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Archives Settembre 2015

Quando le immagini scuotono le nostre coscienze

Rosario PipoloLe parole non ci scuotono più. Ce ne sono troppe, spezzettate, allungate, insipide nell’acqua che bolle dei social network. Qui non si tratta di pesare la pasta da buttare in pentola, ma la nostra coscienza civile, frullata negli sfoghi che una volta nascevano e morivano al bar sotto casa.

Gli algoritmi, che governano la traballante democrazia in Internet, non sempre sono la chiave d’accesso alle notizie per fare chiarezza su una questione che getta ombre sull’Unione Europea: il destino di migliaia e migliaia di profughi.

Siamo tornati all’Europa della frontiere, quella che fa venire fuori il lato oscuro nei recinti delle nostre lande. Basta guardare com’è andata a finire in Ungheria, scivolando sull’indignazione collettiva per la gestione del flusso dei profughi o dopo aver visto la videoreporter ungherese che prendeva a calci i migranti.

La bellezza salverà il mondo? No, perchè non è quella dei selfie che hanno affolato la nostra estate: tette e culi in riva al mare; il primo dentino o il ruttino sotto l’ombrellone di nostro figlio; l’ostentazione di dimostrare agli amici facebookiani che la nostra meta fosse la migliore; la lucida follia dell’anvedi come siamo belli.

La bellezza salverà il mondo a patto che le immagini scuotano le nostre coscienze. Il bimbo dormiente in riva al mare, che ha fatto in un batter baleno il giro del mondo, ci ricorda nella sua plastica drammaticità i calchi abbracciati degli scavi archeologici di Pompei. La riflessione, miscuglio di dolore e rabbia, è vellutata dal brusio del mare. Ahimè, non si tratta delle acque dove abbiamo fatto splash la scorsa estate.

Allora canto, perchè non so scrivere: “L’estate sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grande, lo sai che non mi va”.

Ritorno a scuola: memorie ritrovate alle elementari di viale Bodio 22 a Milano

Rosario PipoloE’ ritornata a suonare la campanella nel bel mezzo delle polemiche, giocando al tiro alla fune tra buona e cattiva scuola. Parlano tutti di domani, dopo domani ancora, sgualcendo la memoria. Voglio riappropriarmi del ricordo dell’elementari – oggi non si chiamano neanche più così – fermandomi nella scuola al numero 22 di viale Bodio a Milano.

Non sono certo io il Ragazzo della Bovisa, specchio riflesso di Ermanno Olmi. Cosa c’entra un napoletano come me, che nel ’79 imparò a scarabocchiare il proprio nome in prima elementare con fuori il sottofondo della guerriglia della Nuova Camorra Organizzata, con una scuola della Bovisa?

C’entra perchè ogni scuola disegna la memoria a Milano come a Napoli, a Bolzano come a Palermo. Lo ricordate il treno che portò nel capoluogo lombardo i protagonisti di Rocco e i suoi fratelli? Forse in uno di quei vagoni c’era anche il medico Natale Giudice, ex allievo della scuola di viale Bodio, sbarcato a Milano dalla Sicilia negli anni ’30.

La cerco disperatamente la maestra occhialuta Enrica Galimberti, che prese servizio qui il 1 ottobre del 1945. La cerco perchè , attraverso i suoi occhiali, ha visto crescere la generazione di mio padre.
La scuola di viale Bodio ha scrutato l’Italia alienata dal Fascismo, i sogni luccicanti del secondo dopoguerra, le speranze in bianco e nero del Boom, l’irrequietezza sessantottina, la Milano ferita dagli anni di Piombo. Da quei banchi insegnanti e alunni hanno visto crescere il Belpaese.

Ha ragione Ornella Sberna quando scrive a proposito del quartiere Bovisa: “La luce è sempre la stessa, quella che la sua gente ha continuato a vedere negli anni bui, trattenuta nell’anima, tessuta sulla pelle”.
Oggi ritorno a scuola, partendo dai sotterranei di questo edificio scolastico, che è stato anche il Rifugio n.87, mettendo in salvo tanti milanesi dai bombardamenti.

Guardiamo al futuro della scuola senza perdere le tracce del futuro della memoria.

Cartolina d’estate: nella Germania di Costanza dal sapore svizzero

Rosario PipoloQuesta volta FlixBus mi porta in una città di frontiera. Si tratta di Costanza, quella nominata tra i banchi di scuola chissà quante volte per il famoso trattato, lì al confine con la Svizzera, a pelo nella Germania del Baden-Württemberg.

C’è un fiume di gente assiepata nel centro storico. Si beve, si fa festa, si sta insieme.  Tutto merito della musica: il festival Rock Am See diventa una Woodstock in miniatura tutta tedesca sul lago Costanza, quelllo che qui chiamano Bodensee. Bevo una pinta di birra, conosco gente del posto, condivido ritagli di viaggio.

