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Archives Agosto 2015

Cartolina d’estate: Norimberga, la bavarese che sussurra alla Germania

Rosario PipoloLa mia alba è on the road, su un FlixBus che mi porta da Monaco di Baviera a Norimberga. Mi sembra di essere tornato nella lunga traversata di oltre 6.000 km negli USA di dieci anni fa.

I viaggi in autobus ci aiutano a riscoprire la bellezza di essere parte della comunità locale: la mamma che accarezza il bimbo accanto a me guarda il passeggio delle prime nuvole dal finestrino. Norimberga è una città che non ti aspetti, lo capisci subito, appena arrivi: è una città che vuole farsi scoprire lentamente, con discrezione e svelarti così i segreti di questa zolla della Germania.

Alla larga dagli italiani piagnucoloni che a colazione vorrebbero solo cornetto e cappuccino, mi fiondo in una macelleria. Mi cuociono a prima mattina una manciata di salsicce di Norimberga, quello che loro chiamano Bratwurst.
Ingurgito calorie a sufficienza per arrampicarmi fino al Castello, che gioca a fare da macchina del tempo. Poi finisco nella casa di Albrecht Dürer. Ripenso a l’arte di Miriam Prato, brava artista scoperta in una galleria del piacentino e capace di ingrandire con poesia e dare una nuova vita ai piccoli dettagli delle tavole di Dürer.

Monica Giorgetti Stierstorfer, guida italiana trasferitasi qui da Roma vent’anni fa per amore di un tedesco, mi porta a zonzo. Raccolgo i piccoli dettagli che sono in fin dei conti il nutrimento di ogni viaggiatore che si rispetti. I riflessi dell’acqua dei canali sciacquano le macchie di chi continua ad assocciare Norimberga a roccaforte del Nazismo.
Gli orrori del Führer, seppelliti con disprezzo dai berlinesi, serpeggiano sotto le macerie di questa città completamente ricostruita, tra ombre della memoria, del Nazismo assassino dietro gli scheletri nell’armadio.

Norimberga merita di essere ricordata per altro, per la sua timida bellezza che viene fuori da una pudica scollatura come la piazza del Mercato dove mi fermo a parlare con gli ambulanti. Il ‪viaggio‬ è il tragitto più coerente per imparare a silurare  i pregiudizi: la grande civiltà dei tedeschi resta ancora una gran bella lezione a dispetto della cialtroneria all’italiana. E tutto non si riduce alla goliardica sfida su un campo di calcio al prezzo di un pallone tirato in porta.

Sotto una pioggia estiva, dal profumo bagnato delle lacrime, riparto sul mio autobus. La ‪‎Germania‬ ha sofferto, ha pagato. Con la complicità di una classe di docenti imbecilli noi abbiamo solo giudicato.

Cartolina d’estate: insieme a Luca sulla collina di Posillipo

Rosario PipoloSapevo che ti avrei trovato qui. Luca, sei proprio un milanese dal cuore napoletano: niente Navigli, niente Darsena, ma la cima della collina di Posillipo. Aspetta che mi siedo più vicino così riesci a sentire questo mio farfugliare.

Te lo avevo raccontato una volta e forse è accaduto negli stessi anni in cui hai vissuto nella mia Napoli. Nonno Pasquale mi portò qui da bimbo indicandomi questo posto come finestra spalancata su uno scorcio della città, lontano dalla solita cartolina con il Vesuvio intascata da chi vorrebbe questa Napoli culla del chiasso.
Proprio questa immensa terrazza, che affaccia sul parco sommerso della Gaiola, è il luogo più appropriato per appartarsi con i pensieri della propria anima.

Posillipo non appartiene ai napoletani radical chic, soffocati dalla goffaggine della loro finta signorilità, ma a Dio. Luca, non ridere: dai tempi dell’infanzia sono convinto che Dio non sa nuotare.  Secondo te se il Padreterno fosse stato un abile nuotatore, avrebbe lasciato annegare pescatori e marinai che da questo golfo non sono più tornati?

Pure nonno Pasquale assecondava, ridendo sotto i baffi, la mia stralunata idea. Dio usa la collina di Posillipo come materassino per galleggiare in acqua e puntualmente torna qui, lasciandoci innamorare.
Luca, la senti questa brezza che ci accarezza ora? Sembra la mano di Dio, ci libera, ci fa sentire più leggeri. Basta davvero una manciata d’amore per seppellire il dolore, per zittire il tamburo di latta della solitudine.

Mi sono convinto che ad arrugginirci in fretta sui nostri posti di lavoro è il maledetto muro alzato tra una scrivania e l’altra e cementato dalle banalità che spopolano alle macchinette del caffè. Per fortuna io e te ci siamo spartiti un capo donna capace di ricordarci che soltanto la nostra umanità può valorizzare i successi e i fallimenti nel lavoro di tutti i giorni.

Perciò Luca, anche tra colleghi, non dovremmo vergognarci di ripeterlo. Sono ritornato a Napoli d’estate non per farfugliare questi pensieri bizzarri, bensì per dirti che ti ho voluto bene.
Luca, pianto un fiore qui così la prossima volta sapremo quale sarà il punto esatto dove rincontrarci, qui sulla collina di Posillipo.

