Canada on the road: Cartolina da Toronto
Con l’arrivo in Canada mi affaccio sul 49° Paese del mio giro del mondo. Avevo sognato Toronto attraverso i reportage dei giornalisti d’oltreoceano, che avevano influenzato le mie letture adolescenziali. “La capitale del Nord America” è semivuota, la maggior parte degli universitari torna a casa per il weekend lungo di Pasqua.
Nella cattedrale di St. Micheal, alla prima messa mattutina di Pasqua, il reverendo Alexander ci ricorda che l’attentato terroristico in Sri Lanka è un atto vile e spietato contro la cristianità di tutto il mondo.
Ci vogliono litri di caffè americano per smaltire l’amarezza. La mia vita qui parte da Church Street, in pieno downtown, e il capoluogo della provincia dell’Ontario non è una tappa qualsiasi, ma la casa provvisoria dei miei viaggi nel viaggio, attraverso il Nord America, di questo mio andare e venire, tornare per scoprire e ritrovare.
A Toronto mi sento a casa, è cosmopolita, multietnica, sa essere accogliente e sorridente, frulla le culture e te le serve come una pietanza ricca di sorprese. Questa mi sembra una tappa antologica che mi riporta altrove: certi edifici evocano la vecchia Boston, Kensington Market con il suo atteggiamento bohèmien mi riporta alla Candem Town londinese di trent’anni fa, la vecchia Distilleria che pullula di localini evoca certe aree periferiche dell’Inghilterra settentrionale, percorrere King Street mi sussurra all’orecchio Manhattan.
Lo stile neogotico di Casa Loma, l’edificio storico simbolo di Toronto, preme il pulsante della memoria tra echi anglossassoni e i vezzi del defunto proprietario Sir Henry Pellatt. Qui la mattina di Pasqua si svolge un rituale brunch che attira decine e decine di famiglie canadesi, sedotte dalle atmosfere aristocratiche che solo Casa Loma sa consegnare.
Il Royal Ontario Museum, oltre ad essere il museo più grande del Canada, racconta chicchi di storia del Paese tra arte, design e origini, tenendo conto dell’emozionante Jurassic Park che funge da macchina del tempo indietro di milioni e milioni di anni.
Per conoscere gente, anche nel pomeriggio di una domenica uggiosa, mi basta prendere con una paio di dollari canadesi un battello e arrivare sulla sponda dell’Island Park: sorseggio una birra, mi godo il panorama, il brusio di chi è rimasto in città senza rinunciare alla scampagnata festiva, condivido esperienze di vita e viaggi con due ragazze parigine, di cui una di origine algerina, soffocando i tristi ricordi della Ville lumière, schiaffeggiata recentemente dall’incendio di Notre Dame.
Il by night a Toronto mi fa ciondolare nel downtown, azzannando un buon hamburger dal mitico Shopsi’s Deli, che fin dagli anni ’40 ha sfamato più generazioni con i suoi irresistibili panini, guadagnandosi il meritato appellativo di “The Corned Beef King”.
Toronto inizia ad appartenermi negli angoli più nascosti del downtown, nel suo modo di fare e di essere, persino quando mi metto alla ricerca della musica locale e finisco da Sonic Boom, lo store indipendente sulla Spadina Avenue da cui non vorresti andare più via, così come dai piccoli librai assiepati nei dintorni di Kensington Maket, dove sono alla ricerca disperata di una vecchia edizione del romanzo Anne of Green Gables della Montgomery (Anna dai capelli rossi).
Kensington Market è il luogo ideale per il cazzeggio mattutino senza pensieri, per fare quattro chiacchiere in buona compagnia, per distrarsi tra i murales e la street art con la voglia matta di raccontare le mille facce della “capitale multiculturale del Canada”.
A Yonge Dundas Square, la Times Square canadese, spunta improvvisamente un tempo primaverile e siamo tutti lì a rubare al sole del colore, lo stesso che brilla negli occhi degli asiatici e nord amercani, colonne portanti di questa città. In realtà da Toronto non sono mai andato via, c’è una parte di me lasciata lì, con una risposta scritta nella mia anima da viaggiatore: “I viaggi ci aiutano a non rinnegare mai noi stessi”.