “Cara zia Santina, mi manchi. Parigi è cambiata, ma io sono sempre lo stesso, un vagabondo in giacca e cravatta”.

E fuori nevica…

nevicata_150Il mio compaesano Vincenzo Salemme aveva scritto una commedia dal titolo “E Fuori nevica”. E fuori nevica davvero, perlomeno nel Nord Italia. Dalle mie parti non siamo abituati a queste nevicate: alle scuole medie io e i miei compagni abbiamo rischiato un’espulsione di massa per aver bloccato una noiosa lezione di matematica. Come si fa a frenare lo stupore per i primi fiocchi di neve? La neve porta i suoi disagi, ma ha anche il suo fascino. Stamattina ho attraversato in treno una striscia di Lombardia e mi sono incantato dinanzi a questo manto bianco. Ho rovistato nella mente per trovare un passo letterario a cui accostare questo incantesimo. In aiuto è arrivato un ricordo del mio album familiare. Ad Acerra, un paese della provincia di Napoli, nel 1949 un bambino vide la neve per la prima volta. Il piccolo Antonio era in aperta campagna e rimase a bocca aperta. Voleva condividere questa gioia con i fratelli e così decise di nascondere un mucchietto di fiocchi sotto terra. Quando ritornò poco dopo, non era rimasto più niente. E’ stato così ingenuo e poetico l’incontro di mio padre con la neve. La neve è neve, dovunque sia, al Sud come al Nord, dentro e fuori di noi, soffice persino nella tenerezza dei ricordi!