Cartolina d’estate: Il Summer Jamboree di Senigallia tra sagra e dilettantismo

Rosario PipoloFa uno strano effetto alla vigilia di Ferragosto Senigallia, località balneare nelle Marche, senza i marinai e le ragazze pin up del Summer Jamboree Festival.
In Italia non abbiamo il senso della misura: apparteniamo o al popolo dei disfattisti o a quello dei buonisti. Il disfattismo è nocivo, ma il buonismo lo è ancora di più se ti avevano invitato ad un festival dal gusto retrò e ti accorgi d’essere finito ad una sagra.

“I travestiti” vintage in giro per Senigallia o le vecchie auto e motociclette a stelle e strisce spariscono tra la folla che fa fatica a riconoscere gli anni ’40 e ’50. I palchi musicali, inavvicinabili per la calca, hanno in compenso il pregio di evocare i nostri papà che negli anni ’50 scimmiottavano bonariamente le icone d’oltreoceano.
Del resto il musicista di punta porta solo il nome americano ma è un marchigiano doc che all’unanimità è un incontestabile enfant prodige. Per fortuna c’è la scuola Giovanni Pascoli che, attraverso un’emozionante mostra, ci riporta tra i banchi delle nostre mamme e delle nostre nonne

Rimunciare a portarsi via qualche souvenir dell’epoca – tra gli stand prevalgono goffe imitazioni cinesi – ed imbattersi nel viaggio notturno della speranza sull’affollata LINEA 4: gli autisti dell’azienda di trasporto locale si attengono al comandamento Non parlare al conducente, sono sgarbati e ti fanno sbagliare fermata, lasciandoti alla fine della Marzocca.
I veri anni ’50 sono proprio sull’autobus dove la gente sgomita, evocando in un deplorevole episodio di becero razzismo all’italiana, l’America degli anni di Martin Luther King: un turista “cafone” dà a spintoni una donna di colore, interviene il marito e si rischia la zuffa.

Altro che festival! Chi aveva chiesto in prestito al Doc di Ritorno al Futuro la DeLorean DMC-12 per rivivere gli Happy Days dei Fifty americani in trasferta nelle Marche, si ritrova  in un’affollata Notte Rosa, versione summer in stile romagnolo della Notte Bianca, che per fortuna porta a commercianti ed albergatori un bel sold out.

Il vero pregio del Summer Jamboree di Senigallia è farci indietreggiare nell’Italietta provinciale di sessant’anni fa, “povera ma bella”, autentica, fatta di dilettanti allo sbaraglio che sognavano l’America come terra promessa.
La musica siglò parte del manifesto del cambiamento e ciò non avvenne solo con il rock chiassoso e grezzo di Celentano. Lo stile e l’eleganza del Modugno di Volare non fecero rumore quanto gli ancheggiamenti dell’Elvis di Hound Dog ma dimostrarono che il nostro temperamento latino di sognatori e romantici poteva far breccia nel cuore del mondo senza scomodare i principi di Memphis.

Mi sentivo bresciano con i cornetti di “Frank” alla Mandolossa

Rosario PipoloI veri viaggiatori esplorano anche le periferie. Così una notte di tanti anni fa mio cugino mi fece scoprire un posticino fuori dal centro di Brescia dove poter mangiare cornetti, brioche e pizzette  a tutte le ore della notte.
Il gestore Francesco Seramondi, l’uomo freddato da due killer insieme alla moglie ieri mattina nella famosa cornetteria e pizzetteria della Mandolossa al numero 27 di via Vallecamonica, era conosciuto da tutti come “Frank”.

Lì, in mezzo al degrado della periferia bresciana, era Frank il “Re della Notte” e per i ragazzi era un punto di riferimento come il mitico locale Arnold nella serie televisiva Happy Days. La prima volta che ci capitai, Frank capì subito che ero originario del Sud. Attaccai bottone.
Mentre mi rimpinzavo di cornetti e pizzette in piena notte, il gestore esprimeva la simpatia per noi napoletani. Amava ripetere che avevamo una marcia in più e rideva ripensando ai cartelli sparsi sul territorio che, nella metà degli anni ’80, recitavano sgarbatamente: “Non si affittano case ai napoletani”. Prima che andassi via, lanciò un paio di monete nella macchinetta e disse: “Il caffè tocca a me”.

Da allora tutte le volte che ero in zona e a stomaco vuoto, chiedevo a mio cugino di portarmi da Frank. Quando Seramondi scoprì che ero un giornalista, tirò fuori una raccolta di ritagli di giornale dedicati a lui e alle sue ghiottonerie. Ne andava fiero.
Con una punta di ironia diceva che le sue brioche piacevano a tutti, anche “alle battone”. Una volta, dovendo prendere l’aereo all’aba da Orio al Serio, mi regalò un paio di brioche calde da portare in viaggio.

