Cartolina da Napoli: il contrabbasso di Rino Zurzolo tra musica e utopie

Il contrabbasso di Rino Zurzolo ha fatto vibrare i colori sotterranei della Napoli sospesa tra il classicismo e la modernità. Gli anni ’70, per chi ha avuto come me la fortuna e il privilegio di nascere e crescere a Napoli, sputarono attraverso le labbra della Partenope rivoluzionaria la vitalità che fu argilla musicale  nel corredo genetico del futuro all’ombra del Vesuvio.

Il tatto musicale e il tocco emotivo di Zurzolo hanno viaggiato nella Napoli trasformista degli ultimi quarant’anni che fu Cenerentola democristiana negli anni ’80, prima donna dell’abbaglio bassoliniano negli anni ’90, principessa scalza dell’involuzione populista negli anni ‘2000.

Il contrabbasso di Rino ha sfilacciato l’essenziale della napoletanità che sfugge ai pregiudicati del cliché, illusi di aver consegnato il cuore pulsante dell’utopia condivisa Neapolitan Power nelle mani dei canzonettari neomelodici.

Rino Zurzolo non è stato il session man vissuto all’ombra dell’Imperatore di Terra mia, il turnista che fumò l’esistenzalismo gaberiano o l’anti-virtuosismo jazzato di Chet Baker.
Rino Zurzolo è stato la Napoli da contrabbasso, discreta e lontana dal rumore dei selfisti e contrabbandieri di volgarità musicata o degli YouTuber narcisi dei giorni nostri. Questa Napoli da contrabbasso è stata capace di cucire le utopie di una generazione nello sforzo di fare dell’arte il tappeto volante di chi aveva davvero del talento.

Non torneremo più indietro e non rinasceremo più sotto mentite spoglie, perché oggi a Napoli il contrabbasso di Rino non suona più.