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La Germania vergognosa svende il Muro di Berlino per case di lusso

The Berlin Wall

Rosario Pipolo“State alla larga da quel muro!”, esclamavano i soldati intorno alla Cortina di Ferro nel tempo furioso della Guerra Fredda che lacerava la Germania in Ovest ed Est. Quel monito militare era rivolto ai tanti che tentavano di scavalcare il “muro mostruoso”, rischiando la vita, per riabbracciare chi stava dall’altra parte.
Oggi ci risiamo. E l’avvertimento non viene dallo strascico di quel dramma in bianco e nero ma da coloro che stanno rimuovendo pezzi del Muro di Berlino per rispettare gli accordi con un palazzinaro: si fa a pezzetti la memoria dell’Est side Gallery, il museo a cielo aperto di un flagello della storia del ‘900, per costruire case di lusso.

Berlino è stata sempre attenta alle invasioni urbanistiche che mettevano a repentaglio il tragitto che, dagli agglomerati di stampo sovietico di Alexander Platz agli slanci moderni della Potsdamer Platz, tracciava il passaggio dall’Est all’Ovest. Oggi sembra pura follia la rimozione di parte del Muro, nonostante le proteste di berlinesi e diverse personalità che si sono esposte contro questa offesa alla memoria civile non solo tedesca.
Il Muro di Berlino non è solo il simbolo della Germania o il santuario del turista invadente che lo fotografa come reliquie folcloristiche. E’ l’ombra spettrale delle cortine di ferro che tutti i santi giorni si alzano in ogni angolo del pianeta, mortificando la ricchezza della diversità e l’essenza di un dialogo costruttore di pace.

“State alla larga da quel muro!” lo urla la mia generazione che ha cominciato a studiare geografia con quel segno divisorio sulla cartina e ha attraversato il liceo, vedendolo scomparire dagli atlanti geografici.
“State alla larga da quel muro!” dovrebbero gridarlo i politici e i governatori di una Germania che vuole essere “europeista” solo quando le fa comodo, perché in questo preciso istante sta svendendo un pezzo del Nobel per la Pace assegnato al Vecchio Continente.
“State alla larga da quel muro!” dovrebbe urlarlo con il megafono l’aspirante cancelliere Peer Steinbrueck, che un mese fa definì l’Italia “un Paese governato da politici clown”. Meglio scimmiottare le gesta circensi e custodire la memoria storica. Da questo punto di vista l’Italia può dare ancora una bella lezione a qualcuno.

  Demolita parte del Muro di Berlino

25 dicembre 2011: Accadde domani tra Giuseppe il palestinese e Maria l’israeliana

Giuseppe chiuse la falegnameria prima che calasse il sole. Su una motoretta percorse la Palestina fino a tarda notte. Sulla striscia di Gaza c’era Maria ad aspettarlo. La ragazza aveva rischiato il linciaggio. Dalle sue parti erano stati chiari: una donna d’Israele non poteva portare in grembo il figlio di un uomo della Palestina. Si incamminarono. Lungo la via per Betlemme chiesero ospitalità, ma nessuno li prese sul serio: il presidente era indaffarato a travestirsi da Babbo Natale per fare la sorpresa al figlioletto; il sacerdote era alle prese con gli ultimi preparativi per le celebrazioni di mezzanotte; l’operaio era alla ricerca del padrone che non voleva pagargli lo stipendio; il direttore della locanda non voleva che Palestina e Israele dividessero lo stesso letto; il medico si stava giocando tutto per salvare un profugo.

Giuseppe e Maria crollarono dalla stanchezza. All’orizzonte c’era un susseguirsi di tuoni e lampi: erano le bombe sulla Striscia di Gaza che trasformavano i rumori anonimi nel suono della guerra. Li vide una donna, il cui volto era coperto da un burka, e offrì loro una tenda. Era l’unico riparo che aveva. Due uomini l’avevano buttata giù da una roulotte, lasciandola in mezzo al deserto a mendicare.

Nel bel mezzo della notte, nel cuore del deserto si sentì il pianto di un bambino. La donna si accostò e il piccolo con la manina le tirò giù il burka. Il bimbo scrutò la bellezza sul suo viso e la rassicurò, smettendo di piangere. Intanto, Giuseppe e Maria impallidirono, perchè in lontananza vedevano avvicinarsi carri armati ed eserciti, mentre una folla di uomini e donne da Israele e dalla Palestina si incamminavano per capire cosa fosse quell’abbaglio. Non era la luce delle bombe, ma quella di una nuova vita.

Quando i palestinesi e gli israeliani furono rapiti dal viso raggiante della creatura, alzarono lo sguardo verso Giuseppe e Maria, esclamando in coro: “Beati voi, che avete avuto il coraggio di guardarvi negli occhi ed amarvi. Vostro figlio rappresenta la bellezza dei nostri popoli, divisi dall’odio, ma oggi finalmente uniti da questo atto d’amore”. Nel frattempo arrivarono i soldati e carri armati. I fucili e gli elmetti furono spazzati via dagli abbracci e dai baci di tutta la gente accorsa. C’era aria di festa e ognuno battezzò il bimbo con un nome diverso.

Io fui testimone di tutto ciò. Me ne ero andato via da casa alcuni giorni prima, mentre tutti erano affannati per gli ultimi regali, per trovare l’addobbo più bello, per ritoccare il menu della grande abbuffata, per strozzarsi tra le catene del mancato consumismo nei giorni di crisi.

Ero finito in mezzo al deserto. Non avevo con me né una macchina fotografica né un PC per documentare quello che stava accadendo. Era già successo e quella fu la notte di Natale più bella della mia vita. Sulla via del ritorno incrociai una falegnameria con la serranda abbassata. Su un’insegna di legno scolpita a mano lessi: “Shalom Gesù, figlio di Giuseppe il palestinese e Maria l’israeliana”.

Accadde domani.