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Nel 2022 alleiamoci con il Presente

Omicron, recente variante del Covid, ci ha fregato un’altra volta. Pensavamo che il 2022 ci avrebbe portati a stappare lo spumantino messo da parte per tornare a rincorrere il futuro. Macchè, gli antichi romani – vi dice niente Publilio Siro – avevamo l’occhio lungo: “Il giorno che segue ricorda la lezione del giorno che lo ha preceduto.”

AFFANNI E FUTURO

Neanche due anni infernali di pandemia ci hanno messo alle strette tra lockdown, zone rosse, vaccini e tamponi. Niente, la corsa affannosa verso il futuro è più forte di tutto. Le agende e i calendari inbevuti di progetti finiranno per essere reperti archeologici?
Ci abbiamo messo una vita intera per fare di ogni minuscolo bene prezioso qualcosa di scontato: andare a trovare un amico, camminare liberamente per strada, guardare un film al cinema, mettersi su un treno e partire, accompagnare nostro figlio a scuola, abbracciare una persona che non vedevamo da tempo per il solo gusto di intrattenerci con noiose chat.

SENZA GLI OCCHI BENDATI

Con l’anno nuovo in cima ai buoni propositi ci dovrebbe essere quello di attraversare il presente senza gli occhi bendati, per dirla alla Kundera. Non accontentiamoci di indovinare ciò che stiamo vivendo, aspettando che ci tolgano le protesi per capire cosa ci perdiamo nel percorso.
Quasi vent’anni fa, un lungo viaggio di 6.000 chilometri dalla West alla East Coast americana mi diede una gran bella lezione da spostare nella vita di ogni giorno: per il vero viaggiatore deve contare il tragitto e non la destinazione.


BUONI PROPOSITI

La libertà vigilata di questo tempo pandemico dovrebbe aiutarci ad esternare gratitudine verso il Presente. Un proposito per questo 2022? Occuparci del Presente, di ogni suo istante, rendendolo nostro alleato nella vita di tutti i giorni e senza scadenze guastafeste.
Ahimé, dimenticavo che i buoni propositi durano il tempo di un brindisi. Cin, cin.

La Genova di De André nel silenzio della pandemia

Genova per noi nel silenzio della pandemia, come se questo viaggio di ritorno in una delle città che più mi appartiene fosse una soffusa liberazione dalle catene dei lockdown a colori. La mascherina agevola la mescolanza nel flusso di coscienza della comunità e, allo stesso tempo, impedisce alle mandibole e al respiro di muoversi liberamente. Il mondo di Fabrizio De André diventa la tua ombra, passo dopo passo.

DAL LETAME NASCONO I FIOR

In via del Campo – conosco a memoria ormai ogni angolo – di Bocca di Rosa neanche il fantasma e mi chiedo abbassando lo sguardo quanto tempo Faber abbia impiegato per scrivere quella strettoia poetica divenuta patrimonio dell’umanità: “Dai diamanti non nasce niente Dal letame nascono i fior“.
C’è sempre qualcosa che profuma di De André in questo silenzio pandemico e surreale, in questo vuoto dei crocieristi di un tempo sbarcati dalle navi con l’affanno di collezionare selfie: “Come è bello il mare, quanto dura una stanza. È troppo tempo che guardo il sole, mi ha fatto male”.

IN UNA MULATTIERA DI MARE

Risponderebbe l’altra anima salva, Ivano Fossati, che “Chi guarda Genova sappia che Genova Si vede solo dal mare Quindi non stia lì ad aspettare Di vedere qualcosa di meglio, qualcosa di più”.
Sì, tutto viene fuori per ritornare nel mare, come quello del viaggio musicale di Faber e Mauro Pagani in Creuza de mä, uno degli album più pittorici della nostra discografia:

E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä.


STAGLIENO

Tradurre questo genovese è una bestiemma, sembra quasi di sbucciare la poesia: “E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli emigranti della risata con i chiodi negli occhi finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere fratello dei garofani e delle ragazze padrone della corda marcia d’acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare.
Sì, tutto ritorna nel mare, come le ceneri di Faber. E quando mi perdo nel cimitero monumentale di Staglieno, tra il ricordo risorgimentale di Mazzini e l’incontro indimenticabile con Nanda Pivano, mi rendo conto che è una lurida sciocchezza cercare De André oltre una lapide gelida, adesso che le sue ceneri appartengono al mare di Genova, che la difesa del suo patrimonio cantautoriale rimane un faro nella traversata del vuoto di oggi e delle sue strambe ovvietà.

NEL SILENZIO DELLA PANDEMIA

La Genova di De André nel silenzio della pandemia mi appartiene comunque e non occorre essere un genovese di razza per notare le ambulanze senza sosta, che in direzione del Pronto Soccorso del San Martino ci raccontano anche che la guerra contro il Covid è ancora in corso e non bisogna smettere mai di abbassare la guardia. Eppure in questo silenzio struggente, amalgamato al mondo poetico di Fabrizio De André, c’è un mucchio di luride parole che dissacra la memoria delle vittime del Ponte Morandi:

“Io non ci ero mai andato a Genova a vedere questo ponte mi han detto: ‘Fai l’analisi dei rischi catastrofali’. E io: ok”.

Questa intercettazione del 28 marzo 2019, che incastra l’incaricato di classificare il rischio del ponte crollato con 43 vittime, rimbomba nella Genova pandemica e batte l’ennessimo colpo d’ascia alle famiglie delle vittime e a tutti noi che aspettiamo giustizia.