Frank era generoso, a chi aveva fame e tasche vuote non negava mai un cornetto e una pizzetta. Francesco Seramondi sapeva che prima o poi gli avrei dedicato un articolo, ma io non avrei mai immaginato di doverlo fare in questa triste e tragica circostanza. Adesso chi lo dice ai bresciani al ritorno dalle vacanze che il vecchio Frank, il re dei cornetti di Brescia e provincia, non c’è più?

Oggi anche io ho il diritto e il dovere di urlare #MéSoFrank, l’hashtag a lui dedicato dal popolo dei social network che chiede una Brescia più sicura.

Cartolina d’estate: Gina Mastrangelo, capotreno Trenitalia medaglia al valore

Rosario PipoloUna domenica sera caotica sulla linea ferroviaria Ancona-Bologna a causa di un guasto tra Forlì e Bologna. I passeggeri temono che possa ripetersi il tracollo di una settimana prima: passeggeri in ostaggio in treno per tutta la notte a causa di un nubifragio a Firenze.

Questa volta i treni si limitano ad accumulare ritardi tra i 60 e 90 minuti, facendo perdere a tanti viaggiatori le ultime coincidenze per ritornare a casa. Sul Regionale Veloce 1734 in direzione Milano alla stazione di Bologna sale un capotreno occhialuto.
E’ una donna minuta, sulla trentina. A conti fatti a Milano Centrale arriveranno diversi passeggeri, tra cui anche un minorenne, condannati a trascorrere la notte in stazione: addio treni per attraversare la stessa Lombardia, raggiungere il Piemonte o il Veneto.

Gina Mastrangelo – è il nome del capotreno in questione-  va su e giù per i vagoni, telefonando in Centrale a Milano per risolvere la criticità. Trenord, la società costituita da Trenitalia e Ferrovie Nord che gestisce il trasporto ferroviario in Lombardia, rimbalza la patata bollente a Trenitalia. Due società che dividono l’Italia lungo il Po con una carta dei viaggiatori differente, duellando spesso e facendo a scaricabarile.
E’ passata da un pezzo la mezzanotte, la Mastrangelo tiene duro e con un rimbalzo telefonico che va da Bologna a Milano la spunta, fa la voce grossa, ottiene quattro taxi per far riportare i passaggeri a casa.

A Milano, sotto un diluvio universale, il capotreno bolognese si prende la briga di accompagnare ogni viaggiatore al tanto agognato tassì. Su una di quelle auto ci sono io, mi volto indietro, mentre lei scompare sotto la pioggia.
Mi piace raccontare quest’Italia, fatta anche dalle donne capotreno che di sera e di notte attraversano l’Italia, mettendo a repentaglio la vita su linee ferroviare, poco sicure in alcune tratte.

Siamo diventati così piagnucolosi da raccontare solo il peggio del Belpaese. Il meglio è invisibile all’isterismo collettivo, perchè spesso opera all’ombra. Stamattina a Milano Centrale, poco dopo le 7,  hanno sentito un fischio.
Era la Mastrangelo in divisa, impeccabile come sempre, orgoglio del trasporto ferroviario locale.  E forse su quel treno Regionale con destinazione Bologna qualcuno l’avrà riconosciuta, porgendole un fiore come per dire: “Grazie Gina, perchè la passione che ci metti ogni giorno su questo treno rende a piccole dosi l’Italia migliore”.

Cartolina d’estate: la Swing Avenue di Accordi Disaccordi

Rosario PipoloQuando senti puzza di “proibizionismo” intorno a te, ti viene una smaniosa voglia di gettarti a capofitto nello swing. Dopotutto ogni genere musicale che si rispetti deve fare i conti con la storia che lo ha sputato fuori.

C’è una filettatura sofisticata dello swing italiano lungo la Swing Avenue di Accordi Disaccordi, il duo torinese formato da Alessandro Di Virgilio e Dario Berlucchi, ed è la strada che voglio percorrere in questi giorni d’estate. Quello che mi è finito tra le mani non è il solito disco ma un percorso da fare scalzo, perchè la terra sotto i piedi dovrebbe essere vissuta a contatto con la pelle.

L’altro ieri Buscaglione dimenticato, ieri Buscaglione bistrattato, oggi lungo la Swing Avenue Buscaglione ritrovato nella sincera armonia di Buonasera signorina, prima che nel meraviglioso Valse di Amélie di Tiersen, perla musicale d’oltralpe, scatti il naufragio: nel tremolio delle corde lo swing vibra nel pozzo magico della memoria.

I musicisti bravi non hanno bisogno di elemosina ma di ascoltatori acuti in grado di riconoscerli. Eravamo troppo distratti per accorgerci che proprio la Torino, in cui se ne vanno a zonzo i fantasmi sabaudi, ha partorito Accordi Disaccordi, i nuovi principi dello swing.

Lungo questa strada asfaltata di swing incrocio il sassofono di Emanuele Cisi, il contrabbasso di Luca Curcio e Isabella Rizzo, il clarinetto di Giacomo Smith. Mi distendo nel collage grafico di Stefano Brizzi.

Sto bene qui. Non voglio più tornare indietro.