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Archives Aprile 2017

Cartolina da Napoli: il contrabbasso di Rino Zurzolo tra musica e utopie

Il contrabbasso di Rino Zurzolo ha fatto vibrare i colori sotterranei della Napoli sospesa tra il classicismo e la modernità. Gli anni ’70, per chi ha avuto come me la fortuna e il privilegio di nascere e crescere a Napoli, sputarono attraverso le labbra della Partenope rivoluzionaria la vitalità che fu argilla musicale  nel corredo genetico del futuro all’ombra del Vesuvio.

Il tatto musicale e il tocco emotivo di Zurzolo hanno viaggiato nella Napoli trasformista degli ultimi quarant’anni che fu Cenerentola democristiana negli anni ’80, prima donna dell’abbaglio bassoliniano negli anni ’90, principessa scalza dell’involuzione populista negli anni ‘2000.

Il contrabbasso di Rino ha sfilacciato l’essenziale della napoletanità che sfugge ai pregiudicati del cliché, illusi di aver consegnato il cuore pulsante dell’utopia condivisa Neapolitan Power nelle mani dei canzonettari neomelodici.

Rino Zurzolo non è stato il session man vissuto all’ombra dell’Imperatore di Terra mia, il turnista che fumò l’esistenzalismo gaberiano o l’anti-virtuosismo jazzato di Chet Baker.
Rino Zurzolo è stato la Napoli da contrabbasso, discreta e lontana dal rumore dei selfisti e contrabbandieri di volgarità musicata o degli YouTuber narcisi dei giorni nostri. Questa Napoli da contrabbasso è stata capace di cucire le utopie di una generazione nello sforzo di fare dell’arte il tappeto volante di chi aveva davvero del talento.

Non torneremo più indietro e non rinasceremo più sotto mentite spoglie, perché oggi a Napoli il contrabbasso di Rino non suona più.

Cecenia: sei Gay? Buon viaggio nel campo di concentramento

Parte del mio 41° compleanno lo trascorsi a Mosca nella redazione di Novaja Gazeta, il quotidiano per cui aveva lavorato la giornalista ammazzata Anna Politkovskaja, in prima linea per la difesa dei diritti umani. Nell’ultima settimana lo stesso quotidiano è ritornato sul piede di guerra, a sfidare la disinformazione che aleggia al di là dei monti Urali: in Cecenia è stato riconosciuto  il primo campo di concentramento per Omosessuali. Cosa fa la comunità internazionale, si benda gli occhi?

In questi giorni è stata fatta una retata di gay imprigionati e torturati in un luogo del Paese: “Diverse volte al giorno ci portavano fuori e ci picchiavano. Lo scopo era conoscere la cerchia dei contatti di ciascuno di noi, nella loro mente se sei sospettato allora tutti quelli della tua cerchia sono gay.”

Del resto neanche la Russia di Putin si è mai mostrata benevole nei confronti delle comunità LGBT. Risale al 2013 una legge che punisce chiunque faccia propaganda gay. L’hashtag #Cecenia in tropic trend su Twitter in queste ore non è soltanto il sintomo di un’indignazione collettiva. È l’amara presa di coscienza che l’informazione non contribuisca a squarciare il velo scuro del tempio dell’orrore.

In questo momento in Cecenia non hai scelta se sei gay: o te ne vai, o finisci al patibolo dopo essere stato torturato. “Descrivi quello che vedi, metti insieme dei fatti e analizzali. Punto e basta” è una grande lezione della penna di Anna Politkovskaja. Chi lo ha detto che l’ultimo campo di concentramento risale ai tempi del Nazismo? I genocidi nella ex Jugoslavia o in Africa, giusto per citarne qualcuno, ci hanno fatto mettere insieme i fatti. Continuiamo a tapparci il naso.

Cartolina dalla Milano Design Week: quello che le (fashion) blogger non dicono…

Dovrei raccontare il primo appuntamento con la (fashion) blogger alla Milano Design Week con le mie scarpe lucide senza lacci per paura che si accorga di quanto sono trasandato e cammino con i lacci sciolti. Dovrei raccontare il suo passo spedito, l’entusiasmo che ci mette prima di aggiornare la sua community di Facebook.

Dovrei raccontare quando ti piazza in mano lo smartphone, sussurrando “Ti spiace? Mi fai una foto?” e tutte le raccomandazioni necessarie. Dovrei raccontare quando all’improvviso ti molla la borsetta, mette in carica il cellulare e si sposta a destra e sinistra: scruta, osserva, prende un foglio di carta e appunta come quelle studentesse certosine che mi passavano gli appunti all’università.

Dovrei raccontare quando ci incamminiamo, incontra persone e ti presenta agli altri come se ti conoscesse da sempre.  Quando meno te lo aspetti la ritrovi con gli occhi sul touchscreen che parla e senza preavviso ti tira dentro, presentandoti alla community. “Sì, salve, in verità stiamo improvvisando, tutta colpa sua…”, faccio io imbarazzatissimo (non è da me) mentre mi rendo conto di essere finito in una delle sue Instagram Stories.

Invece no, voglio scrivere su altro, oltre lo steccato delle persone che abitano il mondo dei social. Voglio scrivere sul comandante della nave da crociera che, al ritorno da mesi di navigazione, abbracciò la sua sposa ed ebbe la notizia che presto sarebbe diventato papà. Il nome della bimba era inciso su una conchiglia trovata sulla spiaggia di Torre del Greco così come quello della sorellina arrivata una manciata d’anni dopo.

Voglio scrivere sul  nonno che, tenendo sulle ginocchia la nipotina, le raccontò della casa costruita sulla lava del Vesuvio del ’45. Voglio scrivere su una valigia piena di sogni in viaggio da Napoli lungo tutto lo stivale italiano, per anni, con testardaggine, determinazione, perché la lotta per rimanere sé stessi vale quanto quella contro i disfattisti benpensanti convinti che con i sogni non si voli.

Queste non sono Instagram Stories digitalizzate, queste sono storie punto e basta, le storie di inchiostro e carta che danno l’anima alle nostre radici. Questa scia di napoletanità briosa che mi ha accompagnato tra Brera, Tortona e piazza Duomo, mi ha fatto ritrovare la Milano persa di vista.

Dovrei raccontare come ha rincorso il tram, come è scomparsa nel buio alla sua maniera di mischiare chiacchiere e riservatezza, mentre io ridevo immaginandola alla prese per ordinare la collezione di scarpe o pronta con la valigia fucsia, grande come una casa. Invece no, voglio scrivere su quello che le blogger non dicono mentre mi ronzano in mente i versi di Pino Daniele: “Anna verrà col suo modo di sorridere per questa libertà.”