Qui di pagine di storia ce ne sono. Ci pensa l’olandese Toni a farmi da guida. Le spoglie di San Pelagio nella Cattedrale ci ricordano che qui i cattolici riuscirono a riprendersi dai protestanti il proprio territorio ; nel monastero domenicano, trasformato a fine ‘800 in un hotel di lusso, c’è un manuale di tortura, dipinto su muro, che ci insospettisce; il teatro cittadino con le locandine di nuove e vecchie glorie; il cavallo in piazza che ricorda le gesta di Federico Barbarossa; la statua di Imperia sul porticciolo; il centro commerciale Lago che attira gli svizzeri spendaccioni.

C’è un’altra Costanza che mi piace, quella dei “veri Costantini”, lì nel quartiere Paradiso, lontano dall’invadenza turistica. Iniziano qui le mie passeggiate mattutine lungo il fiume Reno, che nasce dal ventre delle Alpi Svizzere, si lancia tra le bracce del lago Costanza, se ne innamora e poi scappa via verso la rotta di un nuovo viaggio.
L’incontro in un bar con due avellinesi emigrati a Costanza quarant’anni fa mi riporta al tempo in cui la Germania divenne la prima casa per tanti italiani.

La domenica mattina, bagnata da fili di pioggia, riveste l’atmosfera uggiosa del “dì di festa” in un riflesso di memoria. Un’anziana signora mi vede litigare con la cartina e mi fa capire che mi accompagnerà fino al punto indicato. Lei parla in tedesco, io in inglese, ma ci capiamo lo stesso. Guardo i suoi capelli innevati che mi ricordano la chioma di nonna Lucia e l’impertinenza fanciullesca del tipo “Nonna, perché non fai il più colore dal parrucchiere?”.

Mi giro, l’anziana si è dissolta dentro la pioggia.  A piccoli passi oltrepasso la sbarra. Non si tratta di un passaggio a livello, ma di una zolla di frontiera. Sono con un piede in Germania e con l’altro in Svizzera.

Cartolina d’estate: Salisburgo di Mozart che mai dimenticò la piccola Alice

Rosario PipoloIn un giorno d’inverno di oltre vent’anni fa una bimba italiana, in visita alla residenza di Mozart, chiese al papà: “Dov’è Mozart?”. Il papà cercò di spiegare alla piccola Alice che il famoso compositore, a cui Salisburgo aveva dato i natali, non fosse più lì. Alice non fu convinta e in parte non aveva così torto.

Questa volta FlixBus mi porta a Salisburgo, proprio per mettermi sulle orme di Amadeus. Salisburgo è per davvero la bomboniera dell’Austria perchè coglie le molteplici sfumature che ogni viaggiatore avrebbe il diritto di trovare nella sua meta.

Salisburgo sa essere sentimentale con i lucchetti “con le promesse d’amore” sul ponte Makartsteg e le atmosfere da set di Tutti insieme appassionatamente, il film di Wise che rese Julie Andrews bella salisburghese nella trasposizione cinematografica del famoso musical The Sound of Music.

Salisburgo sa essere portavoce di storia e arte nel meraviglioso quartiere del Duomo, tra il palazzo della Residenza e il museo della Cattedrale, custodi di segreti e contraddizioni dello strapotere dei principi arcivescovi.

Salisburgo sa essere ghirlanda del palato con la Sacher mangiucchiata al Sacher Cafè, mentre lo sguardo è rivolto verso i venditori ambulanti sparsi lungo il fiume, che attraversa la città il cui nome significata “Castello di sale”.

Salisburgo sa essere instancabilmente romantica quando la sera per te dipinge in cielo una luna piena e improvvisamente chic, elegante, pittoresca tra le viuzze della città antica, dove ti viene una voglia matta di perderti perché sai che ogni angolo è sempre una riscoperta.

Salisburgo sa essere vessillo medievalista tra le mura della Fortezza che guarda la città con l’occhio attento della sentinella e anche custode delle beffe della storia: osservare il pubblico in ghingheri al Festival di Salisburgo che applaude l’Ernani di Giuseppe Verdi, il cui Va’ Pensiero fece impallidire gli austriaci invasori più di due secoli fa, rivelandosi la baionetta che, senza fare né morti né feriti, fece scricchiolare il potere dello straniero. Le ferite si rimarginano, i tatuaggi della storia restano.

E Mozart dov’è finito? Aveva ragione la piccola Alice nel 1990. Dalla sua casa non se n’è mai andato, perchè la sua musica immensa nasconde dietro il brio e l’iralità la tragicità della vita. Ogni volta che un bimbo chiede “Dov’è Mozart?” è perchè sente il lontananza un suono: è quello di un enfant prodige del nostro tempo che mette per la prima volta mano su un pianoforte, da qualche parte nel mondo.

Sento anche io lo stesso suono di Alice. E’ troppo tardi per urlare a tutti che Amadeus abita ancora qui. Sono sull’autobus sul filo del tramonto. Il confine che divide l’Austria dalla Germania non è poi così lontano.